IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

“I due seminaristi”, un racconto di Vincenzo Fiaschitello  (Parte seconda)

due seminaristi

(Fonte: parma.repubblica.it)

Antonio aveva riposto tanta fiducia nella possibilità di un lavoro più remunerativo e soprattutto più soddisfacente che il padre del suo amico avrebbe potuto procurargli.

La domenica, lo accolse con gentilezza la madre di don Paolo:-

-“Oh, Antonio, disse la donna, che piacere rivederti!” E con fare premuroso pose sul tavolo un vassoio. “Ti ricordi, Antonio? questi sono i dolci che si preparano solo dalle nostre parti. Li portavo spesso quando eri in seminario con Paolo”.

-“Grazie, signora! Confesso che non posso fare a meno di assaggiarli.”

La conversazione andò avanti ricordando episodi accaduti anni prima, finché entrò il marito.

-“Ti trovo bene, Antonio. Paolo mi ha detto che ti sei laureato brillantemente e che aspiri a un buon lavoro in accordo con quanto hai studiato”.

-“Sì, purtroppo qui in città non è facile e sono rimasto a fare il commesso in un negozio di scarpe. E’ stato una attività che da quando sono arrivato qui mi ha consentito di mantenermi agli studi senza gravare troppo sulla mia famiglia.”

-“Ho capito, caro Antonio. Come sai, noi abbiamo un buon numero di terreni confinanti con tre regioni, Campania, Basilicata e Puglie. Io comincio a invecchiare e un giovane come te mi servirebbe per tenere d’occhio campieri, lavoranti e produzione. Che ne dici? C’è molto da fare anche per la tenuta dei registri contabili. Non sempre posso fidarmi dei miei collaboratori. Una persona come te, davvero mi darebbe fiducia”.

Era il colpo di fortuna che Antonio sperava. Accettò con entusiasmo e ringraziò per quella offerta di lavoro che gli avrebbe cambiato la vita.

Giunti nel frattempo don Paolo e le due sorelle, andarono tutti a festeggiare in un vicino ristorante.

Quando Antonio iniziò la sua nuova attività era il tempo della raccolta del pomodoro. Il signor Morana presentò il giovane a una decina di suoi collaboratori e diede incarico a uno di loro di far conoscere i numerosi campi coltivati che si estendevano tra la Campania e la Basilicata.

Antonio faceva continue domande sulle modalità del raccolto, dei tempi di lavoro, dei riposi, del cibo, delle abitazioni dei lavoratori, del trasporto delle merci. Si rese subito conto che quello si limitava a rispondere evasivamente o con un semplice: “Questo non lo so, non me ne occupo io!”

Passavano i giorni e sempre più Antonio si convinceva che gravi se non gravissime erano le irregolarità, l’ingiustizia, le sopraffazioni. Ai margini dei campi si vedevano ovunque baracche fatiscenti, dove vivevano stipati, come e forse peggio degli ebrei nei ghetti nazisti. Nessun rispetto di norme igieniche, materassi ammucchiati per terra, fornelli a gas anneriti, stoviglie luride tra scarpe e coperte, senza riscaldamento, né luce.

Il caporale conosceva solo una legge: la sua! Quella gente, per lo più immigrati irregolari senza documenti, viveva come schiava. L’isolamento era totale, le donne spesso sottoposte a violenze sessuali, gli orari di lavoro massacranti. Antonio aveva constatato che a volte superavano perfino le dodici ore giornaliere. Quanto alla retribuzione, Antonio scartabellando tra le poche e disordinate carte accumulate in fascicoli sparsi nelle varie sedi dove vivevano i caporali, poté constatare che non esisteva una documentazione dalla quale ricavare, sia pure approssimativamente, quanto erogato ai lavoratori, quanto versato come contributi assicurativi. Nulla era possibile verificare per le varie campagne di raccolta, che si succedevano secondo le stagioni. Ad aggiungere sconforto a quello che fino a quel momento Antonio aveva scoperto, c’era un sopruso particolarmente odioso: i vari caporali facevano pagare a peso d’oro le cose di cui i lavoratori avevano bisogno, come per esempio l’acqua potabile, il pane, i guanti, i cerotti, i medicamenti antidolorifici.

