Il Prete buono un racconto di Vincenzo Fiaschitello (seconda parte)
Una mattina, al termine della messa, una giovane donna si avvicinò a don Mario, pregandolo di dedicarle qualche minuto per riferirgli un problema personale. Il parroco la fece accomodare nell’ufficio e la incoraggiò a parlare. La donna si presentò, dicendo di appartenere alla parrocchia delle Anime Sante, dall’altra parte della città. Confessò che da circa un anno, il marito l’aveva abbandonata e costretta al divorzio perché gli accertamenti clinici, voluti con insistenza dal marito, avevano riscontrato in lei la causa della sterilità. Lei si era rassegnata, ma la sua fede cristiana le impediva di stare lontana dai sacramenti. Il parroco, a cui era ben nota la sua situazione familiare, si rifiutava di ammetterla alla comunione. E questo per lei costituiva un motivo di grande sofferenza. Per diversi mesi aveva sopportato con dignità e fiducia in Dio questo suo stato di isolamento dalla comunità, ma ora non riusciva più ad accettarlo. Non comprendeva questo rigore del suo parroco, nonostante conoscesse i particolari della vicenda. Terminò il racconto tra le lacrime.
Don Mario l’aveva ascoltata in silenzio. Man mano che la donna esprimeva il motivo della sua sofferenza, don Mario dentro di sé macinava pensieri che in varie occasioni aveva manifestato ai suoi parrocchiani. Purtroppo la Chiesa dimentica di essere la casa dell’uomo, più che di Dio. Il Gesù dei vangeli si è sempre tenuto lontano dai templi; egli è sceso sempre tra i malati, i poveri, gli afflitti. E accanto a lui non ci sono preti, non ne aveva bisogno. Forse già presagiva che si trattava di gente che anziché lasciarsi coinvolgere dall’amore per i fratelli, guarda alle regole, alle disposizioni istituzionali, all’obbedienza passiva a una organizzazione incrostata da schemi, da gerarchie, da interessi economici. Troncò questi pensieri, quando si accorse che la donna lo guardava e attendeva una sua risposta. Le sorrise, la rassicurò e le disse che se per lei non fosse stato gravoso raggiungere dalla sua abitazione la parrocchia alla quale con fiducia si era rivolta, poteva accedere ai sacramenti come tutti gli altri fedeli. Poi don Mario continuò:
-“Coloro che sostengono che per accogliere il Signore bisogna prima purificarsi sono nell’errore, perché è il Signore che viene in noi impuri per purificarci. E’ la religione che ci ha inculcato il senso di colpa o meglio la Chiesa come istituzione con i suoi ministri. Il Signore non si lascia condizionare dai comportamenti dell’uomo, non premia i buoni e punisce i cattivi. Dell’aria e della luce ne godono tutti, buoni e cattivi. Quindi, cara signora, riconquisti la sua libertà e serenità, perché il Signore trascura il peccato per stare con i poveri, i malati, i sofferenti. Egli si offre a tutti indistintamente per aiutarci a vivere la nostra vita, a realizzare quel progetto che ha stabilito da sempre per ciascuno di noi, venendo premurosamente incontro ai nostri bisogni”.
Giorno dopo giorno, don Mario si trovava dinanzi a situazioni simili che richiedevano un suo intervento accompagnato da affermazioni, che una parte dei suoi parrocchiani giudicava pericolose, non conformi alla dottrina insegnata dalla Chiesa. Era accaduto per un paio di giovani gay, che don Mario aveva accolto con spirito di carità e di comprensione. Sperimentava con dolore il rancore, i pregiudizi, la grettezza e la scarsezza di umanità di certi suoi irremovibili parrocchiani.
Una sera durante il consiglio pastorale, una suora che più volte aveva dimostrato un atteggiamento duro nei confronti di don Mario, quando toccava temi che a suo giudizio portavano uno sconvolgimento nella morale cristiana e una svalutazione della gerarchia ecclesiastica e dello stesso impegno di quei preti che miravano ciecamente alla difesa della tradizione millenaria della Chiesa, si alzò di scatto, protestando ad alta voce e dichiarando che avrebbe informato il vescovo. La scena suscitò sgomento e nello stesso tempo anche ilarità, perché per la furia con cui si era alzata, si procurò uno squarcio nella tonaca rimasta impigliata alla sedia, tanto da scoprire la coscia. Con il viso paonazzo per la vergogna, si aggiustò alla meglio e corse fuori della canonica.
