IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

IL PATRIARCATO è VIVO (e … lotta insieme a noi…!) di ANNA STOMEO

Edvar Munch, il bacio

Edvar Munch, il bacio

Il patriarcato non è un’invenzione filosofica, né antropologica, né storica, né tantomeno sociologica, se vogliamo attenerci alle impostazioni date per scontate nelle ultime settimane dai soliti ministri di destra-destra (preoccupati soprattutto di bacchettare quella che chiamano “la Sinistra” per fini propagandistici verso un elettorato interno) e da giornalisti onnisapienti e onnivori di tutte le discipline, attivi quotidianamente nella comunicazione pubblica italiana. Per molti di costoro il termine patriarcato è fonte di evidenti…incertezze culturali, poiché lo confondono con un supposto e circoscrivibile evento storico-legislativo (sarebbe “finito nel 1975 con il nuovo diritto di famiglia” !) e non sempre ne comprendono, invece, la valenza filosofica, per così dire, di ‘astrazione’, sempre e comunque hegelianamente (e marxianamente!) intrecciata, con la prassi storica in ambito politico.

Il patriarcato non è un retaggio del passato che si trascina nel presente, una sopravvivenza in estinzione progressiva, ma è una sottile e ineludibile persistenza insinuata nella mente e nella vita dei singoli individui ed estesa alle loro relazioni sociali, ai loro rapporti affettivi, comunicativi, linguistici ed economici, alla delineazione collettiva dell’esistente.

Sotto questo profilo il patriarcato è dunque una realtà “politica” che concerne la subordinazione del femminile al maschile, nel quadro di una sovrastruttura ideologica e filosofica costruita come ordine simbolico dominante e tradotta in atti politici quotidiani di esclusione, di violenza e di negazione dell’alterità femminile, ma anche di voluti fraintendimenti e circospette interpretazioni, intorno alle quali si arrampicano politici dal passato non sempre limpido sul piano del riconoscimento dei diritti di genere.

Anche per questo il patriarcato è un ospite ingombrante, difficilmente occultabile, che si nutre di populismo e luoghi comuni, tanto devastanti quanto silenziosamente acquisiti, e che, a sua volta, nutre il populismo opportunista di alcuni politici, costretti a rinnegarlo malamente una volta acquisito il potere istituzionale e il riconoscimento di quello finanziario.

Il patriarcato è insomma il frutto di una visione/teoria (filosofica) che impatta la storia non su un generico e falsamente neutrale piano naturale e umano, ma in un preciso contesto normativo e sociale in cui si verifica, e a cui è affidata, la stessa identificazione biologica e sociale della vita di ciascuno.
E questa identificazione/identità, avviene sulla base di parametri di dominio e di subordinazione che superano la stessa distinzione di sesso e di genere, per includere tutti coloro (i deboli, gli immigrati, i poveri, gli emarginati, ma anche semplicemente gli esclusi da ogni potere decisionale) che, senza possibile alternativa, sono costretti ad esporre la propria vulnerabilità fisica, sociale e culturale all’offesa del potente.

Il patriarcato, allora, si rivela essere una realtà “politica” di dominio e di esclusione, con la quale non si misura soltanto il genere femminile, ma tutti coloro che subiscono espropriazioni, maltrattamenti, soprusi e privazione dei diritti.

Lo affermiamo preventivamente non solo perché crediamo che una definizione più estesa del termine patriarcato possa favorire una sua migliore utilizzazione conoscitiva, ma perché constatiamo che il pregiudizio, Illuministicamente e kantianamente inteso come ciò che viene ‘prima del giudizio’ (cioè della ‘ragione’, che ne sarebbe, appunto, il superamento), continua ad insinuarsi nelle menti di molti cittadini maschi, attori non sempre consapevoli del ruolo che stanno svolgendo nell’attuale contesto sociale, politico (e persino geopolitico).

Cittadini maschi sempre più propensi, a volte inconsapevolmente, a spiegare il patriarcato come una sorta di “quid proprium” della natura umana, da riconoscere, certo, ma verso il quale scatenarsi con un afflato tanto apocalittico, quanto banale e in definitiva inoffensivo, tale da non riuscire a spiegare neanche la violenza ‘specifica’ del femminicidio come esito estremo di un ordine simbolico acquisito.

Di qui l’implicita e sottaciuta negazione o non riconoscimento, da parte di molti maschi, della stessa conclamata violenza di genere e le assurde spiegazioni fittizie, che riportano la violenza omicida degli uomini sulle donne ad una brutalità ‘comune’ in cui si mescolano, oscenamente, desideri ancestrali e persino… carenze affettive, portate a discapito di crimini tanto orrendi, quanto invece precisamente definiti e definibili.

Le costanti del femminicidio, come atto violento ripetuto dell’uomo contro la donna e socialmente trasversale, testimoniano la valenza linguistica di un termine non facilmente riconducibile al generico ‘omicidio’ e ne confermano la rilevanza etica specifica. Gli uomini che uccidono le donne lo fanno per riaffermare un ordine simbolico che la liberazione progressiva delle donne ha messo in discussione.

