Il secolo della sigaretta: storia di una epidemia
Dalla nascita della sigaretta al conflitto tra big Tobacco e Salute.
Alla fine del 19° secolo, negli Stati Uniti, ha inizio la produzione industriale ed il consumo di massa delle sigarette grazie a varie innovazioni: l’introduzione di miscele e processi di lavorazione per produrre un tabacco il cui fumo poteva essere aspirato, l’invenzione della macchina rollatrice automatica che permise la produzione di massa di sigarette e di fiammiferi non tossici, i progressi dei trasporti che favorì un’ampia distribuzione di sigarette e, non ultimo, l’uso della pubblicità sui mass media per promuoverne il consumo.
Nel volgere di un paio di decenni, quella delle sigarette divenne la prima industria realmente nazionale negli Stati Uniti e la sigaretta cominciò la lunga marcia per creare un nuovo consumatore e un mercato mondiale.
Ciononostante, ai primi del ‘900, le sigarette coprivano a malapena il 5% del mercato dei prodotti del tabacco. In quegli anni, in Italia dove il Monopolio Tabacchi produceva essenzialmente sigari e tabacco da pipa, la sigaretta che era fatta con tabacchi balcanici, costituiva lo 0,03% della produzione domestica.
1914-1917 La sigaretta che negli USA era stata combattuta, assieme all’alcool, come vizio morale, venne accettata in guerra. Le industrie del tabacco e della pubblicità colsero un’opportunità: sigarette patriottiche per i soldati. Con la Grande Guerra fu creato il vasto mercato moderno delle sigarette. Prima di essa, fumare sigarette era considerato un comportamento, per gli uomini, poco virile ed inappropriato per le donne. Ma con la guerra, tutto questo cambiò da un giorno all’altro.
Il generale americano Pershing ebbe a dire che, per le truppe, le sigarette erano importanti quanto i proiettili. Associazioni come la Croce Rossa, che in precedenza si erano opposte al fumo, finirono col raccogliere grandi quantità di sigarette per i ragazzi al fronte. Le vendite furono ai massimi storici, ad esempio negli Stati Uniti, nel 1918, la Bleckwell vendette l’intera produzione di sigarette Bull Durham al Dipartimento della Guerra. E le famiglie venivano incoraggiate a inviare sigarette extra alle truppe.
Tra le due guerre. La sigaretta emerge dalla prima guerra mondiale come un elemento centrale nella cultura materiale negli Stati Uniti e in altri paesi belligeranti, come l’Italia, in cui il consumo di sigarette arrivò a superare i 4,6 miliardi all’anno: circa 100 sigarette per persona. L’abitudine al fumo persistette inesorabilmente tra gli uomini tornati alla vita civile che avevano imparato a fumare nelle trincee ed erano dipendenti dal fumo.
D’altra parte, l’industria del tabacco mostrò una grande vitalità, nei campi della pubblicità e delle pubbliche relazioni, e si mostrò capace di legare il fumo a nuovi elementi simbolici, che erano in grado di agganciare sempre nuovi potenziali consumatori: dagli adulti, ai giovani, alle donne.
Oltre alla pubblicità diretta, l’industria del tabacco usò un’altra giovane industria: quella cinematografica. Il fumo divenne un comportamento associato ai personaggi più affascinanti e alle scene più coinvolgenti dei film e successivamente della televisione.
Furono messi a punto sistemi per la pubblicità occulta come il posizionamento di prodotto ed altri metodi nelle scene degli spettacoli, promozioni e sponsorizzazioni. L’industria cominciò a usare eventi e marchi sportivi e si insinuò nelle tendenze della moda e del costume. Fumare diventa normale, stare in ambienti in cui le persone fumano è normale: al cinema, al bar, nelle sale da ballo, nelle riunioni, nei luoghi di lavoro, in ascensore, in casa, in ospedale, per strada e così via.
In Italia, la relazione tra fascismo e fumo di sigarette fu di basso profilo: Mussolini non fuma e fa riferimento al fumo come un’abitudine non adatta all’uomo nuovo fascista, ciononostante la coltivazione del tabacco è una delle principali attività agricole, promossa anche nelle colonie africane.
Nel 1934, l’Italia segue prontamente l’esempio britannico e promulga il divieto di vendita e somministrazione di tabacco ai minori di 16 anni, ai quali è vietato anche di fumare nei luoghi pubblici (RD 2136 TU leggi protezione assistenza maternità e infanzia). Tuttavia, l’Italia non si allinea alle posizioni del Nazismo che conduce un’intensa campagna antitabacco con motivazioni salutiste.
Fumare in Italia è più che tollerato: negli anni Trenta e Quaranta, almeno il 50% degli uomini fuma mentre tra le donne il consumo di sigarette è occasionale: solo il 2-3% delle donne fuma. In base ai dati Istat, è stato stimato retrospettivamente che la prevalenza di fumatori tra gli uomini aumenta rapidamente fino alla generazione nata negli anni 1920-1929 (68% di fumatori nel 1960), per poi declinare lentamente nelle generazioni successive.
Nel 1942 viene adottata la disciplina in materia di contrabbando con la legge 907 su monopolio dei sali e dei tabacchi.
La seconda guerra mondiale La sigaretta, conferma la sua fortuna anche nella seconda guerra mondiale, e nel 1950 arriva a coprire oltre l’80% del mercato del tabacco negli Stati Uniti. Dopo la guerra gli USA lanciano un piano straordinario per l’Europa: l’European recovery program, meglio conosciuto come Piano Marshall, che comportò per l’Italia aiuti per oltre 1500 milioni di dollari.
Il piano comprendeva una partecipazione dei produttori americani di tabacco, aprendo il mercato europeo alle esportazioni di sigarette americane. Nel 1950 in Italia il consumo pro-capite è oramai decuplicato (circa mille sigarette all’anno per persona) ma, sulla base di indagini con interviste, si stima (La Vecchia) che la quantità effettivamente consumata potrebbe essere stata anche il doppio di quella venduta legalmente.
Alla fine, nonostante fosse stata osteggiata e addirittura proibita in diversi stati al suo esordio, e nonostante forti dubbi fossero stati espressi relativamente alla possibile nocività, la sigaretta continua la sua irresistibile ascesa fino a diventare parte normale del modo di vivere moderno, tacitando ogni voce critica.
Fonte: TOBACCO ANDGAME