Ho visto un re
di Mario Pintacuda
Nel giorno dell’incoronazione di re Carlo III a me, chissà perché, torna in mente una canzone interpretata nel 1968 da Enzo Jannacci, su testo di Dario Fo e con la musica di Paolo Ciarchi: si intitolava “Ho visto un re”.
Jannacci, nei primi mesi di quell’anno “storico”, aveva dominato la Hit Parade per settimane con una canzone stramba e squinternata, ma diventata presto un vero “cult”: “Vengo anch’io. No, tu no”. Raccontava la surreale e fantozziana storia di un uomo che viene respinto da ogni evento e da ogni occasione (perfino dal suo funerale).
Dopo questo grande successo, noi ragazzi di allora aspettavamo con ansia il nuovo “singolo” di Jannacci: e quando in estate uscì “Ho visto un re” inizialmente restammo, se non delusi, per lo meno perplessi.
La nuova canzone, in effetti, era di meno facile presa, pur presentando un messaggio non meno valido. Costituiva infatti una sarcastica presa di posizione nei confronti dei potenti, i cui interessi sono accusati di cozzare sempre con quelli della gente comune.
Tanto “sgradito” era questo elementare concetto, che quando Jannacci propose “Ho visto un re” alle audizioni per partecipare a “Canzonissima 1968”, la canzone fu respinta e il cantante milanese la dovette sostituire con un’altra (“Gli zingari”).
“Ho visto un re” era nata, nelle intenzioni di Dario Fo, come “canzone popolare finta”; era stata scritta per lo spettacolo “Ci ragiono e canto” (basato su una serie di canzoni folcloristiche legate al mondo del lavoro e frutto di accurate ricerche sui canti popolari italiani).
Nel testo la voce narrante (con alcune inserzioni in dialetto lombardo) è quella di un contadino che, davanti ad altri poveracci come lui riuniti in un’osteria, racconta come tutti i potenti, quando vengono intaccati anche in minima parte i loro interessi (soprattutto economici), piangano disperati; i contadini, invece, se sono privati di beni essenziali, devono ridere per forza, perché il loro pianto «fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, / diventan tristi se noi piangiam».
Il villano dunque racconta di aver visto un re (“Ho visto un re”), senza essere nemmeno compreso all’inizio (“Sa l’ha vist cus’è?”, “Cosa ha visto?”). Quel re “piangeva seduto sulla sella, / piangeva tante lacrime / ma tante che / bagnava anche il cavallo”. E perché tante lacrime? Perché l’imperatore (c’è sempre un potente più potente degli altri potenti) “gli ha portato via un bel castello”. Un vero disastro, visto che il re di castelli ne ha “trentadue”!!
Il racconto del contadino continua: ha visto pure un vescovo, altrettanto disperato (tanto da azzannare la mano del suo sacrestano) perché il cardinale “gli ha portato via/ un’abbazia” fra le trentadue che possiede.
Non è ancora finita: l’uomo ha visto pure un ricco (“un sciur”, “un signore”) che “lacrimava su un calice di vino” perché “il vescovo, il re, l’imperatore / l’han mezzo rovinato: / gli han portato via / tre case e un caseggiato / di trentadue che lui ce ne ha”.
Per ultimo, il contadino ha visto un altro contadino, uno come lui. Costui aveva perso tutto quel poco che aveva: “Il vescovo, il re, il ricco, l’imperatore / perfino il cardinale / l’han mezzo rovinato. / Gli han portato via / la casa, il cascinale / la mucca / il violino / la scatola di kaki / la radio a transistor / i dischi di Little Tony/ la moglie / […] Un figlio militare / Ah beh, sì beh / Gli hanno ammazzato anche il maiale / Pover purscel”.
Un disastro, per un povero: ma stranamente lui non piangeva, “anzi ridacchiava”.
Il commento degli astanti è ovviamente di sorpresa: “Ma sa l’è, matt?” (“Ma è matto?”). Il narratore allora chiarisce inequivocabilmente qual è la realtà: “Il fatto è che noi villan / noi villan… / E sempre allegri bisogna stare / che il nostro piangere fa male al re / fa male al ricco e al cardinale. / Diventan tristi se noi piangiam”.
Il commento finale è l’ennesimo corale “Ah beh” (che a me ricorda l’intercalare “Ah ok” con cui oggi si ingozza ogni cosa senza battere ciglio).
Chissà se oggi, nel corso della grandiosa cerimonia di incoronazione di re Carlo III, quando il sovrano e la regina Camilla lasceranno Palazzo Reale alle 10.20 locali e arriveranno all’abbazia di Westminster, a bordo della carrozza del giubileo di platino (con sospensioni e aria condizionata, vetri elettrici e tanti comfort), ci sarà ad attenderli, fra centinaia di migliaia di persone, anche un contadino strambo e mezzo pazzo, che riderà e riderà e riderà pazzamente di gioia.
Riderà anche se non ha i soldi per arrivare a fine mese, anche se gli è stato tolto tutto, anche se la sua speranza è ormai disperata, anche se la Brexit lo ha messo alle corde.
L’importante, per lui, sarà di non far piangere il suo nuovo re.
Poi, tornato a casa, potrà dire alla sua famiglia: “Ho visto un re”. E il commento, inevitabile, sarà: “Ah beh, sì beh”.
P.S.: La canzone di Enzo Jannacci, per chi non la conoscesse, si trova facilmente su Youtube
Di Mario Pintacuda
Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico “Andrea D’Oria” e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all’Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E’ sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.