Impatti di origine extraterrestre sul bacino del Pacifico nel 1178 a.d. e loro conseguenze
di Emilio Spedicato
PREMESSA
Una precedente versione di questo scritto, uno dei primissimi lavori dell’autore in area non matematica, apparve nel 1997 come rapporto del Dipartimento di Matematica dell’Università di Bergamo; e l’anno dopo come l’articolo: Impacts of Tunguska type over the Pacific basin in 1178 AD, sulla rivista britannica Chronology and Catastrophism Review, 1, 813.
In questo articolo appaiono altri casi oltre a quelli allora considerati e una ipotesi sulla origine del corpo che, in stato frammentario, dapprima colpì la Luna e poi la Terra, nell’area del Pacifico.
- INTRODUZIONE
Come riferiscono Clube e Napier (1990), nella monografia The Cosmic Winter, nell’anno 1178 A.D. quattro sapienti di Canterbury sedevano all’aperto nella notte, calma e chiara, del 18 giugno, contemplando la mezza Luna che splendeva nel cielo stellato. All’improvviso videro una fiammata scaturire da uno dei corni della Luna. Poi videro la Luna tremare, cambiar colore, da chiaro brillante a rosso cupo e rimanere con tale colore per tutti i giorni in cui fu visibile.
Tale storia si trova in un manoscritto degli Annali di Canterbury; viene attribuita a Gervasio di Tilbury (circa 1150-1220), sacerdote e storico, noto per aver definito buon cristiano colui che va a messa tutti i giorni e contribuisce al finanziamento dei monasteri. Fu mostrata a Clube da uno specialista di storia medievale inglese.
Quando la faccia nascosta della Luna fu fotografata per la prima volta, si notò, presso il polo nord lunare, un ampio cratere, di recente origine, cui fu dato il nome Giordano Bruno. La recente origine è indicata dall’assenza di crateri secondari sovrimposti. Il cratere potrebbe esser stato causato da un impatto da cometa o da un impatto meteoritico, con un corpo di una ventina di km di raggio, corrispondente a un’energia di circa cento milioni di megatoni. L’impatto potrebbe ben essere avvenuto il 1178 AD e quindi spiegare l’affermazione negli Annali di Canterbury, come proposto da Hartung (1976).
Ora è noto che impatti cometari o meteoritici non avvengono in modo puramente casuale e che molteplici impatti quasi simultanei sono un evento comune, in quanto spesso gli impatti sono associati a uno sciame di oggetti prodotti dalla disintegrazione di un corpo più grande. La disintegrazione può avvenire per interna instabilità, o per forze di marea gravitazionale, dovute al passaggio presso un grande corpo. Uno sciame nel tempo si espande e si dissolve, potendo causare nel corso della sua esistenza una molteplicità di impatti.
Si noti che catastrofici effetti possono originarsi non soltanto da un impatto effettivo, dove è colpita la superficie terrestre, ma anche da una esplosione nell’atmosfera, ora denominata del tipo Tunguska, v. Rubtsov (2009). Esplosioni del genere sono considerate più frequenti e pericolose dei veri e propri impatti, v. Boslough e Crawford (2008).
Ricordiamo il lavoro dei due Tollmann, (1993), professori all’Università di Vienna, lui il geologo Alexander e lei la moglie Edith, paleontologa. Secondo un loro studio sette impatti contemporanei si sono verificati sugli oceani e i continenti terrestri, verso il 7000 A.D. Una spiegazione di tali impatti appare in Spedicato (2016), rientrando nel paradigma VAS (Velikovsky-Ackerman-Spedicato), sulla recente evoluzione del sistema solare, elaborata in parecchi studi, che qui presentiamo brevemente.
Il paradigma VAS assume che un grosso oggetto P, di massa circa dieci volte maggiore di quella terrestre, entrò nel sistema solare almeno 12.000 anni fa, forse anche diecimila anni prima. Origine di P ignota, forse dalla fascia di Kuiper, o dalla nube di Oort, o dallo spazio esterno. Tale oggetto P fu considerato un dio, nelle antiche religioni: Metis in Grecia, Vritra dagli hindù ariani, Bali dagli hindù dravidici, Nibiru dai sumeri, Tiamat agli accadi, Ormazd dagli iranici, Pachacamac dagli inca e dai chimu… potrebbe essere il Satana visto da Gesù cadere dal cielo.
P passò vicino alla Terra con effetti catastrofici, che portarono, verso il 9500 AC, a tre fatti importanti:
- La fine veloce dell’ultima glaciazione
- La fine, salvo piccoli gruppi di sopravvissuti, delle civiltà attive durante l’ultimo millennio della glaciazione, associabili ad Atlantide, Göbekli Tepe, Tiahuanaco, dinastie prediluviane di Manetone attive nell’intera Africa sopra l’equatore…
- La cattura della Luna, prima satellite di Nibiru, che si aggiunse a Marte, allora satellite terrestre a un milione di km di distanza, con acqua e vita, perduto poi per effetto dell’impatto di Nibiru su Giove.