Rimasto solo, don Mario si raccolse in preghiera e cercò conforto nella meditazione. Non era affatto preoccupato: sapeva già che il vescovo, avendolo ascoltato più volte, condivideva, sia pure con cautela, le sue idee che si allontanavano dal magistero tradizionale. Ma quello che ora premeva al parroco era il dubbio che quanto egli andava discutendo sull’amore di Dio, sul peccato, sull’inferno, sul demonio, sulla struttura terrena della Chiesa, potesse essere conforme alla volontà di Dio. In fondo si sentiva una nullità, una voce nel deserto, un volto sconosciuto, un piccolo sasso disperso tra la terra, un bicchiere sbrecciato vuoto e inutile. Come poteva il Signore avvalersi del suo eloquio, delle sue povere azioni, per costruire il suo Regno?
Quella sera don Mario era sicuro che nello stato d’animo in cui si trovava non avrebbe potuto prendere sonno. Mise in moto la sua vecchia vespa che, tossendo tossendo, prese l’avvio lungo il viale alberato. Don Mario la spinse alla massima velocità, tra i quaranta e i cinquanta chilometri l’ora, e uscì fuori dal paese. A quell’ora la strada era deserta; si sentiva il rumore del motore e di tanto in tanto l’abbaiare di qualche cane nei rari casolari che si incontravano. Poi d’un tratto si accorse che la cadenza dei pali del telefono lungo la strada cominciò a rallentare rapidamente; infine sentì spegnersi il motore. La vespa continuò ancora la sua marcia per inerzia per qualche decina di metri, poi si fermò definitivamente. Don Mario diede un’occhiata al serbatoio e si ricordò che era da parecchi giorni che non faceva visita a un benzinaio. Si guardò attorno, poi sedette su un paracarro in attesa. Ma in attesa di chi? Era quasi mezzanotte e intorno non c’era nessuna casa.
Si mise a contemplare le stelle, cercando di individuare qualche costellazione e ricordarne il nome. Lo spettacolo straordinario del cielo notturno, il silenzio, l’attesa di un possibile soccorso, tutto accentuava il senso di una solitudine che non gli infondeva alcuna mestizia, ma al contrario una forma di beatitudine, una gioia, che non riusciva a spiegarsi e che a un tratto gli fece esclamare: “Domine, ecce adsum! Eccomi, Signore, non stancarti a cercarmi!”
In quel momento apparvero subito dopo la curva in fondo alla strada, le luci di un autocarro che sussultava a causa delle numerose buche e della irregolarità dell’asfalto. Don Mario alzò il braccio, il camion rallentò e si fermò accanto a lui. Dal finestrino abbassato sentì una voce canzonatoria: “Un prete! Che ci fa a quest’ora un prete tutto solo in questa stradaccia provinciale?”
Don Mario spiegò in breve la sua avventura; il camionista lo aiutò a caricare la vespa e insieme ripartirono.
-“Davvero non mi sarei mai aspettato di incontrare un prete stanotte e per giunta di doverlo aiutare. E’ toccato proprio a me! A me che i colleghi chiamano Gino mangiapreti, per via del mio ateismo. Ma non abbia paura. Come ha detto che si chiama? Ah, sì, don Mario! Me l’aveva già detto. Si vede dagli occhi tranquilli, indagatori, dalle sue mani bianche senza callosità, che lei è un prete più che dalla tonaca. E ora sono sicuro che mi comincerà a parlare di Dio, della Chiesa, dei suoi santi e nel tempo del nostro viaggio vorrà convertirmi!”
-“Caro amico e fratello, ti confesso che mi fa piacere di aver incontrato un mangiapreti, un non credente, un non cristiano, un ateo, molto di più che se tu fossi stato credente e praticante”.
-“Se non sta scherzando, mi interessa sapere per quale ragione questa preferenza”.
