Il proposito etico della Commedia di Dante
di Giovanni Teresi
Dante nella Commedia non vuole insegnare conoscenze, principi, teorie; piuttosto si avvale di essi per conferire alla narrazione fantastica la forza dell’intelletto e della dottrina.
Persino le parti più scopertamente didascaliche e allegoriche, i dati più astratti e concettuali della sua esperienza, sono tradotti in termini concreti e affidati ad una varietà prodigiosa di soluzioni figurative e verbali.
Il proposito etico dell’opera è, infatti, da egli stesso definito nella Lettera XIII a Cangrande della Scala come “removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis“.
E, nella stessa Lettera XIII Dante bene esplicita a proposito della Commedia:
“Nam si in aliquo loco vel passu pertractatur ad modum speculativi negotii, hoc non est gratia speculativi negotii, sed gratia operis, quia, ut ait Philosophus in secundo Metaphisicorum < ad aliquid et nulle speculantur practici aliquando >”
(Infatti se in qualche luogo o passo si tratta secondo il modo speculativo, ciò non è fatto per fine di speculazione, ma in grazia dell’opera; perché, come dice il Filosofo (Aristotele) nel secondo libro della Metafisica < talvolta anche i pratici usano speculare per qualche ragione e per un tempo limitato >).
Ne consegue che anche il “genus philosophiae”, cioè il sapere più strettamente scientifico e filosofico che imbeve l’esperienza autobiografica e letteraria dell’autore, non può essere valutato in funzione autonoma, perché esso è utilizzato nelle sue parti ragionative, persuasive ed esemplificative, “non ad speculandum, sed gratia operis”.
E siamo dunque al superamento di quel ruolo di divulgazione del sapere e di insegnamento che Dante aveva assunto nel definire come finalità del suo Convivio, “inducere gli uomini a scienza e virtù” (C.I., 9): finalità propria di tutta la letteratura sacra e profana connotata, appunto, da un atteggiamento didattico.
Nel Convivio possiamo cogliere una funzione e una connotazione preminentemente didattica dell’opera nel proposito, esplicitamente dichiarato dall’autore, di voler impartire ammaestramenti di vario genere. Il Convivio è scritto anche per umanissime ragioni di prestigio personale: acquistare quella fama di dotto e di filosofo che lo riabilitasse in Italia e in Firenze dalle disgrazie della condanna e dell’esilio.
Come la Commedia del resto.