Dopo tale evento, P per circa 2500 anni girò all’interno del sistema solare su orbita di periodo di 20 anni. Tale periodo appare nei testi sumerici, riferiti a Nibiru, come di 3600 anni. La differenza fra 20 e 3600 si spiega con il fatto che molte informazioni quantitative erano considerate tabù dagli antichi, e venivano crittate usualmente per moltiplicazione per 180, vedasi Spedicato (2014).
Nibiru non tornerà, essendo scomparso nell’impatto su Giove, verso il 7000 AD, il cui cratere è segnalato dalla Macchia Rossa, vedi Ackerman (1999, 2015, 2016).
Tale impatto espulse da Giove molto materiale, dando origine, nello scenario VAS che estende quello di Velikovsky (1950), al pianeta Venere.
Due recenti conferme a tale scenario vengono dalla sonda Venus 5, che ha scoperto che la massa del nucleo di Giove è inferiore a quella del nucleo di Saturno, e dalla sonda June 2, che ha trovato il nucleo di Giove di forma non sferica, ma frastagliata, come da attendersi nel seguito di un grande impatto.
L’impatto mutò l’orbita di Giove, che prima giaceva dove è ora la cintura di asteroidi. Per la grande energia dell’impatto Giove si espanse in cielo raggiungendo una dimensione angolare forse maggiore di quella del Sole. Un Giove espanso e caldissimo spiega la mitologia dell’Uovo Cosmico e il suo ruolo di re dei pianeti, e degli dei associati.
Marte, precedente satellite terrestre, colpito da massa proveniente da Giove nell’ evento del 7000 AD, perse il ruolo di satellite terrestre. Spostatosi su un’orbita assai ellittica, si avvicinò pericolosamente al nostro pianeta per 99 volte, a intervalli di 56 anni inizialmente e, dopo il Diluvio noachide, di 54 anni. Perse gran parte dell’acqua nell’evento del 7000 AC, e la restante acqua nel passaggio del 3161 AC, associato al Diluvio di Noè, quando, stando a Genesi, si aprirono le Fontane di Sopra (acqua da Marte) e quelle di Sotto (acqua dagli oceani terrestri), vedi Spedicato (2017).
L’ultimo passaggio avvenne al tempo della fondazione di Roma, quando una interazione fra Marte e Venere ne modificò le orbite, divenute quasi circolari, non più attraversanti l’orbita terrestre, e terminando quindi l’era che Velikovsky definì catastrofica. Vedi anche Borruso (2017).
In questo saggio ipotizziamo che l’oggetto P perse anche un satellite più piccolo. Questo, il Poros della mitologia greca, entrò in una orbita indipendente, tra il Sole e la Terra, con periodo di 260 giorni. Ipotizziamo che tale corpo cessò di esistere nel 1178 A.D., impattando sulla Luna e sull’Oceano Pacifico; alcuni frammenti potrebbero ancora trovarsi in una rotta di collisione. Vedasi gli argomenti nella sezione sulla Cambogia.
Nel seguito consideriamo eventi catastrofici sulla Terra databili al 1178 AD e spiegabili da impatti o esplosioni di frammenti dal corpo celeste che formò il cratere lunare di Giordano Bruno. Proponiamo multipli impatti sul Pacifico, con drammatiche conseguenze per i popoli che abitavano in quell’area, oltre che, benché ritardate, anche per le regioni mediterranee.
2. INTERAZIONI FRA TERRA E SCIAME DI OGGETTI NEL 1178 A.D.
Disponiamo di almeno due informazioni indicanti che la Terra attraversò uno sciame di corpi nel dodicesimo secolo, con un picco attorno alla metà del secolo.
La prima viene dalla storia europea. Frequenti e terrificanti apparizioni di grandi comete crearono un particolare clima psicologico, che favorì le crociate, spesso considerate, a livello popolare, come un mezzo per il perdono dei peccati, la divina ira esprimendosi nelle minacciose comete.
La seconda informazione arriva da astronomi cinesi, che registravano l’apparire di comete e fulmini globulari, v. Clube (comunicazione personale, Oxford, luglio 1996). Le loro registrazioni mostrano un picco di avvistamento verso la metà del dodicesimo secolo, a oltre dieci volte la media.
È interessante osservare che un simile picco appare anche verso la metà del sesto secolo, epoca in cui, secondo storici bizantini – vedi Gibbon (1973) – come Malala, Procopio e Teofane, apparvero molte terrificanti comete. Fu il periodo della grande pestilenza dei tempi di Giustiniano, che decimò la popolazione del bacino mediterraneo, uccidendo forse il 90 % della popolazione. Tale spopolamento favorì l’espansione musulmana, circa tre generazioni dopo. Una ulteriore indicazione di una crisi climatica verso il 540 AD appare dalla dendrocronologia irlandesi, Baillie (1995).