In più di una occasione, Antonio aveva lasciato stupiti e irritati i caporali perché era intervenuto in difesa di qualche lavoratore, che si lamentava per il ridotto intervallo di tempo destinato al pranzo e al riposo.

A brutto muso, un caporale gli si era rivolto contro, dicendo

-”Ma tu fai gli interessi del padrone o di questi animali?”

Un’altra volta, prendendo le difese di un giovane nero che protestava perché il salario gli era stato ridotto di ben quattro ore, Antonio pregò il caporale di correggere l’errore.

Un giorno Antonio si trovò per caso a passare per una stradina sterrata per raggiungere a piedi un vicino campo, dove lavorava un folto gruppo di migranti e vide tre uomini sconosciuti che discutevano con il caporale, che tutti conoscevano come l’amministratore generale. Questi diceva che i rifiuti, come promesso, dovevano essere smaltiti entro la settimana e che non gli importava nulla se il sito scelto era in prossimità di un piccolo centro abitato. “Che crepassero pure tutti, non c’era da tornare indietro sulla decisione presa dal padrone”.

Antonio si limitò a fare un gesto con la mano per salutare e proseguì oltre speditamente.

Qualche giorno dopo accadde un fatto grave. Verso mezzogiorno, una decina di lavoratori neri, guidati da Akim, lo stesso giovane che alcuni giorni prima si era lamentato, si presentò dinanzi al caporale, protestando rumorosamente per il taglio di due ore al salario giornaliero. Antonio cercò di calmarli assicurando che avrebbe sistemato tutto, dopo il necessario controllo, ma quelli continuarono a inveire contro il caporale, ritenendolo responsabile. Alla fine Antonio convinse il caporale a cedere e a liquidare quanto illegalmente trattenuto. I lavoratori se ne andarono, accompagnati dalle terribili minacce del caporale.

-“Domani, tu verrai con me dal signor Morana”

Era già da tempo che Antonio pensava di incontrare il signor Morana per chiedere chiarimenti su tutto ciò che di grave accadeva sui luoghi di lavoro, su quanto era venuto a conoscenza che gli aveva procurato un infinito turbamento.

Il signor Morana li ricevette e, sentite le proteste del caporale riguardo al comportamento di Antonio, lo fece uscire.

Il signor Morana scuro in volto e palesemente irritato, come mai l’aveva visto prima di allora, lo investì con queste parole:

-“Ma tu credi che tutto questo benessere che io ho creato per me, per la mia famiglia e per tanti padri di famiglia, possa provenire dal rispetto di tante inutili regole, dagli scrupoli morali verso quella gente venuta dalla più nera miseria e che ora pretende di sfamarsi senza nulla dare? Oh, no! Ti sbagli, caro mio, se vuoi sopravvivere in questa società, devi guardare in primo luogo i tuoi interessi personali, lottando contro ciò che ti impedisce di ottenere il massimo guadagno da una attività. Devi andare dritto al tuo obiettivo e andare avanti come un treno, stritolando tutti coloro che si oppongono”.

Il signor Morana accompagnava quelle parole gesticolando, battendo i pugni sul tavolo e gridando.

A quel punto, ad Antonio si chiarì perfettamente il quadro di quella situazione che si trascinava da quasi cinque mesi.

Con voce pacata e ferma, il giovane rispose:

-“Signor Morana, d’ora in avanti quando mangerò una frutta, un qualsiasi prodotto della campagna, quando berrò un bicchiere di vino, penserò alle sofferenze e alle lacrime di tanti poveri infelici. Da questo momento mi ritengo sciolto da ogni rapporto di lavoro”.

Tornò a casa, riflettendo su come poteva dare un ultimo aiuto a quei lavoratori schiavizzati. Sapeva che nel vicino paese c’era una organizzazione sindacale che si occupava dei problemi dei lavoratori dei campi. Decise di prendere contatti e promuovere un incontro con tutti i lavoratori che si sentivano sfruttati. Il sindacalista si diede molto da fare anche se piuttosto scoraggiato perché altre volte aveva indetto simili riunioni, ma senza successo.

-“Ma questa volta, aveva assicurato Antonio, vedrà che verranno numerosi”.

