I sacrifici agli dei nel mondo Greco
Di Giovanni Teresi
I sacrifici accompagnavano tutti i più importanti avvenimenti della vita dell’uomo o di un popolo. Si sacrificava in occasione di una nascita, di una morte, in onore di un ospite, prima di iniziare qualche importante impresa, per la stipulazione di patti, in occasione di un giuramento, ed, in genere, in tutti quei casi in cui si sentiva la necessità di ringraziare gli dei, di procurarsi il oro favore o di allontanarne l’ira. Così, nel libro I dell’Iliade leggiamo una solenne ecatombe ad Apollo per far cessare la pestilenza da lui causata.
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Macerato lasciò per la fanciulla
Suo mal grado rapita. Intanto a Crisa
Colla sacra ecatombe Ulisse approda.
Nel seno entrati del profondo porto, 570
Le vele ammaïnâr, le collocaro
Dentro il bruno naviglio, e prestamente
Dechinâr colle gomone l’antenna,
E l’adagiâr nella corsia. Co’ remi
Il naviglio accostâr quindi alla riva; 575
E l’ancore gittate, e della poppa
Annodati i ritegni, ecco sul lido
Tutta smontar la gente, ecco schierarsi
L’ecatombe d’Apollo, e dalla nave
Dell’onde vïatrice ultima uscire 580
Crisëide. All’altar l’accompagnava
L’accorto Ulisse, ed alla man del caro
Genitor la ponea con questi accenti:
Crise, il re sommo Agamennón mi manda
A ti render la figlia, e offrir solenne 585
Un’ecatombe a Febo, onde gli sdegni
Placar del nume che gli Achei percosse
D’acerbissima piaga. – In questo dire
L’amata figlia in man gli cesse; e il vecchio
La si raccolse giubilando al petto. 590
Tosto dintorno al ben costrutto altare
In ordinanza statuîr la bella
Ecatombe del Dio; lavâr le palme,
Presero il sacro farro, e Crise alzando
Colla voce la man, fe’ questo prego: 595
Dio che godi trattar l’arco d’argento,
Tu che Crisa proteggi e la divina
Cilla, signor di Ténedo possente,
M’odi: se dianzi a mia preghiera il campo
Acheo gravasti di gran danno, e onore 600
Mi desti, or fammi di quest’altro voto
Contento appieno. La terribil lue,
Che i Dánai strugge, allontanar ti piaccia.
Sì disse orando, ed esaudillo il nume.
Quindi fin posto alle preghiere, e sparso 605
Il salso farro, alzar fêr suso in prima
Alle vittime il collo, e le sgozzaro.
Tratto il cuoio, fasciâr le incise cosce
Di doppio omento, e le coprîr di crudi
Brani. Il buon vecchio su l’accese schegge 610
Le abbrustolava, e di purpureo vino
Spruzzando le venía. Scelti garzoni
Al suo fianco tenean gli spiedi in pugno
Di cinque punte armati: e come fûro
Rosolate le coste, e fatto il saggio 615
Delle viscere sacre, il resto in pezzi
Negli schidoni infissero, con molto
Avvedimento l’arrostiro, e poscia
Tolser tutto alle fiamme. Al fin dell’opra,
Poste le mense, a banchettar si diero, 620
E del cibo egualmente ripartito
Sbramârsi tutti. Del cibarsi estinto
E del bere il desío, d’almo lïeo
Coronando il cratere, a tutti in giro
Ne porsero i donzelli, e fe’ ciascuno 625
Libagion colle tazze. E così tutto
Cantando il dì la gioventude argiva,
E un allegro peána alto intonando,
Laudi a Febo dicean, che nell’udirle
Sentíasi tocco di dolcezza il core. 630
Fugato il sole dalla notte, ei diersi
Presso i poppesi della nave al sonno.
Poi come il cielo colle rosee dita
La bella figlia del mattino aperse,
Conversero la prora al campo argivo, 635
E mandò loro in poppa il vento Apollo.
Rizzâr l’antenna, e delle bianche vele
Il seno dispiegâr. L’aura seconda
Le gonfiava per mezzo, e strepitoso,
Nel passar della nave, il flutto azzurro 640
Mormorava dintorno alla carena.
Giunti agli argivi accampamenti, in secco
Trasser la nave su la colma arena,
E lunghe vi spiegâr travi di sotto
Acconciamente. Per le tende poi 645
Si dispersero tutti e pe’ navili.
Appo i suoi legni intanto il generoso
Pelíde Achille nel segreto petto
Di sdegno si pascea, nè al parlamento,
Scuola illustre d’eroi, nè alle battaglie 650
Più comparía; ma il cor struggea di doglia
Lungi dall’armi, e sol dell’armi il suono
E delle pugne il grido egli sospira.
Mentre nel libro III si legge un sacrificio prima della stipulazione del patto di amicizia fra i due eserciti.
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A’ suoi sergenti nondimen comanda
D’aggiogargli i destrieri, e quelli al cenno
Pronti obbediro. Montò Priamo, e indietro
Tratte le briglie, fe’ su l’alto cocchio 345
Salirsi al fianco Anténore. Drizzaro
Fuor delle Scee nel campo i corridori.
