I canti dei clefti
di Mario Pintacuda
Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, i Turchi si impadronirono della Grecia nel 1460, dividendola in sei province. La dominazione turca durò quasi 400 anni, nonostante le ribellioni interne ed i tentativi esterni di cacciare gli invasori.
In particolare, i secoli XVI e XVII furono molto critici per la popolazione greca; in quel periodo, “il patriarca di Costantinopoli impersonò non soltanto il capo nazionale (etnarca) dei greci, ma anche il capo religioso e politico di tutti i popoli ortodossi: in lui continuava così a sussistere l’idea dell’impero bizantino soppresso. Attorno al patriarcato si riuniva quanto rimaneva dell’antica aristocrazia bizantina, in cui venivano a confluire, col passar del tempo, componenti sociali di origine diversa” (N. Svoronos). Nelle scuole teologiche e nei conventi continuò l’opera degli epigoni della cultura bizantina, sin alle soglie dell’età illuministica.
Il graduale ampliamento dell’attività commerciale dei Greci condusse alla formazione di una classe benestante, che fu chiamata “Fanarioti” dal nome del quartiere costantinopolitano del Fanar (Φανάρι) ove essi abitavano: era il quartiere del faro, ove sorgeva il patriarcato. I Fanarioti erano persone colte in grado di mediare fra i conquistatori islamici e la popolazione greca; essi inoltre, intrattenendo frequenti relazioni con l’Europa occidentale, poterono modernizzarsi, istruirsi, imparare le lingue straniere, divenendo indispensabili alla gestione amministrativa dei Turchi.
Mentre avveniva una nuova diaspora di Greci verso l’occidente (specialmente l’Italia) o verso le sette isole ioniche (sempre immuni dal dominio turco), nelle montagne si organizzava la resistenza contro i Turchi: nacquero così, alla fine del ‘600, i “clefti” (dal greco antico κλέπτης “ladro, brigante”), che rinnovarono le imprese degli “akritai”, i leggendari difensori delle frontiere (ἄκραι) di Bisanzio al tempo delle guerre contro i musulmani.
Così li definisce il Lavagnini: “I clefti sono combattenti della montagna, gli uomini che hanno scelto di vivere tra le rupi e di dividere con le fiere il covile, piuttosto che di essere, nella pianura, schiavi del turco. Essi sono anche dei fuorilegge che vivono di rapina, taglieggiando turchi e servi del turco, ma il loro nome, che designava in origine il predone, il bandito, […] è divenuto glorioso e onorato. Questi eroi della perenne guerriglia contro il giogo turco ebbero parte di primo piano nel movimento greco per la indipendenza e nella guerra per la liberazione. Gli uomini della montagna erano il potenziale esercito della Grecia oppressa, il rifugio estremo della libertà, una scuola di virtù militare e di eroismo”.
I primi clefti furono coloro che sfuggivano ai Turchi rifugiandosi nelle regioni più impervie della penisola greca; infatti la popolazione maschile abile alla guerra dovette allora scegliere se servire il sultano ottomano (ad es. molti giovani greci furono arruolati tra i “giannizzeri”, i soldati-schiavi del sultano) o se darsi alla macchia e combattere per ottenere l’indipendenza da Costantinopoli.
Per contrastare i clefti, la Sublime Porta istituì un’apposita milizia irregolare, gli “armatoli” (composta esclusivamente da cristiani ma capeggiata da Turchi ed Albanesi); costoro furono inviati a presidiare i distretti più “ostici”. Clefti ed armatoli finirono però per allearsi contro l’Impero ottomano al tempo della guerra d’indipendenza greca.
I clefti crearono delle pericolose bande armate soprattutto nel continente greco, nel Peloponneso e a Creta; razziavano i Turchi, ma aggredivano anche i ricchi proprietari greci.
Fra i capi clefti più famosi fu Antonis Katsantonis (1775-1809). Il suo nome originario era Antonis Macrijannis (Αντώνης Μακρυγιάννης) e fu un pastore di Agrafa (Grecia centrale); nel 1802 si unì ad una banda di clefti attivi nella regione dell’Epiro, presso i quali ricevette l’epiteto di “Katsantonis” (“Antonio il Fuggitivo”, dato che kaçak in turco significa appunto “fuggitivo”).
Tra il 1803 ed il 1808, Katsantonis ed i suoi si scontrarono più volte con le forze di Alì Pascià di Tepeleni, che governava l’Epiro in nome dell’impero ottomano: nel 1807, in una battaglia presso il Monte Prosiliako, Katsantonis uccise Veli Gega, collaboratore di Ali Pascià. Nell’estate del 1809, afflitto da una grave forma di vaiolo, Katsantonis dovette rifugiarsi in una grotta, assistito da un “fratello” di nome Yorgos Chasiotis, cedendo il comando dei clefti di Agrafa a Kostas Lepeniotis. Ali Pascià inviò allora un contingente al comando del turco Mühürdar per catturare il bandito: Katsantonis e Chasiotis furono catturati e condannati a morte. Katsantonis fu giustiziato a colpi di maglio, ma venne poi celebrato dai rivoluzionari greci come protomartire (ad es. il poeta Aristotelis Valaoritis lo ricordò nel poema Fotìnos del 1879).
I canti cleftici erano canti popolari dal tono eroico e talora elegiaco, che celebravano vicende e personaggi della lotta contro i Turchi; furono pubblicati in due volumi nel 1824-1825 a Parigi da Claude Fauriel (Chants populaires de la Grèce moderne), che si basò su materiale raccolto dallo studioso con l’aiuto di Greci che abitavano in Italia e nelle isole Ionie.
Di Mario Pintacuda
Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico “Andrea D’Oria” e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all’Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E’ sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.Visualizza tutti gli articoli di Mario Pintacuda.