-“No, non scherzo affatto. L’umanità è il segno distintivo della persona. E questo segno, lei, che si dichiara ateo, lo ha dimostrato questa sera venendo in mio soccorso. Ora purtroppo a volte un credente non manifesta uguale sollecitudine. Se lei ha avuto occasione di leggere o sentire la parabola narrata nel vangelo di Luca, il senso dell’umanità lo troviamo nel samaritano (un pagano per i giudei), il quale soccorre un tale lasciato mezzo morto dai briganti, più che in altre due persone, un sacerdote e un levita, rispettosi della Legge. Costoro lo guardano, ma vanno oltre senza intervenire. Con questo vorrei dirti con franchezza che io vedo più umanità in te, ateo, che in uno che si professa cristiano, ma è chiuso in sé e per nulla disposto ad aiutare il prossimo, a condividere con gli altri quell’amore di Dio che comunque generosamente si cala in lui, come in qualsiasi altro essere umano. Ecco quel che voglio dirti: là dove c’è un gesto di umanità, un gesto di amore, là c’è Dio. E’ come l’aria, Dio, è dovunque. Non sta chiuso in chiesa, non è proprietà dei preti. Il vero tempio dove sta Dio è nell’uomo, in ogni uomo. Ora mi viene spontaneo darti del tu, scusami. Tu, ateo, forse metti più impegno di un credente nel cercare Dio, anche se non te ne accorgi. Ecco perché per me non fa differenza tra te e un mio parrocchiano. Anche tu sei mio fratello e porti Dio dentro di te, sebbene ti consideri ateo.”
-“Ebbene, sarà come dice lei, reverendo, ma se c’è un Dio che mi sta dentro, forse dorme. E’ un Dio che mi ha amaramente castigato. Non si meravigli per queste mie parole. Ora le spiego. Come vede io svolgo questo lavoro di autotrasportatore, rifornisco varie aziende della provincia. Ma non è stato facile ottenerlo. Devo tutto a mia moglie, a cui volevo un gran bene. La sua morte orribile mi ha fatto ottenere questo posto di lavoro. Quel triste giorno di circa tre anni fa, lei, mamma di un bambino di due anni, mentre lavorava come operaia venne trascinata e maciullata dagli ingranaggi di una macchinario dell’azienda tessile dove lavorava. Mi ha aiutato mia suocera a crescere il bambino, ma mi creda non è stato facile e certo non lo è e non lo sarà ancora per molto tempo.
-“E’ una prova molto dura dinanzi alla quale Dio ti ha posto, ma sicuramente Dio non ha voluto castigare alcuna tua colpa. Abbiamo tutti bisogno di credere in un Dio, buono e giusto che ci viene incontro con amore di Padre. E tu, come ateo, paradossalmente sei in vantaggio rispetto a me, rispetto a tutti gli altri credenti, perché puoi metterti nella condizione più favorevole affinché lasci liberamente operare Dio sulla tua anima. Con questo intendo dirti che a differenza di tanti credenti che si costruiscono un Dio su misura personale, tu puoi sperimentarlo pensando te stesso su misura di Dio, accettando il mistero straordinario della vita.”
Per diversi giorni don Mario non smise di pensare a quell’uomo che il Signore aveva posto sulla sua strada, alla tragedia della giovane moglie. E ora aveva ancora più a cuore la sorte degli operai di una piccola fabbrica nelle vicinanze della sua chiesa. Da qualche tempo sospendevano il lavoro per manifestare dinanzi ai cancelli con cartelli e lunghi striscioni tutta la loro rabbia per il mancato accoglimento delle loro richieste. Don Mario le aveva più volte riconosciute giuste, perché non riguardavano soltanto rivendicazioni economiche, ma anche l’introduzione di migliori sistemi di controllo e di protezione per evitare infortuni ai lavoratori. Aveva incoraggiato i responsabili sindacali a insistere presso i proprietari e, in caso di irremovibilità e di rifiuto da parte di costoro, a manifestare pacificamente lungo le vie del paese. Don Mario avrebbe garantito anche la sua partecipazione alla protesta.
Dopo qualche settimana, poiché le richieste ancora restavano inascoltate, si decise di effettuare uno sciopero. Si prepararono cartelli e bandiere e, in massa, facendo un grande fracasso con tamburi e fischietti, tutti gli operai cominciarono a sfilare per le vie del paese. In prima fila, accanto ai responsabili sindacali, c’era don Mario, anche lui con un cartello, perché la gente potesse leggere le ragioni della protesta.
