Il sorriso di Auschwitz
di Mario Pintacuda
Lo scorso 15 aprile una giornalista britannica (di nome Maria) ha postato su Twitter una foto che mostra due giovani turisti ad Auschwitz: sul binario che conduceva al lager migliaia di deportati, destinati a sofferenze atroci e spesso alla morte, un ragazzo accovacciato per terra scatta una foto a una ragazza, sdraiata poco più avanti sulle rotaie in posa accattivante: mano sulla testa, sorriso sgargiante e una gamba leggermente piegata.
Tutto normale, se lo sfondo fosse un azzurro orizzonte marino, un suggestivo scenario montano, un luogo famoso (piazza di Spagna, o la Tour Eiffel, o il Partenone). “Normale”, precisiamolo, nel senso che, per chi fa foto del genere, non conta nulla lo sfondo, ma conta solo l’esibizione narcisistica di se stessi e la documentazione cronachistica della loro esistenza quotidiana.
Tuttavia questa foto in particolare, scattata davanti a un campo di concentramento dove un milione di persone ha perso la vita, dimostra qualcosa di ancora più triste.
Le giovani generazioni non hanno più il senso del tempo e dello spazio: ignorano il passato, malamente e fuggevolmente presentato nelle aule scolastiche e ridotto a “studiate da pag. 20 a pag. 30” (minimo dieci pagine alla volta, ovviamente, visto che il tempo “è denaro”…); e ignorano la geografia, poiché non saprebbero indicare su una cartina nemmeno le località più vicine alla loro residenza.
Soprattutto, è cresciuta la tendenza a “consumare” tutto in fretta, a vivere un’esistenza “usa e getta”, “hic et nunc”, dove conta solo l’istante fugace, decontestualizzato e spesso incompreso, ma da “fermare” in un “selfie” da sbandierare coi propri followers.
Molte volte capita di vedere dei gruppi turistici in cui, mentre una volenterosa e patetica guida tenta di illustrare monumenti e luoghi famosi, i membri del gruppo pensano solo a scattare foto, oppure (con le cuffie nelle orecchie) ascoltano musiche immergendosi nel loro asettico “nirvana”, oppure si scattano dei “selfie” ridacchiando.
C’è gente che, nei musei dove è consentito, si auto-immortala (ma sono ancora “immortali” queste istantanee bruciate nello spazio di 24 ore?) facendo sorrisetti o corna o smorfie davanti a un dipinto famoso (o presunto tale).
Il tutto sempre allo stesso scopo: fare vedere di esistere, mettere se stessi al centro di tutto, in una dimensione narcisistica ed esibizionista che viene ritenuta l’unica che “paga” in termini di realizzazione nel mondo di oggi.
Certo, esiste ancora chi si indigna di queste cose; la stessa twitter Maria definisce la situazione descritta come “totale distacco dalla realtà” (“total detachment from reality”) e commenta così: “Oggi ho vissuto una delle esperienze più strazianti della mia vita. Purtroppo non sembrava che ognuno la trovasse così toccante” (“Today I had one of the most harrowing experiences of my life. Regrettably it didn’t seem everyone there found it quite so poignant”); molti sono i commenti analoghi di tante persone da ogni parte del mondo (il tweet è stato visto 30 milioni di volte).
Tuttavia, anche davanti a un episodio del genere (che suscita sdegno e perplessità), sempre più persone ritengono la cosa assolutamente normale ed anzi si sorprendono di certe reazioni, ritenendole “spropositate” e obsolete. Secondo loro, così va il mondo di oggi e bisogna accettarlo così: il passato (oggetto misterioso e scomodo) è passato e non torna mai più. Conseguentemente, nel luogo (divenuto “location”) dove milioni di persone hanno sofferto e sono state umiliate nella loro dignità di essere umano, si può oggi sorridere a trentadue denti con il volto illuminato dal sole del nuovo millennio.
E di fronte a questo giovane sorriso sfrontato e arrogante, diventano cenere e polvere le parole disperate di chi aveva vissuto davvero quelle esperienze tremende: “Meditate che questo è stato: / vi comando queste parole. / Scolpitele nel vostro cuore / stando in casa andando per via, / coricandovi alzandovi; / ripetetele ai vostri figli. / O vi si sfaccia la casa, / la malattia vi impedisca, / i vostri nati torcano il viso da voi”.
Così ha detto ieri il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, rivolgendosi ad Auschwitz a giovani studenti e studentesse: “Studiate questa storia e poi trasmettetela a vostra volta. Qui si ha la misura dell’inimmaginabile: perciò bisogna ricordare, tramandare la memoria della Shoah”.
Tantissimi giovani, anche oggi, ne sono perfettamente consapevoli; a loro l’arduo compito di opporsi al degrado dell’oblìo, dell’effimero narcisismo e della superficialità dilagante.