“In Terra d’Otranto tra ‘800 e ‘900. Vicende, personaggi, strade e luoghi da non dimenticare”
Nel ricordo di Valentino De Luca
alla cui memoria il capitolo quarto è dedicato
|| Davide Elia, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), con oltre 120 pubblicazioni scientifiche alle spalle, con la passione per le stelle e la passione per la storia, dà alle stampe la sua prima opera di carattere storico, In Terra d’Otranto tra ‘800 e ‘900. Vicende, personaggi, strade e luoghi da non dimenticare (Proprietà letteraria riservata, 2022); volume denso di notizie, fatti di cronaca, curiosità, indagati e trattati con la connaturata disciplina scientifica dell’Autore e corredati da un fondamentale apparato di note e un interessante complemento fotografico.
Un pensiero intimo e famigliare chiude la breve introduzione dello stesso Elia: «Dedico quest’opera a mio padre, alla sua memoria e al suo esempio che ancora guidano i miei giorni».
Se la passione per le stelle anima l’Autore negli studi e nelle ricerche scientifiche sulla “formazione stellare e della fisica del mezzo interstellare” come ricercatore presso la sede dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali di Roma, la passione per la storia si nutre e si rinnova con quella che egli stesso considera la parola chiave, “curiosità”, la leva che muove alla ricerca e alla riscoperta di fatti e vicende storiche e, in questo caso, “il motore delle quattro indagini” che sono raccolte nel volume. Ed ecco l’incipit, chiaro, diretto, con cui Davide Elia introduce alla lettura del testo:
«Se dovessi riassumere in estrema sintesi la genesi e il contenuto di questo lavoro, potrei affermare che esso raccoglie il frutto di quattro o cinque mie curiosità»;
per poi aggiungere, di seguito, citando Thomas Hobbes (1588-1679): «“Curiosity […] is the lust of the mind”, ossia “La curiosità è la libidine della mente”. La curiosità muove la conoscenza, sospinge il progresso, ispira la libertà».
Con questo spirito, Davide Elia si è avvicinato alla storia addentrandosi via via con rigore scientifico nella ricognizione sistematica dei quattro fatti storici che «non vengono svelati qui per la prima volta, ma che esigevano di essere ripresi e rivisti». Quattro fatti storici che hanno segnato alcune località della nostra Terra d’Otranto fra il 1815 e il 1944 e ai quali vengono dedicati nel volume quattro Capitoli distinti.
1) – Nel primo Capitolo, Falsi storici tra Nardò e Copertino: dalla Battaglia risorgimentale al passaggio di Garibaldi cinquant’anni dopo, l’Autore punta dritto alla ricostruzione su base documentale della verità storica e a smentire quanto riportato su Wikipedia alla voce Nardò, in cui si afferma che nel 1818 vi furono scontri fra i Carbonari e le truppe dei Borboni nelle campagne tra Nardò e Copertino.
Fonti, dati bibliografici e archivistici alla mano, Elia documenta e prova che in Terra d’Otranto non si combatterono battaglie degne di tale nome nel periodo dei moti risorgimentali, e che il Risorgimento, in sede locale, non produsse che episodi secondari rispetto all’epopea nazionale, «a meno di non voler indulgere ad un patetico campanilismo».
Sulla medesima scia della ricostruzione storica veritiera, l’Autore si “incuriosisce” all’origine di un toponimo rurale alquanto singolare, la “strada di Garibaldi” (fig. 8), che ancora oggi individua un lungo tratto di strada grosso modo in zona sud-est dell’abitato di Copertino, toponimo cui è collegata una leggenda orale riportata, dopo altri, da padre Benigno Francesco Perrone; tale leggenda narra del passaggio da Lequile nel 1867 di Giuseppe Garibaldi, il quale avrebbe pernottato nel convento di San Francesco per poi cercare riparo, avendo la polizia alle calcagna, verso Gallipoli percorrendo proprio quel tratto di strada, ancora denominata “strada di Garibaldi“, sull’asse odierno Lequile-Copertino-Nardò-Gallipoli.