Quella era una cosa mai vista prima: un prete che scioperava accanto agli operai!
La gente era curiosa e una volta appresi i motivi dello sciopero applaudiva e solidarizzava con gli operai. E se qualcuno più curioso degli altri domandava al prete la ragione per la quale si trovava lì e non in chiesa, don Mario rispondeva che quella gente era la sua chiesa. Si spinsero fin sotto il palazzo comunale e a quel punto i carabinieri, temendo che volessero entrare nel palazzo, cominciarono a respingerli. Ma poiché la confusione cresceva, ebbero ordine di “catturare” i più facinorosi e portarli in caserma. Tre sindacalisti e don Mario furono tra i prigionieri. Dopo la formale identificazione, il maresciallo, nel frattempo sollecitato del vescovo che era venuto a conoscenza dei fatti, voleva rilasciare don Mario, ma questi si rifiutò di uscire senza gli altri. Così passò la notte in caserma con loro.
Don Mario ringraziò Dio per avergli fatto condividere la sofferenza di quegli operai, che lottavano per la loro dignità di uomini.
L’anziano vescovo lo chiamò a colloquio, raccomandandogli ogni prudenza ed ebbe parole di approvazione per il suo comportamento in favore degli operai. Uscì da quell’incontro, rincuorato ma triste perché il vescovo gli annunciò la fine del suo ministero per raggiunti limiti di età.
Ora la diocesi era in attesa della nomina di un nuovo vescovo. Questi, appena insediatosi, non tardò a imporre la sue idee conservatrici, intervenendo con autorità sul rispetto delle norme canoniche, della gerarchia ecclesiastica, della morale cattolica, specialmente sui problemi più spinosi, quali: divorzio, aborto, sessualità. Era dunque il ritorno all’antica visione della Chiesa, basata sul rigore, sul peccato, sulla punizione e colpevolezza degli uomini dinanzi a Dio, alla Chiesa e ai suoi ministri.
Il nuovo vescovo si propose di visitare tutte le parrocchie della diocesi. Giungeva voce che strapazzasse la maggior parte dei parroci: controllava ogni particolare, la situazione economica, i registri dei matrimoni, dei funerali, dei battesimi. Il più delle volte aveva parole di biasimo, invece che di incoraggiamento.
Quando venne il turno di don Mario, il vescovo si fermò in parrocchia per un intero giorno. Rimase soddisfatto per il numero dei parrocchiani presenti alle cerimonie religiose previste; restò colpito dalle ragguardevoli somme di denaro che erano state raccolte e spese per l’avanzamento dei lavori della costruzione della casa e del campo giochi per i ragazzi. Volle accuratamente controllare tutta la documentazione e, quando sentì che non c’era stato alcun contributo dello Stato né del Vaticano, ma che tutto era frutto delle donazioni, rimase favorevolmente sorpreso. Infine fece cenno alle idee dissacranti che erano giunte al suo orecchio.
-“Non direi dissacranti, monsignore, perché sono tutte ricalcate sulla Bibbia e in particolare sul vangelo di San Giovanni”.
-“Mi è stato riferito che lei accoglie divorziati, persone sessualmente deviate, atei e bestemmiatori”.
-“Cosa vuole, monsignore, io da buon cristiano vedo in tutte le persone, senza differenza di condizione, la presenza del buon Dio, per cui non posso tirarmi indietro.”
-“Bene, bene! Tutto ciò ha bisogno di un lungo discorso. Per il momento le raccomando molta cautela nel diffondere idee non in linea con il magistero della Chiesa. Glielo dico per puro spirito di carità, perché so che il Santo Uffizio la tiene d’occhio. E poi quell’ultima sua partecipazione allo sciopero di operai di una fabbrica ha fatto un gran rumore!”
-“Eccellenza, mi permetto di dirle che è stata una iniziativa necessaria. I padroni hanno finalmente ceduto e accolto le richieste più urgenti. Ne sono felice. Ma il Santo Uffizio non ha altro cui pensare? Non posso credere che davvero pensi a me, proprio a me che sono, per dirla nel gergo operaio, l’ultimo bullone di santa madre Chiesa!”