- EVIDENZE DAI MAORI
Dalla Nuova Zelanda vengono due evidenze. Leggende maori affermano che fuoco caduto dal cielo arse la maggior parte della foresta e uccise gli uccelli Moa, in contrasto con la tesi degli studiosi occidentali che la scomparsa dei Moa sia dovuta a un eccesso di caccia. In secondo luogo, c’è la recente scoperta di poco profondi e recentissimi crateri da impatto, i Tapanui della South Island, e di strati di fuliggine databili al loro tempo di formazione. I crateri Tapanui e la fuliggine suggeriscono che il “fuoco” arrivò dal cielo, arse le foreste e sterminò i Moa, confermando le leggende maori. Il periodo in cui ciò si verificò è stimato a circa 800 anni fa, compatibile con il 1178.
Vedasi Steel e Snow (1991) e Pajak (1989, 1990).
- EVIDENZE DALLA POLINESIA
È noto, v. Heyerdahl (1978) e Fornander (1878), che al termine del dodicesimo secolo si verificarono grandi mutamenti negli arcipelaghi della Polinesia, con discontinuità nelle dinastie locali e vaste migrazioni, particolarmente dall’ America settentrionale alle Hawaii e ad altre isole.
Scrive Heyerdahl: A. Fornander, importante genealogista polinesiano, dopo aver studiato per tutta la sua vita le tribù polinesiane, sosteneva che circa trenta generazioni addietro, calcolate dalla fine dell’ultimo secolo, si incontra il tempo in cui l’aristocrazia, in quasi tutta la Polinesia, sembra ripartire da nuove famiglie. Nel giro di poche generazioni, scomparvero le antiche linee reali, sostituite da nuove. Un’ondata di migrazioni caratterizzò le isole del Pacifico, sia per i gruppi etnici principali, che per quelli più piccoli, con effetti profondi e indelebili. Cambiarono le antiche usanze, le credenze e le politiche. Cambiò anche il linguaggio … Nuovi dei tutelari successero agli antichi, nuovi nomi di luogo rimpiazzarono gli antichi… Anche la costruzione delle piattaforme piramidali in pietra sembra esser cessata … stando ai racconti tradizionali, nelle Hawaii abitava prima un antico popolo, e gli abitanti delle Isole di Cook e della Nuova Zelanda vivevano accanto agli ultimi polinesiani. Gli ultimi immigrati dominarono i predecessori, che non vennero sterminati, ma riassorbiti.
Gli eventi possono esser datati tra il 1100 e il 1200, secondo il genealogista polinesiano Percy Smith (1840-1922); un intervallo che include il 1178. A questo periodo è riferibile la migrazione, che, secondo Heyerdahl (1960, 1969), portò melanesiani nell’isola di Pasqua. Questa era abitata da un popolo ben diverso (statura alta, capelli rossastri, fattezze europee), con una cultura piuttosto avanzata, specializzato nella costruzione delle famose statue dei giganti. Per parecchi secoli i melanesiani furono tenuti come schiavi dal popolo originale, lavorando nelle cave di pietra a scolpire statue; poi si ribellarono e uccisero la maggior parte dei loro padroni. Forse uno di loro, un maschio, fu lasciato in vita, per lasciare una discendenza.
Ulteriori indicazioni di una crisi nel periodo considerato arrivano dalle Hawaii. Ivi, un complesso templare detto Waha’ula, venne costruito verso il 1200 dal sacerdote Paou, giunto da Tahiti. Nel tempio si celebravano sacrifici umani, tipici presso molti antichi popoli nei periodi di stress. Il nome del tempio Hinakai Mouliawa significa “scolorimento della Luna, con una nebbia oscura”, e ben si spiega con il mutamento di colore della Luna testimoniato dagli annali di Canterbury. Nome incorporato nei titoli dei capi delle Hawaii.
- EVIDENZE DAL SUDAMERICA
In Sud America, particolarmente nel Perù, osserviamo, nel periodo in questione, la repentina fine delle grandi culture della costa (Mochica, Chimu…), che avevano costruito enormi piramidi, come quelle di Tucume, presso la città di Lambayeque nel Perù settentrionale. La più grande ha una base quadrata di lato di circa 800 metri; con 70 metri di altezza è meno alta della piramide di Cheope, ma ha un volume totale maggiore del 30 per cento. Fu sviluppato anche un complesso sistema d’irrigazione, dato che la regione costiera è quasi completamente priva di pioggia, ma l’acqua è disponibile dai fiumi scendenti dalle Ande. La fine delle civiltà costiere fu improvvisa e senza ripresa. Le piramidi, di terra compattata, vennero erose da pesanti piogge, ben rare in quella regione, la più arida della Terra.
