Il nonno! Meglio che a scuola
di Maurizio Mazzotta
Imparava la storia dal nonno, che gli parlava della rivolta dei contadini in Sicilia e di quella degli operai a Milano, di Crispi e di Giolitti, dell’Eritrea e della nascita dell’AVANTI, di Umberto I e dell’anarchico Bresci. Era tutt’altra cosa che studiare sui libri. Il nonno rendeva tutto più interessante, creando atmosfere dense di tensioni. Ai tempi del liceo, Marco cercò di capire quale era stata la posizione del nonno e il suo giudizio su quei fatti. Comprese che aveva partecipato in qualche modo alla vita politica; ma in che modo esattamente lo seppe da lui più tardi, proprio alla fine della loro storia.
L’età del vino, nell’ultimo decennio del secolo scorso, portò prosperità nel Salento dove si coltivava la malvasia nera e il negramaro. Nùvoli era la reggia di Bacco. A Nùvoli fu costruito il teatro e si organizzarono e cominciarono a operare le filodrammatiche, un po’ ovunque attorno a Lecce. Nùvoli si svegliava e Vincenzo volava a Roma per studiare Giurisprudenza e per imparare a dipingere.
Fu a Roma in pieno Crispi. Raccontava che l’Italia, primo tra i paesi civili, abolì la pena di morte; che lui vide il sorgere del Partito socialista dei lavoratori italiani negli anni di Giolitti; che infine sospese biblioteche e atelier. A questo punto c’era qualcosa che Marco non comprendeva. Come se il nonno avesse un rimpianto segreto, qualcosa che avrebbe voluto realizzare e non vi era riuscito, perché barriere insormontabili lo avevano fermato. O briglie che portava dentro. Cosa il nonno avrebbe voluto realizzare sfuggiva a Marco: il nonno aveva vissuto quegli anni da giovane molto intensamente, aveva partecipato appassionatamente alla vita culturale di quell’epoca innamorato soprattutto del teatro. Vide sorgere l’astro di Ruggero Ruggeri nella compagnia Talli-Grammatica-Calabresi. Assistette al dramma “La figlia di Jorio” di D’Annunzio, che lo colpiva per lo scintillio dell’immaginazione ma che in seguito rifiutò per le sue idee politiche. L’Italia era ricca. La lira valeva più dell’oro.
Il nonno viaggia: Firenze, Milano, Venezia, Vienna, Parigi. Conosce Croce, Segantini, Fattori e pure in seguito si sposta da Nùvoli per brevi visite a Roma dagli amici pittori perché Roma era la pittura: Morandi, Boccioni, De Pisis. Cinque anni di vita a tutto tondo, diceva esprimendosi con ottimismo per segnalare quasi un modello, cui seguiva sempre un’amarezza perché il modello era imperfetto, come se quell’esperienza non fosse stata completa, non come avrebbe voluto.
Insomma inspiegabilmente Vincenzo tornò a Nùvoli. I misteri della vita del nonno sono tutti lì, a Roma, poi una fuga! E non dipinse più.
Perché questo ripiegare del nonno? Questo ritrarsi? L’occasione del ritorno fu la morte della madre, alla quale era profondamente legato e si riconciliò col padre. Fu socialista “tiepido”, diceva, senza convincere il nipote che ebbe in seguito opposte conferme. Comunque ci fu un cambiamento radicale e l’adolescente Marco voleva capire e capiva poco, anche se il nonno parlava delle condizioni gravi dei contadini pugliesi a confronto dell’impulso economico del resto dell’Italia e gli riferiva di aver sentito il bisogno di contribuire a modificare la situazione nel Salento.
Si sposò due anni dopo il ritorno a Nùvoli con Lucia e fu un matrimonio d’amore e Marco ebbe sempre viva nella memoria la tenerezza con cui il nonno parlava alla nonna. Tornarono gli interessi per gli studi che aveva compiuto e fece l’avvocato. Con grandi conflitti interiori fu ufficiale in guerra, quella grande, benché inizialmente neutralista. Ci andò e visse la leggenda del Piave… il Piave che mormora “non passa lo straniero” e lo straniero fu catturato, mezzo milioni di stranieri con le loro 7000 bocche da fuoco.
