“Il lamento del popolo delle vigne” Tratto da: La luce segreta del Salento
di Maurizio Mazzotta
Che molti arrivati per caso nel Salento vi siano rimasti, stregati dalla luce, è noto; pochi però sanno che in questo territorio di sole, di mare e di vento c’è anche una luce segreta che affiora dalle vore. Insieme agli uomini delle vigne.
La tenue luce dell’alba, presso la vora di Barbarano a pochi chilometri da S. Maria di Leuca, ferma il respiro della natura: dai corbezzoli compagni di mirti e ginepri, al lentisco, al caprifoglio, al finocchio selvatico fino ai lecci, fino agli ulivi nelle chiusure recintate da muretti a secco, fino ai vigneti custoditi da attenti ficodindia.
Sono all’erta il coniglio guardingo e il riccio; il biacco nero e il cervone smisurato e innocuo, le lucertole verdi e la luscengola, negli anfratti o arrotolati sotto i massi. I pettirossi e gli usignoli sugli arbusti e l’upupa tra i canneti non schiudono i loro sensi come sempre al giorno, non è questo un risveglio naturale al lucore che preannuncia i raggi del sole. Si tratta di ben altro. Svegliarsi per un accadimento. Si avverte l’aggravarsi di qualcosa tremendamente noto. L’annuncio di qualcosa che bisogna ricordare. Perché terrificante.
Un piccolo cane randagio che ha vagato tutta la notte in cerca d’una pozza d’acqua, si blocca, indugia poi si appiattisce aderendo col fianco al tronco rassicurante di un leccio.
Dalla vora emergono suoni, dapprima fruscii di rami smossi, scricchiolii, calpestii, infine sospiri e lamenti. Sempre più evidente che sono lamenti.
Il cane uggiola, poggia il muso sulle zampe anteriori protese, piega le orecchie. Sta rispondendo ai lamenti, si associa ad essi, ma a poco a poco il suo uggiolare si modifica, si trasforma in un suono inequivocabile di piacere come se tutto il suo essere non possa fare a meno di trattenere una gioia più forte, così la coda per conto suo spazza la terra per breve spazio.
Ma rimane contratto al suo posto, non si mette a correre abbaiando festoso, perché si è fermato sotto il leccio all’annuncio di un evento triste. Rimane tra allegria e mestizia, tra voglia di ruzzolare e angoscia, benessere e tormento. Con la coda che si muove lentamente perché quelle presenze che affiorano dalla vora e che conosce assai bene sono uomini che sanno amare come lui. Anche l’espressione dei suoi occhi nocciola oscilla tra dolcezza e amarezza.
A decine salgono dalla vora, le braccia lisce come i rami di un giovane fico. Il colore della pelle richiama l’acqua di uno stagno, la mela acerba, la buccia dei fichi il cui interno rosa annuncia un delicato sapore.
Molti rimangono sugli alberi della vora, altri con le gambe incrociate in circolo, altri ancora appoggiano le spalle ai lecci. Uno di questi lentamente si volta a scoprire il cane come richiamato dalla sua presenza e dalle sue esigenze e lo invita con un leggero cenno ad accostarsi. Il cagnolino si avvicina, la coda più libera di spazzolare, rimanendo appiattito sul terreno. Quell’uomo straordinario, perché di uomo si tratta, allunga il braccio, offre le sue lunghe dita e il cane le succhia avidamente e si disseta.
Sono uomini, la parte migliore dell’umanità fatta di terra e di acqua, la cui sensibilità è acuita, perché i loro corpi sono aperti al mondo, attenti agli esseri viventi. Vivono nelle grotte e nelle vore del Salento e di ogni altra parte del mondo, vivono nel ventre della terra. Si nutrono di tutto ciò che la terra offre. Vestono di cenci. Per loro è importante essere, non apparire.
Sono come vorrebbero essere tutti gli uomini, capaci di accettare se stessi e i loro limiti, con esigenze di conoscere prive di angoscia. Col bisogno di comprendere non il perché né il chi, insondabili e misteriosi, ma semplicemente il come. Il bisogno di conoscere solo ciò che si può comprendere.
Non la vita e la morte, ma il proprio simile, che è dentro e fuori di noi, simile o dissimile che sia in apparenza, che ci è a fianco, che incontriamo, che riconosciamo, che vediamo per la prima volta. Perché ogni essere vivente è un mondo che sveglia nell’essere umano bisogni più autentici, che lo caratterizzano: conoscere, comunicare. Scambiarsi sensazioni emozioni scoperte.
Come i loro movimenti divengono man mano più armoniosi così il lamento volve in una canzone che conserva il significato del pianto. Il canto di un popolo afflitto sconsolato smarrito. La canzone dell’umanità malata.
Dice di sangue sparso, di terra intrisa. Dicono che ne sentono l’odore e il sapore, lo riconoscono al tatto quando con le loro dita sfiorano la pietra. Perché sono rivoli che giungono fino a loro attraverso le rocce delle grotte.
Dice, il canto, che sulla terra si semina dolore e disperazione, che ciò che si costruisce contiene il germe della distruzione. Ai bambini viene negata la gioia di vivere, ai giovani si sottrae la giovinezza, uomini e donne derubati della capacità di pensare. Che l’uomo sulla terra è come sempre determinato ad annientare, pronto al massacro.
Gli uomini delle vigne cantano e si lamentano perché sulla terra c’è chi ha coscienza profonda, soffre e si dispera in solitudine. Uomini e donne che hanno bisogno di ritornare alla terra e di unirsi a loro.
L’alba si colora e il sole sfiora le cime dei lecci, una nebbia leggera si alza dal suolo. Il canto si smorza e quegli uomini lentamente si muovono, questa volta senza alcun rumore, miraggi sembianze visioni, scompaiono a poco a poco, tornano nella vora.
Il cane si alza sulle quattro zampe e abbaia per un saluto. Poi il dolore della separazione ha il sopravvento e ulula alla luce del giorno che gli ha portato via gli uomini veri.
Tratto da LA LUCE SEGRETA DEL SALENTO dI MAURIZIO MAZZOTTA
Edizioni L’Officina delle parole
Il romanzo si trova in Amazon, digitale e a stampa
Maurizio Mazzotta da sempre racconta storie, con le parole e con i film. Il suo interesse l’essere umano: le spropositate ambizioni dell’uomo e la straordinaria capacità di comprendere della donna.
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