In secondo luogo, osserviamo che, subito dopo la fine delle civiltà costiere, sorge, nei territori montuosi delle Ande, la civiltà degli Incas. Nel corso di tre secoli, sino al loro collasso di fronte agli spagnoli, gli Incas fondarono un vasto impero, probabilmente utilizzando anche le conoscenze e le tecniche di costruzione dei popoli costieri. Un impero esteso dall’Equador al Cile, con province collegate da un efficiente sistema stradale. La famiglia reale inca rivendicava un’origine molto antica, e usava un linguaggio speciale, il Quechua reale.
Secondo un manoscritto recentemente rinvenuto, v. Miccinelli (2003), datato al 1611 e attribuito a Blas Valera, un gesuita, figlio di spagnolo e di principessa della famiglia reale inca, i re incaici facevano risalire la propria origine al sesto secolo, periodo di grande attività cometaria e della peste di Giustiniano. A quell’epoca due gruppi di migranti, secondo Valera, giunsero in Sud America, incontrandosi e scontrandosi a un certo punto. Un gruppo, i Tartari, veniva da occidente, l’altro da oriente, detti Viracochas, indossanti abiti bianchi. Nello scontro che seguì la maggior parte dei Viracochas venne uccisa. Dove avvenisse l’incontro è ignoto, ma si può supporre nella Bolivia, ricca di argento. Il popolo bianco potrebbe esservi giunto tramite i fiumi San Francisco, Real, Paranà, Paraguay e Pilcomayo, costituenti una via fluviale nota ai Templari, v. De Mahieu (2005), e prima ancora forse ai Fenici e ai navigatori indiani, i cosiddetti Pani Tirani. In Calzolari e Spedicato (2019) è arguito che Francesco seguì i Templari in un loro viaggio verso l’attuale Bolivia, lasciando tracce che non sono solo il nome del Rio San Francisco.
Secondo Blas Valera la famiglia reale inca discendeva da matrimoni misti fra Tatarie sopravvissuti Viracochas, questi probabilmente in maggioranza femmine.
Il fatto che dopo il collasso della civiltà costiera sia sorta un’altra civiltà, localizzata soprattutto sulle montagne, è spiegabile con una devastazione della costa per catastrofe naturale, ovvero un grande tsunami originato dai considerati impatti sul Pacifico. Uno tsunami che spaventò terribilmente i sopravvissuti e i popoli vicini. L’area costiera fu abbandonata, la civiltà ripartì su terreno più alto, considerato più sicuro. A questo dislocamento geografico contribuirono forse anche cambiamenti climatici, come più aride condizioni lungo la costa.
In aggiunta, analizzando il comportamento di El Niño nel passato, si trovano insolite condizioni nel periodo considerato. Informazioni sulla storia di El Niño sono ottenibili dai sedimenti oceanici, studiando in particolare la relativa abbondanza di certi molluschi, che prosperano soltanto quando la temperatura dell’acqua supera un certo livello. L’acqua oceanica lungo la costa peruviana di norma è fredda, ma si riscalda con El Niño, fenomeno che fa scomparire i molluschi che vivono in acqua più fredda. Si è scoperto che El Niño raggiunse un massimo di attività verso la metà del dodicesimo secolo. Il ruolo normale dell’Oceano Pacifico fu sconvolto. Si ebbero piogge torrenziali sulle aride coste peruviane, spiegando quindi la forte erosione delle piramidi e la rovina del sistema di irrigazione. La costa fu anche devastata da un immenso tsunami.
- EVIDENZE DALL’AMERICA CENTRALE
La quinta evidenza giunge dall’America Centrale. È connessa all’origine della civiltà azteca, e può spiegare anche l’ossessione azteca per i sacrifici umani.
Quando Cortés raggiunse il Messico Centrale vi incontrò gli Aztechi, abitanti di una regione non molto estesa, a ovest dei vulcani Popocatépetl e Ixtaccìhuatl. Era una regione a forma di conca, di circa 2000 chilometri quadrati, circondata di alte montagne. I fiumi locali non sboccavano nell’oceano, ma in un lago pantanoso, al centro della conca, il lago Texcoco, ora quasi del tutto prosciugato. Al centro del lago, su alcune isolette, sorgeva la capitale, Tenochtitlán, che al tempo di Cortés aveva forse oltre un milione di abitanti. In una lettera a Carlo V, Cortés affermò che oltre 400.000 persone della città erano morte di vaiolo, portato dagli spagnoli (pare tramite un loro schiavo negro). Altri morirono di ferite, nel corso di combattimenti. Ne sopravvissero alcune migliaia.
Considerazioni geografiche mostrano che gli Aztechi avevano scelto, per costruire la loro capitale, una zona con una caratteristica speciale: era ben protetta, grazie alla elevazione e alle circostanti montagne, contro una eventuale grande ondata tsunamica. Sappiamo di una simile ondata alta 300 metri provocata dal crollo di un lato di una montagna del Canada, sull’accidentata costa occidentale. Un’ondata su New York alta forse anche 600 metri, è prevista se crollassero nelle acque dell’Atlantico i venti chilometri di costa verticale dell’isola La Palma, nelle Canarie, che sono una struttura instabile a causa dell’accumulo di acque fra tali rocce costiere e quelle dell’interno.
