IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Il Giovane o Giovinetto di Mozia

Il-giovane-Mozia

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Di Giovanni Teresi

 Il Giovane o Giovinetto di Mozia è una statua  in marmo, 450-440 a.C., conservata al Museo Whitaker a Mozia (Marsala), in provincia di Trapani.

La statua raffigura una figura maschile (un efebo) panneggiata, forse un auriga di scuola greca: fu probabilmente portata nell’isola di Mozia dai Cartaginesi dopo che ebbero

saccheggiato Selinunte nel 409 a.C..

È stata ritrovata dall’operaio Antonino Monteleone il 26 ottobre 1979durante una serie di scavi di archeologi dell’Università di Palermo, iniziati nel 1977 nel settore nord-orientale tra il santuario di Cappiddazzu e la cinta muraria.

Il ritrovamento dell’Efebo di Mozia sepolto nella colmata

La statua era stata sepolta per secoli sotto una colmata di argilla e marma calcarea gettata intenzionalmente, si suppone dagli stessi moziesi. La colmata, dentro la quale venne ritrovata la statua, era su di una zona disabitata dell’isola durante l’ultimo periodo storico moziese, e al suo interno, oltre l’efebo, vi si rinvennero altri oggetti d’epoca classica, tra cui parecchie punte di freccia; che per alcuni studiosi rappresentano la prova evidente che quella colmata fu sviluppata durante o subito dopo l’assedio dionisiano. L’opera scultorea si presentava con la testa staccata dal collo, il volto sfigurato e mancante di braccia e piedi.

L’altezza è di 1 metro e 81 centimetri, senza le estremità inferiori, mancanti. Molti studiosi pensano potesse raffigurare un giovane alla guida di un cocchio, le altre ipotesi ritengono potesse essere un dio (in particolare Melqart/Eracle) o un magistrato punico (suffeta) a giudicare dalla posizione delle braccia. Il braccio destro è sollevato (forse a brandire un frustino nell’ipotesi dell’auriga), e il sinistro appoggiato sul fianco, dove ancora si vedono i resti della mano.

La testa del giovane parla il linguaggio dello stile Severo ovvero dello stile della prima fase dell’età classica, il suo corpo possente e sinuoso con la veste aderente appare stilisticamente più avanzato, la riconducono a un ambiente artistico influenzato dall’arte di Fidia. Il giovinetto indossa una leggera tunica e sfoggia uno sguardo fiero, che arricchiscono il fisico atletico e prestante.

Di recente, dopo le dichiarazioni rilasciate da Lorenzo Nigro, docente associato di archeologia e storia dell’arte all’Università La Sapienza di Roma, “Giovinetto in tunica”, esposta nel museo Whitaker di Mozia, sarebbe Alcimedonte.

L’ autore dell’opera, secondo Lorenzo Nigro, avrebbe ritratto il capo mirmidone greco, figlio di Laerce, ricordato da Omero nei libri XVI e XVII dell’Iliade e descritto come un ottimo auriga che guidò personalmente il carro di Achille, trainato dagli immortali destrieri Balio e Xanto, fuori dal terribile scontro accesosi per la contesa del corpo di Patroclo, ucciso da Ettore.

Il professor ha spiegato a Marsala che è stato possibile risalire all’identità del personaggio raffigurato nella statua grazie all’iscrizione (“Alkimedon”) su un vaso di ceramica attico scoperto sull’isola nella zona dove sono state trovate le fondamenta del tempio (“Temenos”) attorno al “Kothon”, vasca per abluzioni effettuate nell’ambito di cerimonie religiose. Tracce di un tempio fenicio-punico, tra l’altro, finora non erano mai venute alla luce. Neppure a Cartagine. Il vaso di ceramica (“cratere di Alcimedonte”) sarebbe stato commissionato in Attica dai moziesi e raffigura una scena di simposio. Nel posthomerica, dopo l’Iliade, si racconta che Alcimedonte venne trafitto mortalmente da Enea durante una delle tante battaglie sotto le mura di Troia.

Secondo gli esperti sarebbe stata scolpita da un allievo di Fidia. Forse, fu nascosta nel corso della guerra con Siracusa (397 a. C.) per evitare che cadesse nelle mani del nemico e probabilmente era stata portata sull’isola dai Cartaginesi dopo che questi ebbero saccheggiato Selinunte nel 409 a.C.