De’ Troi giunti al cospetto e degli Achei
Scesero a terra, e fra l’un campo e l’altro
Procedean venerandi. Ad incontrarli 350
Tosto rizzossi Agamennón, rizzossi
L’accorto Ulisse; e i risplendenti araldi
Tutto venían frattanto apparecchiando
Dell’accordo il bisogno, e nel cratere
Mescean le sacre spume. Indi de’ regi 355
Dieder l’acqua alle mani; e Agamennóne
Tratto il coltello che alla gran vagina
Della spada portar solea sospeso,
De’ consecrati agnei recise il ciuffo:
E quinci in giro e quindi distribuito 360
Fu dagli araldi il sacro pelo ai duci,
De’ quai nel mezzo Agamennón, levando
E la voce e le man, supplice disse:
Giove, d’Ida signor, massimo padre,
E sovra ogni altro glorïoso Iddio, 365
Sole che tutto vedi e tutto ascolti,
Alma Tellure genitrice, e voi
Fiumi, e voi che punite ogni spergiuro
Laggiù nel morto regno, inferni Dei,
Siate voi testimoni e in un custodi 370
Del patto che giuriam.
I sacrifici potevano consistere nell’offerta di doni o nell’immolazione di animali. I doni erano di genere svariatissimo: focacce, legumi, frutta, frumento, orzo, o anche, come nel libro IV, oggetti di vestiario.
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Cui portento a’ nocchieri o a numerose
Schiere d’armati scintillante e chiara
Invía talvolta di Saturno il figlio;
Tale in vista precipita dall’alto
Minerva in terra, e piantasi nel mezzo. 95
Stupîr Teucri ed Achivi all’improvvisa
Visïone, e talun disse al vicino:
Arbitro della guerra oggi vuol Giove
Per certo rinnovar fra un campo e l’altro
L’acerba pugna, o confermar la pace. 100
La Dea mischiossi tra la folta intanto
Delle turbe troiane, e la sembianza
Di Laódoco assunta (un valoroso
D’Anténore figliuol) si pose in traccia
Del dëiforme Pandaro. Trovollo 105
Stante in piedi nel mezzo al clipeato
Stuolo de’ forti che l’avea seguíto
Dalle rive d’Esepo. Appropinquossi
A lui la Diva, e disse: Inclito germe
Di Licaon, vuoi tu ascoltarmi? Ardisci, 110
Vibra nel petto a Menelao la punta
D’un veloce quadrello. E grazia e lode
Te ne verrà dai Dardani e dal prence
Paride in prima, che d’illustri doni
Colmeratti, vedendo il suo rivale 115
Montar sul rogo, dal tuo stral trafitto.
Su via dunque, dardeggia il burbanzoso
Atride, e al licio saettante Apollo
Prometti che, tornato al patrio tetto
Nella sacra Zeléa, darai di scelti 120
Primogeniti agnelli un’ecatombe.
Così disse Minerva, e dello stolto
Persuase il pensier. Diè mano ei tosto
Al bell’arco, già spoglia di lascivo
Capro agreste. L’aveva egli d’agguato, 125
Mentre dal cavo d’una rupe uscía,
Colto nel petto, e su la rupe steso
Resupino. Sorgevano alla belva
Lunghe sedici palmi su l’altera
Fronte le corna. Artefice perito 130
Le polì, le congiunse, e di lucenti
Anelli d’oro ne fregiò le cime.
Tese quest’arco, e dolcemente a terra
Pandaro l’adagiò. Dinanzi a lui
Protendono le targhe i fidi amici, 135
Onde assalito dagli Achei non vegna,
Pria ch’egli il marzio Menelao percuota.
Scoperchiò la faretra, ed un alato
Intatto strale ne cavò, sorgente
Di lagrime infinite.
Si offriva insomma alla divinità tutto ciò che avrebbe fatto piacere a un mortale. Rientravano in questi doni anche le libagioni, o offerte di liquidi: vino o anche miele e latte. L’offerta consisteva nel versare a terra o sull’altare il liquido, dopo averlo assaggiato. Più importanti erano i sacrifici cruenti, cioè quelli in cui si spargeva il sangue della vittima offerta. Gli animali più comunemente immolati erano buoi, capre, pecore, porci; ma potevano essere anche di altra specie, a seconda della preferenza del dio. Ogni divinità aveva infatti gusti particolari: a Nettuno piaceva il cavallo; a Venere non si poteva immolare il porco; le divinità celesti richiedevano animali di colore bianco; le divinità infernali, bestie di colore nero.
Innanzi tutto era necessario che il sacrificante (il sacerdote o la persona che celbrava il sacrificio) fosse puro nel corpo e nell’abbigliamento. Nel libro IV Ettore rifiutava di libare perché sporco del sangue e della polvere della battaglia.
L’animale destinato al sacrificio veniva condotto all’altare tutto inghirlandato e con le corna dorate (questo solo in onore delle divinità celesti).
Il sacrificio aveva inizio con il taglio di alcuni peli dalla fronte della vittima, che erano gettati poi sul fuco, tosto seguiti da alcuni chicchi di orzo con sale. Si uccideva quindi la bestia, tagliandole la gola, e il suo sangue, raccolto in un bacile, veniva pure gettato sul fuoco. Squartato l’animale, si avvolgevano le cosce nel reticolo grasso dell’intestino e le si ponevano sulla fiamma con altri pezzi di carne, spruzzandole di vino rosso e accompagnando gli atti con formule rituali, implorazioni e preghiere. Qui aveva termine la parte religiosa del rito, poiché le carni, arrivate al punto giusto di cottura, ritornavano proprietà di chi aveva offerto il sacrificio e con esse si banchettava allegramente. Soltanto in alcuni casi le carni non erano mangiate ma interamente bruciate: ad esempio, nel sacrificio di espiazione (o olocausto, che in greco significa “interamente bruciato) e nei sacrifici in onore di divinità sotterranee o di defunti.
Giovanni Teresi