Vari documenti, fra cui uno dei pochi codici mesoamericani sopravvissuti, il codice Ramirez, Silvini (1985), indicano che gli Aztechi non erano nativi del Messico centrale. Erano immigranti giunti circa tre secoli prima di Cortés, poco prima del 1200. Il luogo di origine, detto Aztlán, è localizzabile sulla costa del Pacifico, presso l’attuale città messicana di Mazatlán. Secondo Vaillant (1965) e Brundage (1972), migrarono verso la metà del dodicesimo secolo, Brundage stimando come data il 1168, anno assai prossimo al nostro 1178.
Perché gli Aztechi si spostarono dalla costa all’altopiano? Come accadde lungo le coste del Perù, nel qui proposto 1178, anche la costa pacifica del Messico dovette essere devastata da un enorme tsunami. I terrificati sopravvissuti cercarono un luogo sicuro, trovandolo nelle isole del lago Texcoco. Forse interpretarono la catastrofe in termini religiosi, come una punizione divina, di cui evitare una ripetizione via riti religiosi, caratterizzati anche da sacrifici umani. Gli spagnoli interpretarono come diabolici tali sacrifici, rintracciabili in varie parti del mondo, le cui radici sono molto antiche, e associabili a grandi catastrofi del passato, vedasi Mankind in amnesia, di Velikovsky (1982).
È noto che Moctezuma accolse Cortés amichevolmente, pensando che fosse il ritornato Quetzalcόatl, un saggio vestito di bianco arrivato circa trecento anni prima con compagni a due teste, portati da un grande uccello dalle ali bianche. In Calzolari e Spedicato (2019) la storia di Quetzalcόatl è spiegata con l’arrivo sulla costa messicana, nella zona di Veracruz, di almeno un galeone templare (l’uccello dalle grandi ali bianche), su cui viaggiavano Francesco d’Assisi (il saggio ritenuto Quetzalcoatl, capace di interagire con sciamani locali via telepatica), e i templari a cavallo visti come uomini a due teste…
Ricordiamo che i Toltechi, che controllarono il Messico centrale per molti secoli, persero il loro potere, con distruzione della loro capitale Tollan (ora Tula), in un anno ufficialmente stimato al 1168, ma che ben potrebbe essere il 1178…. L’ultimo re si suicidò, a causa di segni e meraviglie apparsi in cielo, visti come segno della fine della dinastia, vedi Clapham (1998). Fu quindi facile per gli aztechi impadronirsi di un territorio prima controllato dai toltechi. Ricordiamo anche il suicidio, per ritenuta perdita del favore celeste, dell’imperatore cinese al tempo della peste di Giustiniano, circa 540 AD, quando gran parte della popolazione cinese perì per malattia e carestia, e si diffuse l’antropofagia.
- EVIDENZE DAL GIAPPONE
Verso il 1178 si nota una discontinuità storica in Giappone. Il potere, dopo intensi scontri militari, passa dalla dinastia dei Tara meridionali (capitale Miako, ora Kyoto) alla dinastia settentrionale dei Minamoto (capitale Kamakura; vicino a Edo, ora Tokio). Questo evento politico è associato a insolite condizioni meteorologiche, fra cui un violentissimo e inatteso tifone che distrusse la flotta dei Tara. Tale evento potrebbe considerarsi casuale, ma un tifone inatteso per potenza e per la stagione in cui si manifestò si ebbe anche pochi anni dopo, quando la flotta spedita da Kublai Khan per conquistare il Giappone venne annientata da un tifone, ne racconta Marco Polo. Si può ipotizzare che forti e irregolari tifoni nel nordovest del Pacifico si sviluppassero in tal periodo, in corrispondenza all’insolito El Niño che devastò le coste peruviane.
- EVIDENZE DALLA CINA DEL NORD
Il XII secolo è un periodo critico nella Cina del Nord. Da un punto di vista politico la decadenza della dinastia Song testimonia tensione sociale e diffuse ribellioni, testimoniate nel romanzo di Shi Naian scritto qualche tempo dopo, I briganti della palude, storia di un ribelle e dei suoi 108 compagni.
La Cina del Nord venne occupata dai nomadi Juchen, o Jurchi, della Manciuria, nella seconda metà di quel secolo. Disastri naturali senza precedenti colpirono la regione, tra cui un’alluvione del Fiume Giallo, così catastrofica che la capitale dei Song del Nord, Kaifeng, venne quasi totalmente distrutta. Si noti che, nel 1194, la foce del fiume si spostò dal nord della penisola dello Shandong a sud della stessa, centinaia di chilometri lontano, ritornando alla posizione precedente nel 1852, dopo un’altra forte alluvione. Se questi disastri siano correlabili con gli eventi qui discussi, in particolare con una modifica del regime dei tifoni per variazione di El Niño, è una questione che richiede ulteriori ricerche.