Infatti Antonio aveva in mente di chiedere la collaborazione di Akim, il quale, infatti, fece intervenire i suoi amici in gran numero. Nel corso della riunione prese la parola Antonio, che dopo aver infiammato gli animi e raccomandato di non arrendersi alle ingiustizie e ai soprusi, di pretendere la giusta retribuzione, espose in mezzo agli applausi e al sostegno dei vari sindacalisti presenti, la sua idea per porre fine in maniera efficace al mercato delle braccia, che umiliava i lavoratori e arricchiva i padroni e i loro collaboratori senza scrupoli.

-“Non si può più rinviare questo problema che mi ha visto personalmente coinvolto. Per eliminarlo non c’è altra strada che farsi promotori di una legge, in realtà molto semplice, che dovrebbe vietare e comunque sanzionare quelle ditte che accettano di acquistare prodotti ortofrutticoli privi di una loro tracciabilità. Per esempio, una ditta specializzata nella conservazione del pomodoro non può acquistare una tonnellata di prodotto sottocosto. Deve sapere che in quel caso sono stati sfruttati sia i produttori, sia gli addetti alla raccolta. E dunque la legge dovrebbe regolamentare il prezzo minimo di acquisto, che la ditta dovrebbe documentare con relativa fattura di acquisto allo scopo di evitare lo sfruttamento. Se lo stato non interviene a disciplinare realmente il mercato, resteranno solo le chiacchiere e il falso pietismo.”

Questa fu la tesi sostenuta da Antonio, il quale ricevette grandi applausi e consensi. Quelle parole circolarono a lungo e in fretta.

Il clima si era surriscaldato parecchio, quando un mattino i giornali uscirono con una notizia che suscitò un grande scalpore. Scrivevano in prima pagina della scomparsa dell’imprenditore Morana, il quale come aveva denunciato la moglie era scomparso dalla sera precedente.

Più passavano i giorni e più si temeva il peggio. Non era mai accaduto, diceva la moglie, che il marito si fosse allontanato da casa senza dar notizia di sé.

In quei giorni accadde un altro evento inquietante. Una sera Akim fu prelevato dalla sua baracca da tre uomini sconosciuti che lo pestarono a sangue, lasciandolo su una stradina di campagna, dove fu ritrovato al mattino. Portato in ospedale, i medici temevano di non poterlo salvare senza un trapianto urgente di un rene. Infatti il poveretto aveva subito lo spappolamento di entrambi i reni.

Fu così che Antonio, sospinto dalla sua innata generosità, si offrì per donare il suo rene. Il gesto di Antonio ebbe una grande risonanza tra la gente del luogo e tra i lavoratori stranieri. Molti andavano a trovare Antonio e chiedevano notizie di Akim.

Un visitatore speciale fu don Paolo, il quale si fermò a lungo a colloquio con Antonio.

-“Non speriamo più di ritrovarlo vivo, diceva all’amico, sono profondamente addolorato per quel che ho appreso sulle modalità di arricchimento della mia famiglia. Io non mi ero mai domandato nulla, non ho mai sospettato comportamenti così esecrabili. Ora che per merito tuo è emersa la verità, mi vergogno e voglio allontanarmi dall’incarico che ricopro. Ho pregato Sua Eminenza di assegnarmi a una parrocchia di campagna perché possa riflettere e fare del bene a della povera gente”.

-“Ecco, non appena i medici mi daranno il permesso di uscire, voglio anch’io cambiare vita. Ti prego di farmi sapere dove andrai, perché voglio venirti a trovare ed esporti il mio progetto”.

Si abbracciarono.

Dopo quasi un mese, Antonio ricevette una lettera da don Paolo:

-“Carissimo Antonio,

sono già due settimane che mi trovo nella parrocchia di San Lorenzo di Coldellanoce, frazione di Sassoferrato, nelle Marche. Mi trovo molto bene, sono di aiuto al parroco, anziano e molto malato. Ringrazio il Signore per questa mia scelta. Qui la gente è semplice e buona. Intorno ci sono monti ricchi di boschi: ho già provato a fare delle passeggiate pomeridiane per i sentieri in mezzo a carpini e frassini. Non puoi immaginare quanta serenità mi infonde questo ambiente. Vorrei che tu lo vedessi insieme a me. Per questo ti aspetto. Una tua visita mi farebbe molto piacere e ascolterei il progetto cui mi hai accennato prima che partissi. E poi qui, pur essendo un piccolo borgo, c’è dell’arte. La chiesa, infatti, è molto bella: potrai ammirare un trittico del ‘400 (Madonna col Bambino e i Santi Lorenzo e Sebastiano) e un affresco della Madonna del Rosario del ‘500.

