“I due seminaristi”, un racconto di Vincenzo Fiaschitello (Parte prima)
–“Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi”.
-“Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum”, rispondevano in coro, come tutte le sere nella grande chiesa collegata al seminario e interdetta ai comuni fedeli, i giovani seminaristi, chiudendo la loro giornata di studio con la meditazione spirituale e con la preghiera.
Tra loro, il diciottenne Antonio al suo secondo anno di permanenza in seminario, dove aveva dimostrato di sapere accettare le severe regole di quella comunità e di farsi apprezzare dai superiori per le doti intellettive, la volontà e la buona indole. Non aveva, però, quel che si dice la vocazione a diventare ministro di Dio. Si trovava là, solo perché la sua famiglia non poteva assicurargli il proseguimento degli studi. Il padre lo avrebbe voluto, dopo la scuola media, nella sua officina per apprendere il mestiere e contribuire al sostegno della numerosa famiglia. La madre, invece, aveva intuito che il ragazzo amava lo studio ed era intelligente, non si rassegnava a vederlo sacrificato in un lavoro precoce e senza la prospettiva di una ascesa sociale. Molto devota e assidua frequentatrice della chiesa, la donna aveva esposto la situazione del figliolo al parroco, il quale promise di occuparsene. Dopo tante insistenze, la donna vide premiata la sua costanza.
-“Vedi, Anna, io ho perorato presso il vescovo la causa di Antonio e ho ottenuto per lui un posto gratuito nel seminario della diocesi. Ho assicurato che è un ottimo ragazzo, timorato di Dio e che quasi sicuramente potrà far fiorire in quell’ambiente la sua vocazione. Io so che ancora questa vocazione il ragazzo non ce l’ha, per cui ti prego di raccomandargli di comportarsi come se già l’avesse. In seminario studierà tranquillamente e quando sarà il momento si consiglierà e deciderà liberamente. Nessuno lo costringerà a restare”.
-“ Grazie…grazie, don Giacinto! Che il Signore te ne renda merito”.
Anna portò la bella notizia alla famiglia. E il bravo Antonio promise tutto il suo impegno.
Si comportava con onore, approfondiva i principi fondamentali della fede cristiana, condivideva i suggerimenti pratici per l’acquisizione naturale di corretti comportamenti morali, partecipava con devozione alle pratiche religiose, tanto da essere additato spesso come esempio da imitare. Quando la madre andava a chiedere notizie del figlio a don Giacinto, questi non faceva altro che elogiarlo.
Antonio divideva la cameretta con Paolo, un giovane che proveniva da un paese vicino, dove la famiglia era ben conosciuta per la sua agiatezza. La sera, prima di addormentarsi, dopo aver spento la luce all’ora stabilita dal regolamento, i due chiacchieravano a lungo. Spesso commentavano gli eventi del giorno, ridevano per qualche comportamento buffo di un compagno, per una risposta fuori luogo, per qualche errore commesso da un educatore. Altre volte ad Antonio veniva spontaneo sottolineare certe incoerenze che registrava anche nel comportamento del direttore, il quale se a parole era pronto a dare spiegazioni ineccepibili sul piano morale, poi nella pratica se ne allontanava, magari anche maldestramente. E questo lo lasciava molto perplesso. Sin da ragazzo, infatti, la madre lo aveva educato alla coerenza: quando si riconosce un valore e si accetta consapevolmente, nulla poi nel vivere quotidiano può farcelo dimenticare o aggirarlo per nostra comodità. Crescendo, questo convincimento della necessità di una condotta coerente era diventato per Antonio un punto fermo della sua personalità.
Di qui, certi suoi giudizi inflessibili che non sempre incontravano simpatia tra i compagni e presso i suoi superiori che finirono col temerlo.
Una sera sentì piangere l’amico.
-“Ma tu piangi? Perché? Che cosa ti è capitato? Su, parla! Ti prego”.
Il compagno, dopo un silenzio ostinato, finalmente confessò:
-“Hai ragione tu, Antonio, che ci stiamo a fare qui? Preghiamo, promettiamo di comportarci con dignità secondo i principi morali della nostra religione e poi non esitiamo a fare tutto il contrario. Senti quel che succede nel nostro gruppo: Giorgio, quel giovane educatore che da qualche mese guida la nostra formazione, è stato sorpreso da uno di noi in atteggiamenti equivoci addirittura con il direttore. Nessuno era disposto a crederci e allora a turno abbiamo cercato la sera di tenerli d’occhio. Ebbene siamo stati costretti a ricrederci. Inoltre ci siamo accorti che spesso al buio si affacciano dalla finestra del salone ad osservare le coppiette di innamorati che si fermano in macchina nella stradina solitaria che circonda il seminario, dal lato che va verso la campagna. Non me la sento più di restare. presto ne parlerò con i miei”.
