Il culto all’Addolorata a Gallipoli, tra Stabat Mater e Frottole sacre
Di Luigi Solidoro
È documentato che il particolare culto alla Vergine Addolorata ha avuto origine all’inizio dell’XI secolo radicandosi soprattutto a Firenze dove nel 1233 fu fondata la Compagnia di Maria Addolorata, detta anche dei Servi di Maria o dei Serviti, approvata, poi, da Roma nel 1645 con il titolo di Confraternita dei Sette dolori.
Caratterizzata dall’abito nero in memoria del lutto di Maria per la perdita del Figlio, con la celebrazione dei suoi 5 gaudi e dei suoi cinque dolori, diventati poi sette nel 1236, i Serviti, insieme ai Francescani, riuscirono in breve tempo a diffondere, non solo in Italia ma in tutta Europa, il culto all’Addolorata la cui celebrazione, inizialmente, era inserita nella Settimana Santa. Il 9 agosto 1692 Papa Innocenzo XII la posticipò alla terza domenica di settembre, mentre nel 1714 la Sacra Congregazione dei Riti la spostò al venerdì che precede la Domenica delle Palme, con l’approvazione del culto come Celebrazione dei Sette Dolori di Maria. Infine, nel 1750, Filippo V di Spagna stabilì per tutto il suo regno che la festa doveva tenersi il 15 di Settembre, data confermata definitivamente da Papa Pio VII il 18 settembre 1814 e successivamente da Papa Pio X nel 1913, non più come Memoria dei Sette Dolori ma come Beata Vergine Maria Addolorata.
Tuttavia, permangono in molte parti d’Italia, come anche a Gallipoli, le celebrazioni nelle date antiche, ossia nel periodo quaresimale. Questo culto ebbe un’incredibile diffusione in tutti gli strati della popolazione e portò in breve tempo all’istituzione di numerose confraternite dedicate a Maria Addolorata e ai Sette dolori della Beata Vergine. Questa forma devozionale, grazie anche al contributo di San Bernardo e Sant’Anselmo, trovò terreno fertile nella composizione delle Laudi popolari medioevali ispirate proprio al pianto della Madonna ai piedi della Croce. Uno dei primi componimenti fu il Liber de passione Christi et dolore et planctu Matris eius di autore anonimo.
Strettamente legato al culto dell’Addolorata è da sempre lo Stabat Mater, componimento poetico medioevale in latino che, essendo una Sequenza (ovvero un canto responsoriale), veniva cantato o recitato durante la celebrazione eucaristica prima della proclamazione del Vangelo. La paternità è attribuita generalmente al Beato Jacopone da Todi, ma assegnato anche a San Gregorio Magno, Innocenzo III, Bernardo di Clairvaux e San Bonaventura. Sin dal XIV secolo quest’opera è stata una delle più amate espressioni della devozione religiosa popolare, divenendo l’emblema del culto per la Vergine Addolorata ed è stata utilizzata anche nel rito della Via Crucis e durante la processione del Venerdì Santo. Con la riforma del Concilio di Trento (1545 – 1563), convocato per reagire alla riforma protestante di Martin Lutero, vennero eliminate dalla liturgia quasi tutte le Sequenze, incluso lo Stabat; ma, l’attaccamento popolare a tale componimento, mai dimenticato dai fedeli, portò Benedetto XIII, nel 1727, a reintrodurlo nel Messale.
Dal punto di vista compositivo, il testo è composto da 20 brevi strofe costituite da due versi ottonari e da un verso senario sdrucciolo. Idealmente si può suddividere in due parti: la prima, che comincia con le parole Stabat Mater dolorosa, è una meditazione sulla sofferenza patita da Maria nell’assistere alla Crocifissione del Figlio; la seconda, che inizia con le parole Eja, Mater, fons amoris, è un’invocazione affinché Maria ci renda partecipi al suo dolore e alle pene patite da Gesù, nella speranza di condividere la gioia del Paradiso. La bellezza e l’intensità drammatica del testo hanno portato i più grandi musicisti di tutte le epoche a musicarlo, da A. Scarlatti a G.B. Pergolesi (composizione che gli fu commissionata nel 1736 dalla Confraternita di Santa Maria dei Sette Dolori a Napoli), da A. Vivaldi a F.J. Haydn, a L. Boccherini, A Salieri, G. Paisiello, G. Rossini, S. Mercadante, F. Schubert, G. Verdi, solo per citarne alcuni, creando opere di altissimo livello e ancora oggi, a distanza di secoli, eseguite.