Elia, basandosi sulle fonti disponibili e numerosi riferimenti bibliografici, tra cui un approfondito studio di Maurizio Nocera “Garibaldi e il Salento”, esclude un passaggio di Giuseppe Garibaldi nel lembo sudorientale d’Italia, sia nel 1867 così come in anni diversi, non tralasciando di analizzare anche altre ipotesi, più o meno verosimili.
2) – Il secondo Capitolo, “seconda curiosità”, Giustizia sommaria a Martano il 2 maggio 1818, fa riferimento ad un tragico fatto di sangue accaduto nel 1815: l’omicidio efferato di una donna, donna Concetta Maglietta, appartenente ad una facoltosa famiglia borghese di Martano, la famiglia Corina, e la repressione sanguinosa del misfatto (fig. 10) circa tre anni dopo, che si risolse in un caso di giustizia sommaria e si concluse con la fucilazione sulla pubblica piazza di undici presunti esecutori materiali del delitto.
Le accurate ricerche storiche, le indagini e gli approfondimenti di Elia hanno gettato nuova luce sul tragico fatto, già tramandato attraverso testi e testimonianze scritte, il più delle volte, in verità, sconfinanti dall’aneddotica nella leggenda; soprattutto, hanno avvalorato fondati dubbi sulla colpevolezza degli undici disgraziati. Sulle storie di vita di costoro l’Autore ha indagato, ha scavato, ha svelato, ha scritto, ispirato tuttavia sempre da un sentimento di umana pietà.
Il legame di parentela tra la famiglia al centro del fatto di cronaca nera e Gioacchino Maglietta junior è occasione per l’Autore, a conclusione del Capitolo, per offrire una breve Appendice biografica, Sulle tracce di Gioacchino Maglietta, patriota, sulla figura, appunto, di Gioacchino Maglietta junior, esponente importante e protagonista a livello locale dei moti patriottici del 1848. Nonostante fossero già noti molti suoi dati biografici, tuttavia questi si arrestavano al 1859, non essendovi tracce successive a tale data.
Elia compie una “piccola scoperta”, in quanto rintraccia, traduce e trascrive l’atto di morte (fig. 17) di Gioacchino Maglietta junior, riscoprendo con esso il luogo e la data di morte, avvenuta a Parigi nel 1870, nonché tracce di attività patriottica ancora di primo piano successive al 1859.
Sulle tracce dei preziosi indizi offerti da Elia rimane tutto da indagare e rischiarare il buio che avvolge tuttora gli ultimi dieci anni di vita di colui che fu un esponente di rango dell’azione patriottica locale.
3) – Il terzo Capitolo, Dove nascono i triangoli: una base geodetica tra Copertino e Galatina, deriva da una curiosità, per così dire, scientifica: indagare sull’esistenza di una base geodetica in un’area del Salento non distante da Copertino e Galatina, una peculiarità per il nostro territorio, quasi certamente nota solo a pochi addetti ai lavori.
Elia si addentra con la competenza che gli è propria in un argomento non immediatamente accessibile ai più, come a chi scrive, riuscendo a tradurre un tema specificatamente scientifico in una narrazione fluida, agile, che apre con il richiamo all’atavica necessità dell’uomo di misurare le distanze di vari punti della superficie terrestre per passare a spiegare poco dopo come alla costruzione di una carta geografica si pervenga determinando e misurando tali distanze.
Ma come si misurano, o si misuravano, tali distanze?
Ripercorrendo vicende storicamente documentate e ricorrendo a contributi di illustri scienziati e tecnici italiani dell’epoca, tra cui immancabile nelle cose scientifiche il nome di Cosimo De Giorgi, l’Autore spiega che, per tutto il XIX secolo e oltre, le distanze si misuravano usando il metodo della triangolazione (fig. 19), necessario alla successiva costruzione delle singole basi geodetiche; quindi, prosegue riscoprendo che fra le otto basi geodetiche del territorio nazionale (fig. 20), stabilite per la realizzazione della prima Carta Topografica del Regno d’Italia pubblicata tra il 1875 e il 1903, una era denominata Base geodetica “di Lecce”, cosiddetta pur estendendosi in realtà tra i territori di Galatina e Copertino.