-“A dire il vero, anch’io sospettavo qualcosa, ma ora tu me ne dai conferma. Ad ogni modo ti consiglio di non affrettare la decisione. Io vorrei ormai terminare l’anno scolastico e poi lasciare”.
-“Sabato prossimo la mia famiglia darà una festa per la prima comunione di mia sorella Maria. Mi farebbe molto piacere che venissi anche tu. Lo dirò ai miei genitori: vedrai che ti inviteranno volentieri”.
Una gran bella festa, durante la quale i due seminaristi furono molto ammirati dalle ragazze! Le signore non si stancavano di complimentarsi, augurando una splendida carriera ecclesiastica. Una signora non esitò a dire: “Chissà, li vedremo forse vescovi o anche cardinali!”
Finita la breve vacanza, ritornarono in seminario alla vita di studio, di raccoglimento e di preghiera. Ma per Antonio non era
più come prima. La sua coscienza era rimasta turbata, più di quella del compagno.
Antonio, una sera, se ne uscì con certe strane riflessioni:
-“Sai, sento che la mia fede vacilla, non ho più quelle certezze che mi hanno finora sorretto nella vita. A volte mi succede di pensare che tutto, compresa anche la fede, ruoti attorno al cervello. Quindici miliardi di cellule! Questo impressionante intreccio tiene tutto sotto controllo: idee, pensieri, sogni, desideri, volontà, sentimenti. E quando osservo certi dipinti dove un martire sta per essere decapitato, a me pare di vedere già la testa troncata di netto, accanto al corpo. Ora quella testa avrà ancora per un attimo o per più di un attimo il pensiero di Dio, per il quale affronta la morte? Avverte la fede il vuoto dei cieli? Succhia il silenzio di Dio o più amaramente il nulla?”
Antonio si alzò dal letto e al buio si avvicinò alla finestra. La pioggia rigava i vetri illuminati dal debole chiarore del lampione della strada. Poi si voltò e sentendo che l’amico si era già addormentato, si domandò fino a che punto avesse ascoltato il suo discorso.
Durante tutto l’inverno e la primavera, i due seminaristi continuarono a scambiarsi le loro impressioni, ma evitando di toccare argomenti intimi e notizie di comportamenti scorretti, osservati tra le mura del seminario. Antonio provava la sensazione che un velo si fosse alzato sulla loro amicizia, senza però intuirne la ragione. Si limitarono perciò a trattare quasi soltanto argomenti di studio, problemi di interpretazione dei testi e di collaborazione nella stesura di relazioni scritte da presentare agli educatori.
Gli esami finali del corso di studi furono un successo per entrambi, che ricevettero le congratulazioni del rettore e dei familiari.
Per Antonio gli esami costituirono la fine della sua vita da seminarista. Mentre per Paolo furono l’avvio agli studi teologici che dovevano completare la sua formazione verso il sacerdozio. I suoi genitori, infatti, non avevano accettato la volontà del figlio di lasciare il seminario e, prospettandogli un futuro sicuro nella carriera ecclesiastica, lo avevano indotto a restare. Sicuramente era già da qualche tempo che i genitori insistevano con il giovane per fargli cambiare idea. E forse, pensava Antonio, che quel velo sulla loro amicizia era spuntato proprio per quel motivo che Paolo aveva preferito tenere segreto.
A diciannove anni, Antonio lasciò il paese e partì per l’avventura nella grande città. Aveva con sé l’indirizzo di una famiglia amica che lo avrebbe aiutato a trovare una camera in affitto, dove avrebbe trascorso in economia gli anni di studio all’università e in attesa di trovare un lavoro che gli consentisse di integrare la piccola somma di denaro che i genitori gli mettevano a disposizione. La madre gli aveva riempito la valigia di cartone con i viveri necessari per la prima settimana: formaggi, salumi, caffè, biscotti e tanti prodotti fatti in casa in vasetti di vetro. Antonio utilizzò tutto, evitando molte spese in trattoria.
Strinse amicizia con ragazzi e ragazze che come lui frequentavano le lezioni al primo anno del corso di laurea in economia e commercio. Aveva scelto questa facoltà non solo perché si sentiva attratto da questo ordine di studi, ma anche perché sperava di trovare presto una occupazione vantaggiosa. Nel frattempo chiedeva discretamente in giro e leggeva gli annunci sui quotidiani nella speranza di un lavoro temporaneo.