- EVIDENZE DALLA MONGOLIA
Negli annali di Kublai Khan, l’imperatore mongolo nipote di Gengis Khan, ben noto per aver ospitato Marco Polo ed essere capo di un vastissimo impero dove regnavano pace ed ordine, si trova scritto che: “Il mio grande antenato Gengis Khan vide un segno di cambiamento in cielo… da manifestarsi nel nord”… Questa frase appare nella traduzione del testo presso il Royal Ontario Museum di Toronto, disponibile nella libreria di quel museo, il traduttore incontrato da chi scrive… vari anni fa. Ora, Gengis Khan, v. Adravanti (1984), nacque probabilmente nel 1167, e nel 1178 avrebbe avuto undici anni. Avrebbe potuto osservare e poi ben ricordarsi dei grandi fulmini globulari o delle comete o degli asteroidi, menzionati assai frequentemente a quei tempi dagli astronomi cinesi.
La conquista, da parte dei cavalieri mongoli, di oltre metà Asia, e di parte dell’Europa, in un paio di decenni, costituisce uno dei maggiori eventi storici, dove si sono forse avuti i maggiori massacri. La straordinaria personalità di Gengis Khan, uomo di enorme intelligenza, volontà, capacità di pianificazione, fu certamente un fattore primario per l’espansione mongola. Nel testo mongolo Storia segreta, l’offensiva mongola è spiegata come una vendetta per torti subiti. Tra questi, l’annientamento della famiglia di Gengis Khan (egli stesso sopravvisse nascondendosi nelle acque di un fiume) e i torti subiti dalla sua tribù, ad opera dei vicini cristiani nestoriani, delle tribù Tayichud e Kereit (anche il nonno di Gengis era nestoriano). L’attacco dei mongoli contro la Persia, enorme impero con sultano turco selgiuchide, esteso dall’Anatolia all’Asia centrale, produsse uno dei maggiori massacri ricordati. L’Asia centrale fu devastata tanto da non essersi ancora rimessa. Tale sanguinosa guerra fu giustificata come vendetta contro il sultano Jalal al Din, che non aveva punito il massacro di pacifici mercanti mongoli e poi fece uccidere gli ambasciatori inviati da Gengis per protestare. Vedi Ata Malik al Juvaini, tradotto da Scarcia (1991).
A parte queste classiche motivazioni, altre ragioni potrebbero aver spinto i mongoli a migrare dalle loro terre verso altre con clima migliore. La Mongolia è un altopiano con inverni freddissimi, particolarmente negli Altai, ove nacque Gengis Khan. Un’espansione dei mongoli potrebbe essere derivata da un drammatico e inatteso mutamento del clima, con inverni più freddi e più nevosi del normale; e con neve che non si scioglieva durante l’estate, rendendo la normale vita pastorale quasi impossibile. Un’indicazione di questa situazione, con un inverno molto freddo durato per due generazioni, si vede in al Juvaini, un persiano del Khorasan, nominato governatore della Persia dai mongoli.
Scrisse una affascinante storia della conquista mongolica, dopo la caduta nel 1256 della roccaforte di Alamut, punto di forza degli Ismailiti, in occidente noti come Assassini. Tale fortezza custodiva una delle più grandi biblioteche del tempo; la maggior parte dei libri vennero bruciati come incompatibili con il Corano, ma il governatore ne salvò un certo numero, non dicendo sfortunatamente quali. Al Juvaini dichiara che quando Alamut fu presa, i meli tornarono a produrre frutti in Mongolia, come non era avvenuto per due generazioni. Questa è una indicazione di inverno freddissimo sull’altopiano mongolo. Il melo, forse originario dall’Asia, resiste sino a -50°. Meli con i migliori frutti crescono nella valle del Fergana, nome che significa fertile giardino; qui si trova la città di Alma Ata, che significa padre delle mele: alma è mela, a Ata è padre… Ataturk, padre dei turchi…
Nel 1979 un’ondata di gelo spazzò la Russia, e la temperatura scese a -50° a Mosca. Le condutture dell’acqua, nel Centro di Calcolo dell’Accademia delle Scienze dove lavoravo, gelarono ed esplosero. Venne a mancare l’acqua per l’eliminazione dei rifiuti… Ero arrivato all’inizio di maggio, c’era neve per le strade… la temperatura in una settimana passò dal grande gelo a più di 40 gradi… A Kirov, 600 chilometri a nordest di Mosca, era scesa quell’inverno sotto i 55 gradi.
Gli alberi di melo sopravvissero a Mosca, morirono a Kirov.
