“Ingredienti per una vita di formidabili passioni” di Luis Sepúlveda, a un anno dalla morte dello scrittore cileno
di Paolo Rausa
Apprezzo molto i doni, specie se si tratta di libri che giungono da fanciulle indotte ad amare la vita e la cultura. In occasione del mio compleanno ho ricevuto in tempi diversi in dono Sepúlveda. Dapprima “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, poi “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” e ora questi “Ingredienti per una vita di formidabili passioni”, due anni fa. E’ stato un caso, ma forse un’associazione. Le formidabili passioni sono le mille storie che hanno animato la vita dello scrittore cileno, che ha attraversato l’America Latina e quasi tutto il mondo per la sete di conoscenza.
Esule dal paese natio fin dal 1977, cerca negli altri paesi e negli uomini e donne di cultura e di lotta un qualche conforto alle sofferenze sociali e alle ingiustizie di chi lotta per migliorare le condizioni di vita e di lavoro, a rischio a volte della propria esistenza. Nato in Cile a Ovalle il 4 aprile 1949, abbandona ben presto il paese nel 1977 dopo il colpo di stato del generale Pinochet, che aveva abbattuto il governo di Unidad popular retto da Salvador Allende, l’11 settembre 1973. “Contro la mia volontà, ho abbandonato il Cile e sono andato in esilio, molti dei miei amici e compagni erano morti, altri erano desaparecidos o prigionieri dei campi di concentramento della dittatura.” – scrive Sepúlveda. Ma portandosi dentro una cultura forte, che gli arrivava dalla resistenza dei mapuche e dall’ostinazione degli emigranti soprattutto europei che erano giunti lì nell’800 e nel ‘900.
Questa gravità lo spinge a riconoscersi nelle cause dei minatori e degli oppressi in qualunque parte del mondo lottino per affermare i loro diritti a condizioni di vita più umane. Accanto a questo matura una visione del mondo dove gli altri esseri sulla terra abbiano pari dignità rispetto alla specie umana, che nel suo lungo viaggio lungo i sentieri della civiltà ha compiuto atrocità nei confronti degli oppressi e dell’ambiente naturale sacrificato per ragioni di tornaconto.
Il nomadismo di Sepúlveda è sete di conoscenza e amore per la cultura. Attraversa l’America Latina e poi si stabilisce in Europa, a Parigi, Amburgo e poi in Spagna a Gijón nelle Asturie. E’ qui la sua Itaca. Qui legge e scrive. Scrive di tutto, romanzi, racconti, poesie, qualsiasi cosa vissuta con formidabile passione, per la giustizia, per la cultura, per l’avanzamento e il progresso sociale. E’ amico di Pablo Neruda, di Gabo, Garzia Marquez, ma anche di Tonino Guerra che ricorda con emozione quando gli suggerì il metodo per scrivere una sceneggiatura “elastica”, a prova di terremoto.
Rifà il giro del Cile, quando potrà ritornare, dopo la caduta di Pinochet. Rivive il fascino del deserto dell’Atacama nel Nord del Cile e si sofferma a sostenere la lotta delle donne a Sud per fermare lo scempio degli impianti per la coltura del salmone. Questo libro raccoglie spunti e riflessioni sui suoi viaggi nel corso del tempo. Non è l’ultimo suo scritto, ne seguiranno diversi altri. Scriverà altri nove fra saggi e racconti e romanzi fino al 2018 con la “Storia di una balena bianca”, oltre ai 25 precedenti. Poi subisce il contagio del corona virus e muore a Oviedo il 16 aprile del 2020.
Possiamo dire che Sepúlveda sia stato uno dei più grandi e forse uno degli ultimi letterati che consideravano la letteratura come attività militante a favore delle classi oppresse e per la difesa dell’ambiente. Soprattutto ritiene “difficile immaginare una letteratura priva del conflitto fra l’uomo e ciò che gli impedisce di essere felice”. E inoltre deve assolvere alla funzione di megafono di “dare voce a chi non ha voce”.
Non c’è progresso effettivo se anche la Spagna copia il detto di Deng Xiaoping: “Non importa se il gatto sia bianco o nero, l’importante è che prenda i topi”. Sepúlveda richiama l’etica della responsabilità nei confronti di un mondo che rischia la catastrofe sociale e ambientale. Ma è negli ultimi due capitoli che riassume il senso della sua esistenza, riconoscendo nel “Cile, il paese della mia memoria”, quando nelle situazioni di bisogno “l’io individuale scompare e si impone la preoccupazione collettiva”. Quella memoria che lui trasferisce sui suoi affezionati lettori e sui figli e nipoti, quando si abbandona al dolce ricordo del padre e al suo ruolo attuale, speranzoso che possa da “vecchio” dedicarsi alla preparazione dell’asado, ovvero di prendersi cura di sé, della sua numerosa famiglia ingrandita e del mondo.
Ugo Guanda Editore, Parma, 2013, pp. 194, € 11,40.