Il carbonaro di Calimera
di Antonio Nahi
C’era una volta, nel paesino di Calimera, un vecchio venditore di carbone che tutte le mattine faceva il giro dei paesi vicini, col suo carretto sgangherato trainato da un asinello.
« Il carbonaro… il carbonaro… Carboni, carbonella!.. », con queste parole richiamava la gente. E le donne, avvolte in lunghi scialli neri, uscivano infreddolite dalle loro bianche case.
« Dammi tre soldi di carbone, ché ho da cuocere la pignata ».
« A me due soldi di carbonella per il braciere », diceva un’altra. E il carbonaro, svelto, in piedi sul carretto, con le sue mani nere pesava, serviva, intascava, vispo e contento.
Un giorno, dopo che le donne con il carbone erano rientrate nelle case e lui ancora fermo ad un crocicchio rinnovava il suo richiamo “Carbone, carbonella, donne!”, osservò davanti all’asinello una bambina tutta sola con le manine tese verso il muso dell’animale, per scaldarle al suo fiato.
La piccola, con addosso miseri stracci e i piedi nudi e gonfi sul suolo gelato, se ne stava ferma in silenzio con i suoi occhi neri come olive. Il vecchio carbonaro, mosso a compassione, prese alcuni pezzi di carbone e glieli porse, accompagnando il gesto con il suo vocione da orco finto:
« Prendi, piccola, va’ a scaldarti! ».
L’inverno particolarmente rigido sembrava aver ben bene affilato i suoi denti e il carbonaro, per colmo di sventura, aveva terminato tutte le sue scorte; ma questo non gli impediva di regalarne qualche pezzo alla bimba povera, ogni volta che passava dal suo paese. Aveva saputo che era una trovatella, e campava della carità della gente.
L’acqua era ovunque congelata, negli stagni e persino nei pozzi. Lunghe tormente di neve avevano fatto rintanare le persone nelle case e molti vecchietti morivano stremati. Anche il vecchio carbonaro consumò gli ultimi pezzi di carbone nel focolare, poiché il freddo ammazzava piú della fame.
La notte del Santo Natale mise a bruciare addirittura la seggiola e la cassapanca e poi man mano ogni altra cosa che potesse ardere e dare calore. Alla fine, s’assopí, seduto per terra accanto al focolare, aspettando la sua sorte.
Dal campanile del paese si diffondevano i rintocchi della Mezzanotte Santa, quando il carbonaro fu destato da una manina che lo scosse e gli indicò un allegro fuocherello scoppiettante nel focolare.
« Ciao, sono io, l’orfanella. Mi riconosci? Ho serbato qualche pezzo del carbone che mi hai regalato. Potremo cosí trascorrere al calduccio la Santa Notte… ».
I due s’abbracciarono felici e sorridenti…
In quella posizione fu trovato il carbonaro la mattina seguente, la mattina di Natale, dai vicini di casa: con le braccia strette come se abbracciasse qualcuno, e col sorriso dei santi che illuminava il suo volto.