Il culto di Santa Cecilia a Gallipoli
di Alessandra De Matteis
Novembre è, tradizionalmente, il mese dedicato ai defunti.
Un mese per molti versi malinconico, spento, con le ore di luce che nell’arco della giornata arretrano velocemente davanti all’incalzare del buio.
In questa atmosfera malinconica, accentuata dal fatto che sulla città di Gallipoli si siano ormai spenti i riflettori di una lunga estate chiassosa, si collocano, quasi a rompere il silenzio, le feste che si possono definire “prodromiche” al Natale (S. Teresa, S. Cecilia, S. Andrea, la Madonna Immacolata e S. Lucia)
Non sorprende quindi che, quanto si è cominciato a dare una manifestazione esterna e più solenne alla celebrazione dei santi la cui ricorrenza cade in questo mese (S. Cecilia e S. Andrea), questa sia avvenuta in forma civile e laica: un tempo, nell’immaginario collettivo intriso di religiosità mista anche a superstizione, nella cittadina jonica era ritenuto inopportuno, durante il mese di novembre, compiere tutta una serie di pratiche, dovendo l’intero periodo essere dedicato al ricordo e alla preghiera per le persone che non sono più con noi, in modo mesto e dimesso.
Una cultura e una tradizione piuttosto lontana da quelle che si riscontrano in altre zone dell’Italia meridionale, in particolare la Sicilia, dove invece la ricorrenza dei morti è una celebrazione gioiosa, e si crede che il due novembre chi non c’è più vada a trovare i propri cari, lasciando benevolmente ai più piccini doni semplici e ricevendo in cambio latte e biscotti.
Molto radicata nella coscienza e nel vissuto del gallipolino è la celebrazione di S. Cecilia, santa del 22 novembre che si venera nella chiesa di San Luigi Gonzaga, posta nel centro storico nell’omonima via.
La storia riporta che, intorno all’anno 1742, Padre Onofrio Paradiso della Compagnia di Gesù abbia fondato il conservatorio di San Luigi Gonzaga con lo scopo di ospitare giovani povere, e che poi nel 1755 sia stata edificata la chiesa annessa ad esso.
Agli inizi del secolo scorso il Vescovo Muller volle dare un’impronta oltre che spiritualmente anche socialmente più decisa all’istituzione e chiamò nella città le Figlie della Carità, che restarono a Gallipoli fino alla metà degli anni 1960, dedite a sostenere i bisogni delle persone che versavano nell’indigenza, situazione che all’epoca era drammaticamente comune.
Si narra che tra le monache nell’annesso monastero vi fosse una suora, suor Margherita, la quale aveva il compito di insegnare la musica alle orfanelle a loro affidate, e che la devozione per santa Cecilia, patrona dei musicisti, sia nata proprio qui verso la fine del XIX secolo.
Il culto per come lo conosciamo oggi, tuttavia, vide le sue origini solo alla fine degli anni ‘80-inizio degli anni ’90 del Novecento: in quegli anni, il ventidue novembre la statua di cartapesta raffigurante la santa, realizzata dal Malecore e ubicata in casa del proprietario Luigi Cataldi, cominciò a essere addobbata ed esposta alla venerazione pubblica, mentre in concomitanza nell’ex mercato coperto si teneva la “sagra della pittula”, curata dalla sig.ra Teresa, moglie di Mario Sansò.
Per i primissimi anni, la festa si è svolta in forma esclusivamente civile: la statua veniva preparata nel portone dell’abitazione civile del proprietario in via Corrado Spagna, ai suoi lati venivano poste delle candele, e il popolo si recava in visita per una preghiera mentre la banda suonava per rendere omaggio alla santa, come documentato da questo video.
https://www.youtube.com/watch?v=I2ciB6SS1zg
Negli anni a seguire si scelse di ampliare e rendere il culto più formale e religioso, portando ogni anno la statua da casa Cataldi alla chiesa di San Luigi per il triduo e la festa, per un certo periodo organizzando anche una processione sostituita poi più recentemente da una semplice traslazione nella Cattedrale di S. Agata, dove la santa viene accompagnata con il suono della pastorale gallipolina per la solenne celebrazione eucaristica in suo onore.
Intorno al 1998-1999, l’amministrazione dell’Associazione San Luigi Gonzaga, che ha sede nell’omonima chiesa, fece realizzare una statua da tenere stabilmente in loco, commissionandone la realizzazione al Maestro Antonio Papa da Surano e che attualmente è quella esposta alla venerazione pubblica.
Nonostante la relativa novità di queste cerimonie, l’usanza della celebrazione di una messa in onore di S. Cecilia il 22 novembre, così come il sentire comune per questa festa quale “prodromica” al Natale, era tuttavia radicata da tempo a Gallipoli. Le suore, forse proprio per la presenza di suor Margherita, la musicista delle orfanelle, avevano già dedicato una funzione alla Santa nel giorno della sua ricorrenza. Pertanto, si può affermare che non sia una consuetudine che ha origine negli ultimi anni: si officiava nella chiesa di S. Luigi a ridosso della festa della Medaglia miracolosa il 27 novembre, primo giorno della novena dell’Immacolata e nel centro del triduo per S. Andrea ed era molto sentita dalle suore del convento annesso, già circa due secoli fa.
Una storia analoga ha la festa del citato s. Andrea: fino agli anni ’70-80 del Novecento, il santo veniva onorato esclusivamente con una messa, celebrata al mattino del 30 novembre nella chiesa dei pescatori, di cui è compatrono, ad un orario antelucano per ragioni legate al mestiere proprio dei confratelli di Santa Maria degli Angeli. Il triduo e la processione al santo risalgono invece ai primissimi anni ’80, pur essendo profondamente radicata da tempo nella cultura popolare l’idea che questo santo fosse a pieno titolo tra quelli che scandiscono il tempo che porta al Natale.
La ragione della relativa novità di queste celebrazioni più solenni risiede nel fatto già detto, ossia nella ferma convinzione che il mese di novembre dovesse essere dedicato esclusivamente alla memoria dei defunti, ed era impensabile, sia per il clero che per la popolazione, almeno fino agli ultimi decenni del secolo scorso, organizzare una processione in quel mese.
Va evidenziato che ogni festività legata a un santo – non solo prenatalizia, si pensi ad esempio a S. Giuseppe, S. Omobono, la Madonna Addolorata – nella città viene commemorata seguendo un doppio binario, svolgendosi in chiesa e a tavola, prevedendo un proprio menù senza il quale la festa non è festa. Tra quelle che ricorrono tra il 15 ottobre e il 13 dicembre, e a eccezione di s. Martino che non appartiene strettamente alla cultura e alla tradizione cittadina, sulle tavole dei gallipolini si trovano baccalà, spesso con patate, rape stufate, e le immancabili pittule, condite nei modi più svariati: pizzaiola, gamberetti, calamari, cavolfiore, o solo fritte e intinte ancora calde nel vin cotto.
Cibi semplici, che rievocano sapori altrettanto semplici, ma in grado di restituire al primo boccone, o al solo sentirne il profumo nelle piccole vie del centro storico, memorie quasi proustiane, e che sono la vera essenza dell’animo del gallipolino.
Quello vero, quello per cui le tradizioni vanno rispettato e va rispettato l’onere, insito nell’etimologia stessa della parola, che chiunque le ami deve assolvere: consegnarle a chi viene dopo, affinché possano sopravvivere in un’epoca in cui tutto è veloce, al punto da non permettere di gustarne la vera essenza.