A Marco rimaneva difficile comprendere appieno: tutta la vita di quel vecchio gli sembrava un impeto contro le barriere ed era stato generoso, aveva sfidato i mortai del nemico per salvare la vita ad un uomo, un soldato che non conosceva. Marco seppe delle medaglie, d’oro e d’argento, dalla nonna, che le recuperò dal fondo di un cassetto. Questo periodo della storia del nonno scorre come una limpida sequenza di immagini. Il vecchio aveva nell’animo tutto intero il dolore della grande guerra, che aveva fissato in un taccuino di schizzi: cannoni, cavalli, soldati, meglio pastrani di soldati con larve di uomini dentro, tanto erano umiliati, e volti di ufficiali annientati dai quesiti che si ponevano. Era stato il racconto del nonno più lungo, più denso di particolari, più ripetuto, senza spavalderie, senza retorica, senza annoiare, perché non parlava di vittorie e sconfitte, di azioni ed eroismi, ma di episodi in cui campeggiava un personaggio e un momento di intensa comunicazione. Erano storie di incontri, di passaggi di emozioni tra persone. E tra persone e animali. Parlava dei muli che aveva dipinto, del loro procedere carico di casse, ostinati sotto le bombe e sopra i burroni.
Terminata la guerra fu molto vicino alla gente di campagna; nel 1920 protesse, accogliendoli alle “Torri”, alcuni contadini. C’era stato un assalto al municipio di Monteroni con un morto e 14 feriti, ma l’evento con più rischi per il nonno accadde undici anni dopo al municipio di Nùvoli: pare che sia stato il suggeritore. Di certo fu il difensore di gente esasperata.
Lo “sciopero del giovedì grasso” rimase a lungo nella memoria dei nuvolesi per l’esplosione improvvisa, una fiammata di furore popolare, che bruciò l’esattoria comunale e altri uffici del Comune, che portò a scontri con i carabinieri e a 50 arrestati tra contadini e braccianti. Nel Salento erano frequenti in quegli anni le agitazioni: Campi, Leverano, Salice, Squinzano, Trepuzzi, Veglie, Monteroni, Arnesano, Copertino. I motivi erano quelli di sempre: crisi economiche, disoccupazione, miseria gravate di assurde imposte. La scintilla, pure la scintilla, della stessa natura: il modo di amministrare il danaro pubblico.
A Nùvoli il podestà si faceva vedere raramente, lasciava fare al segretario comunale, autoritario e rude, corrotto e parziale e accanito giocatore di carte che la rabbia della gente immaginava con i soldi pubblici. C’erano state regolari denunce inviate al prefetto di Lecce sulla corruzione, sulle spese eccessive, che rimasero lettera morta. L’atmosfera si incendiò per una tassa in più, quella sull’utenza delle strade estesa anche ai carri agricoli, e per un tale soprannominato “Frisella” che si mise a urlare esasperato nella piazza del Municipio affollata. In breve roghi di suppellettili, di carte di registri nella piazza con le porte sfondate del Comune, e la gente accorreva gridando la rabbia contro gli amministratori. Il podestà corse seri pericoli, spintonato sputato col cappello calcato. I carabinieri chiesero rinforzi.
Sembrava il paese intero, una sommossa seria, Nùvoli che insorgeva e fu circondato, assediato dalle forze sopraggiunte da Campi, Trepuzzi, Salice e Lecce. Le voci sempre più preoccupate su questa massiccia presenza di forze, la rabbia sbollita, la ragione, la pazienza e la paura calmarono gli animi e la gente cominciò a ritrarsi. I più facinorosi si scontrarono e ci rimisero. E ci furono arrestati che il popolo non abbandonò. La gente fece la colletta per gli avvocati di Lecce, non per l’avvocato Guerriero che non volle essere pagato, e al processo i nuvolesi erano là a colmare l’aula, ad attendere fuori le sentenze.
Per merito degli avvocati il processo non fu politico. Dimostrarono che le scritte sui muri inneggianti al re e al duce rivelavano senza ombra di dubbio che gli imputati ce l’avevano solo con gli amministratori. E invece la sommossa era stata studiata a tavolino nei locali dell’associazione “Sindacati carrettieri” coi consigli tecnici di don Vincenzo. Quelle scritte sui muri erano state messe a posta per creare la scappatoia.
Brano tratto dal libro di Maurizio Mazzotta: LE SUE DITA CìOME STECCHI di MANDORLO