Di fatto gli uomini uccidono le donne non solo per disprezzo-possesso di un ‘oggetto’ riproduttivo di appartenenza, sopravvivenza e piacere, storicamente determinato ed ‘educativamente indotto’, ma anche, ahimé, per invidia di tutto ciò che la donna ha faticosamente conquistato (dall’autonomia confermata attraverso l’emancipazione e l’uguaglianza fino agli…esami universitari superati e alla laurea conseguita in largo anticipo su un tale che si crede proprio compagno, come è accaduto nel brutale femminicidio di Giulia Cecchettin).

Il patriarcato, inteso come predominio maschile a tutti l livelli, a cominciare da quello riproduttivo, è un fenomeno politico che, per quanto riguarda l’Occidente, di cui qui ci occupiamo (ma riflessioni e indagini analoghe potrebbero essere fatte per altre culture in cui il patriarcato imperversa ancora più violentemente) affonda le sue radici, per quanto ci riguarda, alle origini della civiltà greca, dove si compie un atto di violenza fondativo del politico. Della costruzione degli imperi fa parte, originariamente, anche e soprattutto la violenza sulla donna, afferma con cognizione di causa la filosofa Adriana Cavarero, autrice di studi ineludibili sulla filosofia di Platone e sul pensiero della differenza.

In un testo del 1990, nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica, che ha lasciato traccia di sé in tutto il mondo attraverso numerosissime traduzioni, Adriana Cavarero ha spiegato con ironia e profondità, la negazione del femminile attraverso il mito e la filosofia nel mondo greco.
L’ossessione della morte come ossessione del divenire che, da Parmenide a Platone spinge alla negazione del non essere e del reale, è alla base della costruzione di un ordine simbolico maschile che si appropria delle peculiarità femminile della nascita per negarla nella morte e nel mito di fondazione del politico, fino alla costruzione di una vera e propria cultura omosessuale (nel senso letterale del termine) tutta al maschile, che relega per sempre la donna a un ruolo riproduttivo subalterno, sottraendola al mondo del sapere filosofico, considerato ‘l’unico reale’ dove regnano i maschi che si accoppiano per partorire idee. (Platone, Simposio).

La violenza simbolica che il mito ci racconta e la corrispondente violenza quotidiana che, con varie sfumature di orrore. attraversa le cronache odierne, si alimenta di impunità ‘culturali’ diffuse e di complicità nel genere maschile che trovano manifestazione concreta in un sistema teorico e teoretico fortemente teso a privilegiare, nella donna, esclusivamente il ruolo riproduttivo, spacciato apparentemente per amore della vita, di cui la donna è incontestabilmente portatrice, ma in realtà veicolo di un predominio sull’utero come affermazione del soggetto (maschile) violento che rivendica la propria presenza individuale dominante anche e soprattutto in un atto ‘esclusivo’ femminile come quello della gravidanza e della nascita.

L’amore inteso, come nel perturbante e fatidico Bacio di Munch (1897), come totale annullamento dell’alterità femminile, come ritorno ossessivo del mito dell’androgino, che una simulata voce di Aristofane racconta nel Simposio per conto di Platone. Sullo sfondo buio, una sola finestra a simboleggiare una possibile via d’uscita.

Recuperare pienamente l’alterità del soggetto femminile, come soggetto autonomo, significa impegnarsi filosoficamente su più piani cognitivi ed operativi, da quello linguistico, dove, come è noto, una pretesa neutralità impone il genere maschile come comprensivo del genere femminile (e non viceversa), a quello educativo, dove manca ancora totalmente un apparato teorico e metodologico capace di delineare comportamenti adeguati ad una riconosciuta cultura della differenza di genere.

Sotto questo profilo ci sarebbe…una rivoluzione da fare. Ma possiamo cominciare da subito, con piccoli ‘passi filosofici’.

Come ha fatto Hannah Arendt per il totalitarismo ( H. Arendt, Per un’etica della responsabilità) occorre, anche per il patriarcato, tentare di delineare una fenomenologia politologica e critica dell’attualità, cercando di centrare sempre “la freccia al cuore del presente” (per dirla con Foucault), al di là di ogni possibile abbaglio descrittivo, recuperando una vera e propria ontologia del patriarcato come ‘ontologia del presente’ e assumendone la dimensione filosofica e storica di connessione tra vita e politica, tra etica e responsabilità.

La corale, e per niente scontata, presa di posizione diretta delle donne, che scendono in piazza, come è recentemente accaduto nella grande manifestazione a Roma del 23 novembre 2024, contro la violenza di genere e contro il patriarcato (“Disarmiamo il patriarcato”) , apre, costruttivamente e creativamente, per ogni donna, alla speranza di una “felicità pubblica” (Arendt) e a nuove ipotesi politiche di autentica libertà, oltre che di fondamentale liberazione.
Anna Stomeo


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