Se la guerra dei mongoli fu motivata da ragioni climatiche, una ragione simile potrebbe spiegare le grandi migrazioni di popoli e le guerre che coinvolsero popoli pastorali in altre epoche, compresi Unni e Sciti, fra cui una grande invasione di Sciti nel Medio Oriente e in Egitto, cui si riferisce Diodoro.
Altrove, v. Spedicato (2014), si argomenta che gli Hyksos, che invasero l’Egitto subito dopo la fuga degli ebrei al comando di Mosè, nel 1447 AD, nello scenario di Velikovsky (1953), Rohl (1995) e VAS, , erano nomadi turanici, forti e distruttivi come i mongoli di Gengis Khan.
In Spedicato (1997) si argomenta che Hyksos significa uomini a cavallo, lo stesso appellativo dato ai mongoli dai cinesi. Il nome Hyksos fu loro dato dai popoli invasi; il nome originale era Amu, riferito alla loro regione originaria, il Turan, dove scorre il fiume Amu Daya (acqua di Adamo?), ed era importante la città di Amol… da cui anche il nome Amalek, Amaleciti, con cui appaiono nella Bibbia, Mosè combattendo con un gruppo di tali nomadi, e vincendoli…
- EVIDENZE DALLA CAMBOGIA
La Cambogia, paese del sudest asiatico, possiede una poco nota ma interessante storia. Sino all’arrivo dei Khmer Rossi, guidati da Pol Pot, rivoluzionari formatisi nella Francia marxista e che sterminarono almeno un quarto dei cambogiani, la Cambogia era famosa per avere forse la maggior concentrazione di arte e monumenti in Asia. Si stima che il 95% di tale ricchezza sia stato distrutto dai Khmer Rossi; una percentuale di distruzione simile a quella avvenuta per opera delle Guardie Rosse nel Tibet. Pochi i monumenti salvati, forse grazie al loro speciale significato, riconosciuto persino da rivoluzionari pronti a distruggere ogni documentazione del passato.
Come citato in Spedicato (2016), intatto resta il grande tempio di Ta Prohm, presso il famoso complesso di Angkor, sfuggito parzialmente alla distruzione. Le mura del Ta Prohm misurano 1000 per 600 metri: la loro somma, 1600, richiama il valore della sezione aurea, 1.618, un numero che caratterizza molte strutture antiche, anche se non in Asia orientale. Se l’apparire di tale numero non è un fatto casuale, sarebbe il primo caso in cui appare la sezione aurea nell’archeologia dell’Asia orientale, stando all’archeo-astronomo Adriano Gaspani.
Nel tempio di Ta Prohm ci sono 260 statue, circondanti tre dei. Una iscrizione dichiara che il tempio venne finito nel 1186, poco dopo l’evento del 1178. Provocato dagli impatti del 1178 sul Pacifico, un grande tsunami potrebbe aver colpito il bassopiano meridionale della Cambogia, sede della originaria civiltà Fusan. La catastrofe potrebbe aver portato alla costruzione del tempio Ta Prohm. Sul numero delle statue, 260, si può ipotizzare che un oggetto, di periodo orbitale di 260 giorni rispetto al Sole, fosse apparso in cielo. Il numero 260 compare, con significato sacro, almeno in altri due contesti interessanti, ed enigmatici:
- Il numero dei giorni del calendario rituale maya.
- Il numero di stelle attorno alla parte centrale del soffitto di Senmut, datato alla XVIII dinastia egizia: v. Spedicato (2016) per la relativa analisi, in gran parte relazionata all’impatto di P su Giove, verso il 7000 AD.
Un oggetto ruotante attorno al Sole con periodo di 260 giorni si muoverebbe tra l’ attuale orbita della Terra, nello scenario VAS non cambiata in modo significativo, ora con periodo di circa 365 giorni, e quella di Venere, ora con periodo di circa 225 giorni. Nello scenario VAS l’orbita di Venere, verso il 750 AD, divenne quasi circolare, dopo circa 6000 anni in cui fu prima caotica e poi ellittica. Il corpo poteva divenire ben visibile in certe condizioni, quando arrivava vicino alla Terra.
Sull’origine di tale corpo una ipotesi. Dal Symposium di Platone e da un frammento di Alcmane, della cui informazione sono grato al grecista Luigi Lehnus, sappiamo che Metis, altro nome di Nibiru nello scenario VAS, aveva un figlio di nome Poro, Poros. Ipotizziamo che Poros, fosse un satellite di Metis, strappatole all’incontro con la Terra. Non fu catturato come la Luna, divenendo un secondo satellite terrestre insieme a Marte, ma si mosse su un’orbita indipendente di 260 giorni: numero che appare presso i Maya, sul soffitto di Senmut e nel tempio di Ta Prohm.