A Gallipoli, il culto per l’Addolorata è da sempre curato dall’antica Confraternita della Misericordia (sorta presumibilmente nel primo trentennio del XVI secolo); nel giorno della festa, venerdì che precede la Settimana Santa, dopo la celebrazione eucaristica di mezzogiorno presieduta dal Vescovo della Diocesi, la Confraternita è solita far eseguire lo Stabat Mater musicato per Voci soliste, Coro ed Orchestra dal maestro gallipolino Giovanni Monticchio (1852 – 1931) e che, ancora oggi, è molto caro a tutta la cittadinanza che ne attende l’esecuzione con fervida attesa. In verità, fonti storiche riportano già nel Settecento l’esecuzione a Gallipoli di Frottole sacre, ovvero composizioni strofiche con accompagnamento orchestrale derivanti proprio dalle Laudi medievali. Dai documenti conservati nell’archivio della Confraternita della Misericordia, infatti, emerge che nel 1752 fu eseguita una Frottola composta dal maestro gallipolino Nicola Caputi (1724 – 1794).
Molte sono state le composizioni che si sono alternate nei secoli in questo giorno solenne; nel 1942, infatti, lo storico e memorialista Ettore Vernole (1877 – 1957) scriveva: “Attualmente si conservano e si eseguono le Frottole superstiti alle dispersioni, cioè quelle di Ercole Panìco (1835 – 1891) e del Bianco (1859 – 1920), nonché lo Stabat del Panìco e quello assai gustato del Monticchio (1852 – 1931)”. Parlando dei testi poetici, poi, scriveva ancora: “Per le parti cantate nella Frottola gareggiarono con i versi i più appassionati poeti gallipolini, primi fra tutti i Coppola, anche il giudice Giovan Battista De Tomasi col titolo “Le lagrime dell’Addolorata” (cronache del Patitari, successori, pag. 82) e negli ultimi decenni Alberto Consiglio, la prof.ssa Caterina Coluccia, Don Luigi D’Amato e altri”.
Purtroppo, però, ad oggi sono giunte a noi solo quattro composizioni: “Mira, oh fedel!” di Vincenzo Alemanno (1875) conservata presso l’archivio storico della Confraternita delle Anime del Purgatorio, “Ahi, sventura!” (non è chiaro se del 1884 o del 1886), “L’han confitto!” (1893) e “Una turba di gente” (1899) di Francesco Luigi Bianco, conservate presso l’archivio storico della Confraternita del Monte Carmelo e della Misericordia che ne organizza l’esecuzione annualmente, in alternanza con lo Stabat Mater del Monticchio.
Risulta, quindi, alquanto singolare il fatto che si sia dispersa proprio la composizione del Panico che, secondo il Vernole, era la più gradita al pubblico; infatti, successivamente, parlando di questo musicista, specifica: “Le composizioni musicali di Ercolino furono innumerevoli […] son conservate e ancora desideratissime ed eseguite le composizioni di alcuni Inni a Santi, di un Inno per il Venerdì Santo, e la più bella delle Frottole che ancor oggi si gusta. Questa ultima gli fu chiesta e pagata con molto anticipo […] e fu composta [dal Panìco] in una sola notte”.
A ben vedere, di tale composizione si trova riscontro negli Annali della Confraternita, e precisamente in un verbale riguardante i festeggiamenti per l’Addolorata del 1882, dove, confermando la tesi del Vernole, si legge: “… giunta la processione in Sant’Agata si cantò la Frottola, musica fatta in questo anno dal m° Ercole Panìco, il quale ha ricevuto perciò il pubblico applauso. In tutte le tappe della processione si cantò la Frottola ed il pubblico si accalcava in ogni chiesa per sentire la tanto piacevole musica”. Purtroppo, però, di tale spartito si sono perse le tracce. La speranza di chi scrive è da anni quella di riuscire, prima o poi, a ritrovarlo e a godere di nuovo di tale bellezza.