Un mattino si alzò di cattivo umore. La sera prima aveva studiato fino a tardi e ora dinanzi allo specchio si guardava nervosamente gli occhi gonfi, sbarrati, il viso stanco.
-“Non mi pare questa la giornata giusta per riprendere a studiare, disse a se stesso, è meglio uscire, fare un giro per respirare aria fresca e incontrare persone”.
Pur con quella partenza col piede sbagliato, la giornata fu per Antonio molto fortunata. Giunto nelle strade del centro della città, vide affisso sulla vetrata di un grande ed elegante negozio di scarpe un avviso. Leggerlo e decidersi immediatamente ad accettare l’offerta fu tutt’uno.
Il giorno dopo iniziò il lavoro di commesso con una modesta paga settimanale, che il proprietario prometteva di adeguare presto alle capacità dimostrate.
Oltre al proprietario, nel negozio c’erano altri due commessi, Piero e Sandra. All’inizio Antonio si accorse che Piero cercava di ostacolarlo, mentre la ragazza fu gentile e lo aiutò a superare le difficoltà dei primi giorni. Poi, però, divennero tutti e tre buoni amici.
Quando entrava un cliente maschio, di solito si faceva avanti subito Sandra. Se, invece, entrava una cliente, era Piero che si precipitava ad accoglierla, specie se era bella e giovane. La faceva accomodare e le presentava una infinità di modelli di scarpe senza mai spazientirsi. E se alla fine non acquistava nulla, non si lamentava affatto e rimetteva in ordine il mucchio di scatole accumulate vicino alla poltrona dove era seduta.
Ecco, la poltrona era la protagonista. La cliente più in alto, il commesso in basso che l’aiutava a sfilarsi e a infilarsi le scarpe. Alzava la gonna, accavallava le gambe, si metteva in piedi, si sedeva di nuovo, allargava le gambe e così via. Quando la cliente andava via, Sandra si avvicinava al collega con un sorriso ironico: “Ebbene, di che colore era?” intendendo lo slip della cliente.
-“Ma sei gelosa? diceva Piero, sei forse la mia fidanzata?”
-“Nemmeno per sogno! Uno come te non lo sposerei mai”.
Antonio ascoltava tra curioso e divertito questi battibecchi. A un tratto, Sandra rivolgendosi a lui disse: “Voglio sperare che tu sia più serio e che abbia più rispetto verso le clienti!”
Antonio sorrise e poi guardò il collega, il quale, sorridendo, si portò l’indice e il pollice alle labbra e alzò gli occhi in alto.
-“Perché hai fatto questo gesto? disse Antonio.
-“Lo so io, intervenne Sandra, ha pensato alla cliente che quando si siede a provare le scarpe assume la posizione ginecologica dinanzi a lui”.
-“Ebbene sì! E quando arriva voglio essere io a servirla”.
Per uno strano caso, la mattina dopo entrò in negozio una bella cliente, alta, bionda, sui trent’anni. E poiché i due erano occupati con altri clienti, toccò ad Antonio accoglierla. L’amico gli lanciò uno sguardo di invidia e la ragazza, passando accanto a lui, gli soffiò all’orecchio che si trattava proprio della cliente di cui si parlava il giorno prima. D’altronde non c’era alcun dubbio, perché effettivamente la donna nel provare le scarpe aveva più volte ripetuto la posizione ginecologica, aveva tirato su più del necessario la gonna e pareva divertirsi a vedere imbarazzato il commesso, con le guance rosse di fuoco.
Antonio aveva concordato con il proprietario del negozio brevi permessi nei giorni dispari della settimana, coincidenti con le lezioni più importanti all’università. La sera fino a notte inoltrata studiava alacremente. Ai genitori scriveva un paio di volte al mese, informandoli sugli esami sostenuti, incaricandoli di salutare don Giacinto e chiedendo notizie del suo amico seminarista.
Spesso prima di addormentarsi, la sera si domandava che cosa fosse rimasto in lui della formazione religiosa acquisita negli anni trascorsi in seminario. Dal suo esame di coscienza emergeva che per le pratiche religiose di un tempo non c’era più la stessa assiduità e devozione, ma qualcosa di importante era rimasta: una specie di musica interiore che si faceva sentire distintamente nei momenti più importanti e che dava il “là” al suo orientamento nella vita quotidiana. In fondo i principi morali appresi in quegli anni costituivano ancora il faro della sua personalità, non ultimo quello tanto apprezzato della coerenza. E poi, certe sere d’inverno, quando la malinconia si faceva strada nel suo animo, sentiva il bisogno di ricreare quella atmosfera di raccoglimento che aveva tante volte vissuto, ricordando particolari riti religiosi o leggendo Compieta.