La statua, in marmo jonico della Tessaglia, è alta poco meno di 1 metro e 81 centimetri e forse faceva bella mostra di sé nell’agorà di Mozia, all’aperto. Lo stile in cui è stata scolpita è in arcaico ionico. E’ caratterizzata dallo stile “panneggio bagnato”. Quattro chiodi di bronzo, presenti nella testa, hanno fatto pensare che il capo fosse cinto da una corona, simbolo di vittoria. Il museo Whitaker di Mozia che oggi la ospita, custodisce anche i corredi funebri provenienti dalla necropoli arcaica dell’isola, le anfore commerciali greche, fenicie ed etrusche ed una ricca collezione di vasi a vernice nera e figure rosse, oltre a materiali provenienti dal tofet, dall’abitato di Mozia e dalla Casa dei Mosaici. Tra gli oggetti esposti vi sono gioielli ed armi, amuleti e scarabei e oggetti con incise didascalie originali, strumenti per la cosmesi o per la chirurgia. I gioielli sono prevalentemente in argento e bronzo, oltre che in oro, di discreta fattura, compresi tra il VII e il IV secolo a.C..

La statua  “Giovinetto di Mozia”  è stata esposta a Venezia, a Palazzo Grassi, nel 1988 per la mostra “I Fenici” e nel 1996 per la mostra “I Greci in Occidente”. Nel 2012 la statua è stata alle Olimpiadi di Londra, in mostra presso il British Museum di Londra, e poi al Getty Museum di Los Angeles. Il 18 gennaio 2014 la statua è stata riportata nella sua sede originaria, a Mozia.

L’identità del giovane di Mozia: l’efebo Alcimedonte, auriga di Achille

“Oh santa giovinezza, messaggera di Cipro e di Eros,
giovinezza che troneggi sulle ciglia delle vergini
e nei languidi sguardi di un bell’efebo;
giovinezza che dolcemente ci culli nelle tue braccia,
e sai anche accendere i nostri sensi”  (Pindaro, VI sec. a.C.)

Il “Giovinetto” ha la testa volta a sinistra, il corpo e le anche in lieve flessione, la gamba sinistra portante e la destra visibilmente avanzata a riposo. Il braccio sinistro era piegato sul fianco, come indica la mano superstite che affonda ella viva carne; il destro, come suggeriscono i muscoli deltoidi, era invece levato in alto a reggere un attributo.

La complessa posa di contrapposto è solida e ben studiata e l’ineguale distribuzione del peso della figura determina una vivace sequenza ritmica dei movimenti. La testa è piuttosto robusta e vigorosa.

Il viso è incorniciato sulla fronte da una triplice fila di riccioli a perline, che si interrompono all’altezza delle orecchie e proseguono in duplice fila sulla nuca. La sommità del capo era coperta da un copricapo in bronzo come indicano la calotta grezza e i fori.

La lunga veste accentua il verticalismo della figura. È costituita da un ampio e lungo chitone di lino aderente, che è caratterizzato da una fitta trama a sottilissime pieghe sinuose. Esso lascia scoperte le braccia ed è serrato al petto da una larga fascia forse di nappa, che avvolge il torace in un duplice giro e termina sul davanti in due cordoni che si allacciavano al centro in un nodo applicato in metallo.

La zona del petto è di rara bellezza.

Si noti anzitutto lo stiramento dei lembi arrotondati delle fascia in prossimità delle ascelle; e poi la diversa pressione esercitata da quest’ultima che si evidenzia lungo la linea di contatti con il vestito.

Questo è rigonfio in n rilievo sensibilmente più alto sul lato sinistro, laddove i sottostanti muscoli pettorali sono rilassati per effetto del braccio piegato; il rilievo è minore sul lato opposto del petto per la tensione provocata dal sollevamento del braccio verso l’alto. Infine si noti il contrasto tra le fitte pieghe verticali e diagonali del chitone. La veste è concepita come un involucro trasparente e diafano che mette in evidenza le forme e i movimenti del corpo. Il bordo verticale del chitone termina in un lungo piegone centrale al quale si affiancano oltre due pieghe gravidanti a partire dall’inguine che accentuano la prominenza del membro virile. I due lembi laterali dell’ampio chitone sono ripiegati sul davanti e ricadono tra le gambe in un pesante panneggio. Si può notare come traspare perfettamente l’anatomia del ginocchio piegato, mentre la sua flessione è sottolineata sul retro da due pieghe diagonali. Grazie alla trasparenza del vestito la scultura è pervasa da una conturbante sensualità.

Bibliografia:

-La statua di Mozia – Studi e materiali la scultura di stile Severo in Sicilia – Istituto di Archeologia dell’Università di Palermo;

-Wikipedia: Il Giovane di Mozia

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