-“Bullone o burlone, don Mario? Vedremo, vedremo!”
Il vescovo era venuto a visitare la sua parrocchia e, sebbene fosse andato via con un sorriso enigmatico, don Mario si sentiva tranquillo. Ora più che mai, perché i lavori di costruzione della casa e del campo giochi proseguivano alacremente, ora che i suoi operai avevano ricevuto un piccolo aumento salariale e condizioni di lavoro più umane che li garantivano dal rumore esorbitante delle macchine, dagli acidi, dal calore eccessivo degli ambienti privi di sufficiente aerazione, ora che la primavera avanzata invogliava a uscire. Quale migliore idea che andare a far visita al suo amico Federico, che da quasi un anno non aveva più sentito?
-“Don Mario, ma come hai saputo? Avrei dovuto venire io a trovarti per spiegarti, per avere un tuo consiglio!”
-“Caro don Federico, che cosa devo sapere?”
-“Scusami don Mario se ti interrompo. Vedo che non sai nulla; prima che tu te ne accorga, ti dico subito che non sono più parroco e nemmeno un prete. Sono tornato alla vita borghese.
-“Che cosa dici? Che cosa è successo? Non mi hai dato tue notizie da tanto tempo, ma credevo al vecchio detto: Nessuna nuova, buona nuova! Vorrei che tu fossi sincero con me, come una volta. Che cosa ti ha portato a questa crisi? Hai già mandato le tue dimissioni?”
-“Sì, l’ho già fatto e sono state accolte. Ma siediti, ti preparo un caffè. Vedi, don Mario, io ho trascorso quattro anni in questa parrocchia di un paese arroccato in cima alla montagna. Il paesaggio è molto bello, lo so; la gente è buona e semplice. Io mi sono prodigato come ho potuto. Mi rendo conto che ho ricevuto da loro più di quanto loro abbiano avuto da me. E di questo certamente porterò il rimorso. Ma i miei nervi hanno ceduto. La solitudine mi ha indotto a fantasticare, a rimpiangere le relazioni sociali di un tempo, per cui mi sono a lungo interrogato. Mi sono affidato al Signore prima di prendere la mia decisione. Poi è sopraggiunta la presenza di una donna, colta e intelligente, con la quale mi sento di poter formare una famiglia. E’ la figlia del sindaco del paese, una donna di onesti sentimenti, rimasta vedova dopo appena un mese dal suo matrimonio. Abbiamo deciso di sposarci il mese prossimo.
-“Bene Federico, io sono sempre del parere che se sentiamo la presenza di Dio in noi e agiamo con amore, possiamo essere sicuri di agire per il meglio. Piuttosto, hai pensato come risolvere i problemi economici? Mantenere una famiglia, moglie, figli, casa, non è una cosa semplice, specialmente per uno spretato. Purtroppo la gente ha molti pregiudizi; saprai meglio di me che quanti lasciano la Chiesa non trovano lavoro e vivono in uno stato di grande indigenza”.
-“Sì, don Mario. So bene quel che di negativo è accaduto a molti di noi, ma io posso dirmi fortunato perché sia io e sia anche la mia futura sposa avremo la possibilità di insegnare presso una scuola media le discipline di studio che fanno parte del nostro curriculum”.
Dopo questa conversazione rassicurante, i due amici uscirono e andarono a passeggiare lungo i sentieri della montagna, immersi nel silenzio della natura. Non parlavano; i loro sguardi si incrociavano di tanto in tanto accompagnati da un sorriso, traboccante di umanità.