Un fraterno saluto da don Paolo.

Antonio conservò gelosamente la lettera e si confermò ancora di più sull’indirizzo da dare alla sua vita, dopo aver vissuto la dura esperienza lavorativa.

Prima di partire, Antonio volle andare a salutare il suo amico Akim:

-“Grazie, fratello!” disse Akim che lentamente riconquistava il suo antico vigore. Antonio si portò il ricordo del suo sorriso e della callosità di una mano, nera e forte.

Trovò il luogo che Paolo gli aveva brevemente descritto proprio come se l’era immaginato. Seduti su una roccia vicino a un torrente di acque limpide, Antonio espose al suo amico il progetto che aveva da tempo maturato.

-“Ho deciso di tornare all’antica via. In tutti questi anni di studio e di lavoro si è andato sempre più approfondendo quella vocazione che avrebbe dovuto emergere durante la vita in seminario, e ora mi sento pronto a compiere questo passo perché credo che così vuole per me il Signore.”

-“Sono davvero felice di sentirtelo dire, Antonio. E’ una scelta la tua davvero meditata, sofferta, e quindi penso meritevole di grande rispetto e attenzione.”

-“Qui è molto bello, è una terra che ha visto tanti santi. Pievi, santuari, abbazie, monasteri: è una meravigliosa corona di santità che abbraccia tutti questi monti.”

-“Ascoltami, Antonio. Mi è venuta un’idea. In questa terra benedetta, nel Medioevo ha operato San Silvestro Guzzolini, il quale fondò un monastero sul monte Fano, a pochi chilometri da qui, sopra la città di Fabriano. I Silvestrini qui sono molto amati e apprezzati per la loro operosità e reggono varie parrocchie della zona. Sono sicuro che ti farebbe piacere conoscere questo bellissimo monastero. Potremmo visitarlo domenica prossima, se sei d’accordo!”

-“Oh, sì sicuramente! Sarai una brava guida per me.”

La domenica, partendo dai giardini pubblici di Fabriano, con un pulmino, percorsero la strada che portava all’antico cenobio sulla cima del monte Fano, a circa novecento metri di altezza. Antonio e Paolo si soffermarono ad ammirare la suggestiva veduta: verso oriente la gola di Frasassi, a ponente il passo di Fossato, il monte Cucco e il monte Catria, celebrato da Dante.

L’incontro con l’abate fu semplice e cordiale. Conosciuta l’intenzione di Antonio, l’abate lo invitò a fermarsi una settimana per meditare e conoscere la storia e l’organizzazione della Congregazione dei Silvestrini.

Antonio visse quella prima settimana in grande armonia con se stesso. Elencando i frantumi di oscure ombre del suo animo, si preparò al complesso e lungo cammino di maturazione umana e spirituale, così che dopo tre mesi poté confermare la sua volontà di restare, perché sicuro di aver compiuto il primo importante passo su cui costruire tutto il resto: avere appreso ad abitare con se stesso!

(fine)

Vincenzo Fiaschitello

Nato a Scicli nel1940. Laurea in Materie Letterarie presso l’Università di Roma (1966) e Abilitazione all’insegnamento di Filosofia e Storia nei licei classici e scientifici; pedagogia, filosofia e psicologia negli istituti magistrali (1966). Docente di ruolo di Filosofia e Storia nei licei statali e Incaricato alle esercitazioni presso la cattedra di Storia della Scuola alla Facoltà di Magistero Università di Roma dall’anno accademico 1965/66 al 1973/74. Direttore didattico dal 1974, preside e dirigente scolastico fino al 2006. Docente nei Corsi Biennali post-universitari. Membro di commissioni in concorsi indetti dal Ministero P.I.

E’ autore di vari saggi sulla scuola, di opere di poesia e di narrativa.

Attualmente è redattore della Rivista culturale telematica “Il Pensiero Mediterraneo” (Redazione di Roma).

Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, lo ha insignito della onorificenza di Commendatore Ordine al merito della Repubblica Italiana (1997).

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