Hjalmar Söderberg, La giovinezza di Martin Birck, Iperborea 2024, pag. 224, traduzione dallo svedese e postfazione di Massimo Ciaravolo
di Marisa Cecchetti
Dopo avere scritto a ventidue anni alcuni capitoli di un romanzo sulla vita di un bambino, Hjalmar Söderberg li ha adattati a La giovinezza di Martin Birck, iniziato nel ’98 e concluso nel 1901. Diviso in tre parti, Vecchia strada, Il berretto bianco, Notte d’inverno, il romanzo segue la vita di Martin nella Stoccolma di fine ottocento, bambino che abita in un caseggiato di pietra lungo una strada con le casette basse di grigio sporco degli indigenti dalla parte opposta. Vive con il padre, burocrate amante della musica e del canto, la madre di rigida fede cattolico-luterana che lo carica di ansie e paure, la sorella maggiore Maria, la nonna che gli racconta storie, la domestica. Spesso sgattaiola per mano alla piccola Ida e va dove la strada si anima di persone e di animali: “Il gatto grasso e fulvo di madama Häggbom faceva le fusa sdraiato a occhi socchiusi sopra il bidone della spazzatura, mentre sotto i topi zampettavano dentro e fuori”. Abituato alle buone maniere e alla gentilezza, non sfugge alla aggressività di qualche giovane teppista; guidato con grande zelo alla pratica religiosa, vi si adegua passivamente, dice le preghiere ma non ne capisce il senso, “non sa immaginare Dio”. Si sente solo, cerca rifugio nella immaginazione e sente il desiderio di piangere. Ma l’infanzia gli regala anche momenti belli, come quelli davanti al ponte levatoio insieme al guardiano e al suo giovane garzone, a guardare i rimorchiatori e le chiatte; o a raccogliere fragoline in quelle estati che regalavano “una felicità che saturava il giorno e la sera per penetrare fin dentro i sogni notturni e il mattino era felicità in persona”.
Martin adolescente riceve il berretto bianco dopo aver superato l’esame della scuola superiore, simbolo di una meta raggiunta, e potrebbe proseguire con gli studi universitari, costosi per la sua famiglia: il padre è ben felice di sapere che ha deciso di accettare un impiego statale, entrando in una serie di giorni sempre uguali. Eppure lui sogna di fare lo scrittore, il poeta, ma purtroppo riconosce che “chi vuol fare lo scrittore non è altro che un oggetto di derisione davanti a Dio e agli uomini, finché non ottiene riconoscimenti e fama”. Intanto si è reso conto che nella religione non trova la sua verità, si è liberato del peso di una fede non sentita, cerca tuttavia “una fede per cui vivere, una stella su cui fare rotta”. Il richiamo dei sensi irrompe nella sua vita, le strade di Stoccolma offrono prostitute numerose come a Parigi e nelle altre capitali: “Ascoltava spesso le conversazioni dei suoi amici e colleghi sull’argomento. Aveva notato che quasi tutti i giovani rispettabili, e del resto anche i non più giovani, credevano in due tipi di amore, uno puro e uno sensuale. Le fanciulle di buona famiglia andavano amate con il tipo puro, il che voleva dire fidanzamento e matrimonio, cosa che raramente si potevano permettere” – ci volevano almeno quattromila corone per garantire alla famiglia le condizioni richieste dallo stato sociale borghese -. “Nella norma, quindi, solo le giovani ricche potevano ispirare un amore puro […] All’altro tipo, invece, quello sensuale, un giovane normale doveva dedicarsi più o meno una volta alla settimana. […] Era visto come necessario perché i maschi si mantenessero in salute e buon umore, e le fanciulle di buona famiglia potessero serbare la loro grande virtù”. Col passare degli anni – a venticinque una donna non era più richiesta in moglie – alle ragazze non rimaneva che farsi degli amanti.
Martin è critico verso questa mentalità, sogna l’amore e scrive lettere romantiche – non spedite – ad una fanciulla intravista dietro ai vetri, ma anche lui si adegua ai riti settimanali senza amore, in un susseguirsi di giorni che non portano cambiamenti: “che ne facciamo della nostra vita, noi esseri umani? […] Perché viveva e quale era il senso di tutto?” Poi una donna entra stabilmente nelle sue giornate e nei suoi pensieri, autonoma, che non corrisponde comunque all’immagine di moglie “gentile, obbediente, che costa poco”, che come tante altre non si illude più di essere chiesta in sposa. Quando ha incontrato Martin lo ha percepito diverso, finalmente si è sentita amata. Ma lui non osa uscire pubblicamente con lei, anche a teatro si tengono nascosti, osservano senza essere visti. Söderberg tuttavia lascia un finale aperto in questo romanzo di formazione che offre un ampio sguardo critico sulla società svedese del suo tempo, sulla ipocrisia che la connota, aperto alle trasformazioni urbanistiche della città che vede scomparire piano piano le casette basse e grigie, vede sorgere palazzoni e ciminiere e accendersi qualche lampada elettrica nelle case dei più agiati. Pagine di storie e di domande, di riflessioni e di contraddizioni, attraversate da una malinconia sottile e costante.
Hjalmar Söderberg (Stoccolma 1869- 1941) è uno dei rappresentanti più importanti della narrativa svedese, interprete della società e della crisi di fine ‘800. Di lui si ricordano Smarrimenti (1895), Il disegno a inchiostro (1898), La giovinezza di Martin Birck (1901), Il dottor Glass (1905), Gertrud (1906), il dramma da cui Dreyer trasse l’omonimo film, dove Söderberg, nel solco del teatro di Ibsen, mette in scena le contraddizioni della società nordeuropea.