Per tutta la settimana seguente, don Mario meditò sulla scelta che aveva fatto il suo amico. Alla fine concluse che l’obbligo del celibato sacerdotale è qualcosa che in fondo danneggia la chiesa cattolica. Forse la via migliore potrebbe essere quella di non imporlo. Sarebbe cioè, molto meglio se i sacerdoti potessero liberamente accettare o rifiutare la castità. Per quel che lo riguardava personalmente, don Mario si era sempre pronunciato a favore della castità, ma con schiettezza, senza retorica e fariseismo. Un prete ha già una grande famiglia in parrocchia, troppo gravoso il peso di una sua famiglia personale. Si rammaricava con se stesso, rimproverandosi, se alcuni atteggiamenti o suoi discorsi qualche volta avessero potuto far nascere in qualche donna un pensiero, la speranza di un affetto al di là di quello spiritualmente possibile. Lo aveva appreso dalla confessione di una donna che lo veniva sempre a trovare in canonica con una scusa qualsiasi. Per non lasciare spazio ad alcuna maldicenza, don Mario aveva fermamente consigliato la donna a confessarsi con uno dei suoi confratelli e a non venire più in canonica da sola. Ma ciò non bastò.
Il vescovo accolse anche quest’ultimo pettegolezzo quasi con soddisfazione per crocifiggere don Mario, come desiderava sin da quando aveva fatto la sua conoscenza.
-“Caro reverendo Parroco….molti anni che guida….ora perciò è tempo di fare altra preziosa esperienza….trasferimento….ottima sede anche se in alta montagna….oppure….presso il convento di….Il Signore ti aiuti a scegliere con saggezza….La mia benedizione. Attendo tua decisione. Luigi, vescovo.”
La lettera non muoveva alcun rimprovero a don Mario, anzi lo elogiava per la lunga e proficua attività pastorale svolta in quella parrocchia, ma ora, diceva semplicemente il vescovo, il Signore lo chiamava altrove.
E don Mario ubbidì, pur confidando ai suoi più stretti collaboratori che certo non era consenziente. Quando i suoi parrocchiani vennero a conoscenza del trasferimento, organizzarono una protesta dinanzi alla chiesa, perché tutti avevano sperimentato lo spirito di amore e di amicizia del parroco. Ma tutto fu inutile. Il vescovo fu irremovibile.
Don Mario raccolse le sue poche cose personali, i suoi libri; raccomandò ai suoi amici di seguire attentamente gli ultimi lavori di costruzione della casa dei poveri e del campo giochi e nella sua ultima omelia della messa domenicale promise ai suoi parrocchiani che li avrebbe ricordati e amati uno per uno. Così come anche essi avrebbero dovuto fare come comunità cristiana, segno evidentissimo della presenza di Cristo tra loro.
Il giorno dopo, don Mario partì all’alba con la sua vespa per raggiungere il convento dei frati di San Genesio a M.
La brezza mattutina faceva volare via ogni pensiero molesto. Anzi una gioia segreta si impadronì di lui improvvisamente ed esclamò: “Signore, non ho paura di andare dove gli altri mi ordinano di andare, non ho paura perché so che mi precedi su tutte le strade”.
La comunità dei frati di San Genesio accolse don Mario con grande gioia. Il priore volle subito manifestagli la sua amicizia, lasciandolo libero di coltivare i suoi antichi studi teologici e scegliendolo come predicatore ufficiale del convento.
Com’era da aspettarselo, le omelie di don Mario erano seguite da una gran folla di fedeli, che accorrevano anche dai paesi vicini. E la moltitudine di persone che volevano ascoltarlo era tanta che la chiesa non poteva contenerle: molti erano costretti a restare fuori senza badare al freddo o al caldo, durante l’alternarsi delle stagioni. Mai il convento di San Genesio aveva visto tanta gente. I frati ripresero vigore, il convento rifiorì, fu ristrutturato e rimesso a nuovo.
Toccò a don Mario assistere spiritualmente l’anziano priore, che giacque, soffrendo, un intero mese nel suo letto, prima che santamente spirasse. Tra le sue carte, fu trovata una agenda. Nell’ultima pagina, alla data del 31 dicembre del 19.. si leggeva:
“Io spero che il Signore illumini i miei confratelli, affinché, dopo la mia morte, scelgano come mio successore, il dotto e buon nostro fratello don Mario”.
E più avanti :” Desidero che questo pensiero di don Mario mi accompagni al momento della mia morte: Signore, io ho avuto fede nella vita. Quando il sole cala all’orizzonte giunge la sera, so dunque che la mia giornata è finita. Signore, non lasciarmi nelle tenebre, ma apri la tua porta perché possa entrare nella tua luce infinita, perché possa cambiare in vita duratura questa morte che mi trascino sin dalla nascita”.