Insolita presenza nei nostri territori, che avrebbe meritato maggiore attenzione, cura, sorveglianza, tutela e di cui, al contrario, non restano che rari segnali posti ai suoi estremi.
Purtroppo, da allora, nel corso degli ultimi 150 anni, il territorio attraversato dalla base geodetica è stato irreversibilmente alterato dalla mano dell’uomo che per ignoranza o incuria culturale ne ha cancellato o disperso i segni.
Completa la narrazione un interessante apparato fotografico realizzato da Elia durante sopralluoghi compiuti sul campo alla ricerca di strutture ancora esistenti, come il segnale di Figura 31, o di segni superstiti e appena visibili di quella base geodetica “di Lecce” che per decenni ha rappresentato uno dei punti-cardine della triangolazione del territorio nazionale.
4) – L’ultimo Capitolo, 1944, Strage ferroviaria alla stazione di Copertino, che conclude il volume, riporta all’attenzione il tragico evento, ormai del tutto ignorato o sconosciuto, del deragliamento di un treno passeggeri nei pressi della stazione ferroviaria di Copertino, nella primavera del 1944, che provocò 8 vittime e non 11, numero ricorrente nelle comunicazioni ufficiali dell’epoca (fig. 44).
Un breve ma esauriente excursus storico fa il punto sullo sviluppo delle strade ferrate nel Mezzogiorno nella seconda metà dell’800: meno del 7% dell’intera rete nazionale, in tutto soli 140 Km, nell’ex Regno delle Due Sicilie; 37% già nel 1880, dopo l’avvenuta Unificazione dell’Italia. Lecce, in particolare, venne raggiunta dalla ferrovia nel 1866, Zollino nel 1868, Otranto nel 1872, Copertino nel 1907, e così in avanti.
Nel 1944, anno del disastro rievocato, la stazione di Copertino era attraversata da sei corse al giorno; il disastro si verificò il 24 maggio 1944 a circa 300 metri dalla stazione passeggeri e viene descritto e ricostruito dall’Autore, non senza difficoltà di documentazione, nella sua verità storica. Su quel tragico fatto di cronaca come sulle otto giovani vittime, come sui personaggi di cui si è narrato nei Capitoli precedenti, sono scesi un silenzio e un buio che si sono andati infittendo con gli anni e con la scomparsa via via della voce e della memoria dei testimoni diretti; il numero delle vittime, tramandato in numero di 11, viene correttamente attestato a 8, in quanto verificato e fondato su fonti e documenti storico-archivistici. Il Capitolo si chiude con l’auspicio che il ricordo di quelle otto vittime, di cui perfino i nomi sono ormai svaniti dalla memoria della comunità cittadina, possa essere rianimato e vissuto indelebilmente attraverso un segno concreto e tangibile di tributo e riconoscimento.
Ed è a questo punto che si innesta la motivazione della dedica e il debito di riconoscenza di Elia nei riguardi dell’amico Valentino De Luca, alla cui memoria il Capitolo viene affettuosamente dedicato.
Avevano parlato a lungo al telefono, i due amici, come viene ricordato nel volume: Davide, dei suoi ricordi vaghissimi dell’ultima vicenda narrata, legati perlopiù al tempo infantile e ad occasionali ascolti in famiglia; Valentino, del dovere civico inalienabile ad indagare, a riscoprire, richiamando e incalzando l’amico sull’urgenza di riportare sempre alla luce fatti e vicende oscurati dal tempo, nomi e storie di persone dimenticati e, prima che ne scompaiano le tracce, inciderne impronta indelebile su un pubblico memoriale lapideo.
«Si tratta di una vera e propria corsa contro il tempo e in tal senso riconosco che avrei dovuto cogliere fin da subito gli incoraggiamenti di Valentino De Luca, senza lasciare che trascorressero altri anni preziosi. La narrazione […], che comincia con gli esordi della ferrovia in quel di Copertino, è dedicata alla sua memoria» (pag. 92).
Se la dedica del Capitolo ha sciolto nell’Autore quel debito di riconoscenza verso l’amico scomparso, quel richiamo indistinto al comune dovere civico, quasi un appello, è un monito da imprimere nelle coscienze.