- EVIDENZE DALL’EUROPA
Non esistono particolari discontinuità in Europa nella seconda metà del XII secolo, tempo di intensa crescita economica e demografica, periodo d’oro del Medioevo europeo, vedasi Livi Bacci (1998) sul triplicarsi della popolazione europea dopo il 1000. Questo fatto indica che, se il bacino del Pacifico fu colpito da una catastrofe, gli effetti sull’opposto emisfero furono limitati. Tuttavia, alcuni fenomeni negativi che caratterizzano i secoli seguenti potrebbero aver radici nell’evento catastrofico del 1178.
In primo luogo, indicazioni di un deterioramento del clima appaiono nella dendrocronologia irlandese, dove Baillie (1995) ha scoperto anelli di poca crescita, nel periodo 1163-1189, segno di una serie di estati fredde. In questo periodo calò anche la produzione agricola, provocando agitazioni sociali, fatto che può aver spinto molti ad arruolarsi nelle Crociate o a seguire austere nuove religioni, come quella dei catari. E può essere stato una concausa di eventi semileggendari nella storia di Robin Hood, vedasi Clapham (1998).
In secondo luogo, all’inizio del XIV secolo l’Europa è colpita dalla Peste Nera, solitamente attribuita al batterio della peste, concausa forse anche il batterio dell’antrace, vedi Cantor (2002). Questa epidemia, per quanto non micidiale come quella dei tempi di Giustiniano, uccise circa un terzo della popolazione europea (percentuale variante nelle diverse località; la Boemia, stranamente, ne scampò quasi interamente). Si crede che la peste sia iniziata in Mongolia, costituendo il più importante fattore della caduta in Cina della dinastia Yuan. Raggiunse l’Europa attraverso il Mediterraneo e i porti del Mar Nero, che commerciavano con l’Oriente, e anche attraverso le Vie della Seta. Richiese parecchio tempo per diffondersi; in Islanda arrivò solo nel 1402; v. Anonymus (1839a), Hoyle e Wickramasinghe (1980) hanno supposto che venisse da batteri dallo spazio, portati da comete (fu un tempo di intensa attività cometaria).
Nello scenario da noi proposto, di severa crisi climatica nella regione mongolica, è possibile che i batteri si siano fatti più virulenti o che abbiano trovato più facile accesso a una popolazione indebolita da vari fattori. Oppure, accettando il suggerimento di Hoyle et al., che gli impatti sulla regione pacifica, includendo la Cina del Nord e la Mongolia, abbiano apportato nuovo materiale batterico. Tali batteri penetrarono nei ratti e attaccarono più facilmente una popolazione indebolita da mutamenti climatici, dalla carestia e dalla guerra… E si può discutere qui anche sulla origine della pandemia da covid…
- EVIDENZE DAL MEDIORIENTE
Nel Medioriente si osserva, nel periodo considerato, una ripresa della religiosità e degli atti di penitenza ed espiazione. Citiamo due episodi:
- Ad Alamut, roccaforte ismailita, v. Daftary (2003), Jalal al Din prese il potere nel 1177, dopo aver avvelenato il padre. Capovolse la politica originale degli Ismailiti, facendo pace con il califfo di Baghdad. Mandò l’intero harem al pellegrinaggio alla Mecca. Venne detto il nuovo musulmano.
- L’emiro curdo fatimita Salah al Din, noto in occidente come Saladino, nonno del sultano Al Kamil che ricevette Francesco d’Assisi, divenne visir d’Egitto nel 1170. Credeva di avere una speciale vocazione e di dover di liberare Gerusalemme dai cristiani, impresa che realizzò. Cito dall’Anonymous (1839b): La sua illuminazione lo spingeva a una vita frugale, e tutta la sua vita divenne religiosissima… Aveva visto un segno celeste e lo interpretò come qualcosa rivolto alla sua persona.
Incuriosisce che sia il Saladino che il movimento degli ismailiti avessero radici in Kurdistan, regione dell’impero persiano, dove la religione dei Magi, caratterizzata da una particolare enfasi sugli eventi celesti, era assai sviluppata, e della quale alcune caratteristiche sopravvivono presso gli Yezidi. La famiglia del Saladino potrebbe esser stata depositaria di conoscenze segrete dei Magi. Parecchie sette del Kurdistan e della valle libanese della Bekah, centro della religione drusa, che ha relazioni con quella degli Ismailiti, ancora mantengono segreti gli aspetti più fondamentali del loro credo.
RINGRAZIAMENTI
Per discussioni ed informazioni ringrazio:
il grande esploratore degli oceani, Thor Heyerdahl, incontrato a Laigueglia, Liguria, e a Guimar, Tenerife; l’astronomo Victor Clube, incontrato a Oxford;
il matematico Laurence Dixon, cui sono debitore per avermi introdotto agli sviluppi delle idee di Velikovsky via le riviste Pensée, Velikovskian, Aeon, Chronology and Catastrophism.
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Tutti i diritti riservati all’Autore
Emilio Spedicato
Già ordinario di Ricerca Operativa
Dipartimento di Matematica
Università di Bergamo
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Release Dicembre 2021