Si addormentava tranquillo e al mattino era pronto a ricominciare un’altra dura giornata di lavoro e di studio.
Raramente Antonio partecipava a feste organizzate dagli amici di università, sia perché gli restava poco tempo per studiare dopo il lavoro, sia perché non possedeva un vestiario decente adatto a quelle circostanze. Il più delle volte, quindi, rinunciava sebbene a malincuore.
Era giunto il tempo di preparare la tesi poiché aveva programmato di laurearsi entro la fine dell’anno. In quel periodo ricevette una lettera dai suoi genitori: lo informavano che il vescovo aveva ordinato presbitero Paolo, il suo amico seminarista.
A novembre Antonio ottenne la laurea con il massimo dei voti e la lode. Festeggiò con pochi amici dell’università, con i due commessi del negozio di scarpe dove continuava a lavorare e che nel frattempo si erano fidanzati, e con i suoi genitori venuti per l’occasione dal paese.
Ora le ambizioni di lavoro per Antonio erano giustamente più prestigiose. Ma nulla accadde per i primi cinque mesi, durante i quali Antonio si impegnò a cercare sugli annunci dei giornali e a mandare il curriculum a decine di aziende. Si vide, dunque, costretto a continuare il lavoro di commesso che, ovviamente, non lo soddisfaceva più.
Una sera di giugno, uscendo dal negozio, si incamminò lungo il marciapiedi, malinconicamente chiuso nei suoi pensieri.
All’improvviso alle sue spalle sentì qualcuno che diceva:
-“Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi”.
Ancor prima di girarsi, Antonio istintivamente iniziò a rispondere :”Quia per sanctam crucem…”
Non riuscì a finire che già un abbraccio corse tra i due.
-“Tu qui? Che fai? Dove vai?”
-“Tu, piuttosto, da dove esci? Ti sei comprato le scarpe nuove?”
-“Ma no, è il negozio dove lavoro da alcuni anni.”
-“Bene! Che gran piacere rivederti. Ora non posso fermarmi perché ci sono gli amici che mi attendono nella parrocchia qui vicino. Però voglio sapere tutto di te. Io sono qui da poco più di due mesi e faccio parte della segreteria di S.E. il cardinale C. Domani mattina vieni a trovarmi. Dopo la messa sono libero e potremo parlare a lungo. Promettimi che verrai, ecco l’indirizzo”. E gli consegnò un biglietto.
Antonio promise e lo salutò, quasi un po’ imbarazzato, ora che si era reso conto che era un presbitero con la veste talare, così diverso dal giovane che aveva frequentato al seminario.
Di buona fattura aveva soltanto le scarpe, per il resto il vestito era decoroso, ma non certo elegante. Antonio salì le scale di un palazzo che gli sembrava principesco, dopo aver superato l’ostacolo di un severo portiere in livrea.
Don Paolo lo accolse con lo stesso calore ed entusiasmo della sera precedente. Parlarono per quasi un’ora, ricordando con nostalgia gli anni trascorsi insieme.
-“So che ti sei laureato in Economia e Commercio, disse don Paolo. E’ una ottima laurea, ma perché sei rimasto a lavorare in quel negozio?”
-“Mio caro, per la semplice ragione che non si trova un impiego decente, sebbene abbia fatto infinite ricerche. E’ assurdo, ma nessuno intende assumermi. Francamente, più il tempo passa e più mi sento un fallito.”
-“Oh, no! Un tipo come te, serio, onesto e preparato, può senz’altro interessare a mio padre. Gliene parlerò domenica prossima quando verrà con mia madre in città a riprendere le mie due sorelle. A proposito tu ricorderai Maria, la ragazza della festa della prima comunione e Martina? Sono qui in città presso l’Istituto delle suore del Preziosissimo Sangue. Ora tu resti a pranzo e poi nel pomeriggio verrai con me. Ho promesso di accompagnarle per visitare la città”.
Fu un incontro molto bello e interessante per Antonio che si trovò dinanzi a due giovani donne completamente cambiate. Martina, poi…Aveva venti anni e la trovava veramente splendida con quei capelli biondi, il viso vellutato, lo sguardo dolce e sereno. Tutta la sua persona era deliziosa, come parlava, come sorrideva, come si muoveva e come con grazia aiutava e consigliava la sorella minore a scegliere magliette e gonne e piccoli oggetti da regalare alle amiche al loro rientro in paese.
Al termine della felice giornata, Antonio salutò il suo amico e le sorelle.
-“Allora, siamo intesi Antonio? disse Paolo, ti aspettiamo domenica, così puoi parlare con mio padre”.
(continua)