Incontri ravvicinati dell’ultimo tipo
Di Maurizio Mazzotta
Sono in contatto con un alieno e ho capito, ne sono certo, che il suo linguaggio e il suo pensiero coincidono. Lui dice quello che pensa e pensa quello che dice. No, non sono stato chiaro. Lui comunica pensando: lui pensa e quando mi guarda io so già quello che pensa. Ed è in grado di sapere quello che penso io nello stesso momento in cui lo penso.
Un giorno rivolto a me pensa (lo conosco da poche settimane e siamo entrati subito in contatto, un’esperienza emozionante!): “Non vi capisco più, non mi sembra che ci sia coerenza tra ciò che voi terrestri avete nella testa e ciò che poi esprimete parlando. Le prime volte mi sono felicitato con voi, meravigliosa la possibilità di pensare e poi di esprimere questo pensiero! In seguito ho cominciato a temere di non essere in grado di leggere la vostra mente, che insomma il vostro modo di pensare fosse differente dal mio, che fosse così particolare da risultare di difficile comprensione per quelli del mio mondo. Col passare dei giorni mi è sembrato di capire che la spiegazione potrebbe essere semplicissima, però per certi aspetti a me resta incomprensibile, perché assurda”.
Qui ha fatto una pausa di pensiero, mi ha guardato come uno che non sa cosa pensare, teme di offendere, non osa. Così io l’ho incoraggiato: “Pensa, pensa tutto, se posso ti spiego. Cosa hai capito?”. Allora lui, mortificato, timoroso, reticente, alla fine: “È possibile che voi terrestri abbiate in mente una cosa e quando parlate ne dite un’altra, completamente diversa, o addirittura opposta?”. “Ah certamente” ho risposto con noncuranza (io posso permettermi di parlargli, tanto per lui è lo stesso). “È normale, per noi”. Poi vedendo che mi guardava spalancando gli occhi da far paura (se li spalanca sembra proprio che se ne vogliano andar via), ho aggiunto: “Scusa, devo spiegarti un bel po’ di cose”.
Per potere individuare le cose importanti su di noi da riferirgli, da tenere in considerazione, quasi un vademecum, ho fatto uno sforzo incredibile: mi sono messo, con tutta la mia terrestrità, dalla sua parte, per risolvere un problema già grosso per noi, figurarsi quanto lo sia per questi alieni che vengono da un mondo dove comunicare è quanto di più trasparente ci possa essere. Noi non abbiamo soltanto il problema delle lingue parlate differenti, che sono una barriera a volte insormontabile, noi abbiamo: prima di tutto una complessità – chiamiamola così – di pensiero per cui non sappiamo spesso nemmeno noi cosa vogliamo; secondo, se pensiamo che una cosa è brutta diciamo che è bella e viceversa, mentendo sapendo di mentire, per una infinità di motivi, che non è il caso di elencare; terzo, oltre che con la lingua parlata ci esprimiamo con altri linguaggi, addirittura con tutto il corpo. E forse questo è un bene, posso cominciare da qui – mi sono detto – almeno è una valutazione positiva e non facciamo brutta figura.
Così l’ho portato al lago, ci siamo seduti sugli aghi di pino a mezza costa di una dolce collinetta, di fronte c’era il sole che, nascosto tra due monti, terminava un acquerello mozza fiato. Lui mi pensa: “Quanto siete fortunati!”. “Già!” dico io. E lui insiste a pensare: “Non solo per questo, per tutto voglio dire”. Così io capisco che intende ciò che abbiamo e come siamo, e mi viene di concludere che qualcuno lo sa, quanto siamo fortunati, ma anche per chi sa è un sapere che appena scalfisce la superficie del nostro essere fortunati, del nostro modo di essere e di agire di fronte alle fortune. Naturalmente non gliel’ho detto, ma lui ha captato le mie meditazioni. Poi ho cominciato in questo modo: “Quando un terrestre ti pensa davanti e si mette a parlare, se cogli qualcosa che non va ti prego non pensare male, sappi che quello di dire bugie è un nostro vezzo, infatti siccome noi ci esprimiamo contemporaneamente con più linguaggi possiamo permetterci il lusso di giocare con le verità”. Lui mi guarda estasiato: “Altri linguaggi!”, avverto che pensa meravigliandosi.
“Altri linguaggi altri linguaggi” alzo la voce convincendomi della nostra superiorità. “Devi sapere, tanto per cominciare, che mentre parliamo, esprimiamo differenti intonazioni con la voce, diverse qualità di suoni, per esempio le parole sono come strozzate quando ci arrabbiamo. Se vogliamo sottolinearle, ci soffermiamo su di esse. E ciò è poca cosa. Sono linguaggi per così dire di supporto, sostegno, abbellimento, insomma completano il parlato. Linguaggi veri e propri sono invece i movimenti e le posizioni che assumiamo con il corpo; i gesti con la testa, le braccia, le mani; le espressioni del viso, non solo i movimenti dei muscoli attorno alla bocca e agli occhi, anche dentro gli occhi. Le pupille sono straordinarie! Ecco devi imparare a comprendere questi linguaggi, scoprirai che in fondo anche noi siamo coerenti. Sono linguaggi per certi versi spontanei; con questi altri modi di esprimere ciò che pensiamo e proviamo mettiamo da parte il vezzo di dire bugie. Quando un terrestre ti riferisce un suo problema, una situazione drammatica che sta vivendo, osserva questi linguaggi scoprirai perfetta coerenza”.
A questo punto lui mi pensa davanti così: “Va bene! Questo per sapere quando un terrestre è coerente, ma quali sono gli argomenti, i contenuti, le situazioni durante le quali in particolare giocate con le verità e le bugie?”.
Io lo guardo e scuoto la testa su e giù con la faccia dispiaciuta. Avverto che lui sta pensando che mi sforzerò di essere coerente. “Sì, non è una bella cosa e sento il dovere di avvisarti. Fai attenzione a ciò che il terrestre può volere da te, è il momento in cui è portato a non essere coerente. Ti sarà facile captarlo dal momento che gli leggi nella testa. Considera il nostro vezzo…”. “No, un momento”, fa lui e mi blocca pensiero e parlato. “Vezzo o non vezzo è molto brutto. Voi terrestri anche se non vi leggete nella testa, sapete di questo vezzo e potete quindi valutare ciò che dite, ma se qui capita un alieno proveniente da un altro mondo che comunica in altri modi, che non vi legge in testa come me, cosa gli succede? Non voglio pensarci”. Una pausa e poi ha ripreso: “Non voglio pensarci non voglio pensarci”. Un paradosso! Mi è venuto di sorridere: lui pensa che non vuole pensare… poi ho capito che era una cosa seria. Man mano che pensava: “Non voglio pensarci”, il pensiero si affievoliva, e anche lui insieme al pensiero. Lo guardavo preoccupato e impotente e quando è diventato del tutto trasparente ho capito che se ne stava andando. Per sempre.
Tratto da: L’EDUCAZIONE AFFETTIVA ED EMOTIVA – emozioni sentimenti azioni – CSA Editrice di Maurizio Mazzotta.