Henri Cartier-Bresson, Cina 1948-49/1958, al Mudec-Museo delle Culture di Milano dal 18 febbraio al 22 luglio
di Paolo Rausa
Una grande mostra fotografica di Henri Cartier-Bresson, Cina 1948-49/1958 al Mudec-Museo delle Culture di Milano fino al 22 luglio di quest’anno illustra in più di 100 scatti le vicende cruciali della storia cinese poco prima della vittoria di Mao sul Kuomintang di Chiang Kai-shek e un decennio dopo, nel corso della rivoluzione socialista che si misura con le difficoltà economiche e inaugura “il grande balzo in avanti”, una spinta a fare meglio, “a costruire un socialismo generoso, migliore, più veloce e più sobrio”.
Cartier, che l’anno prima aveva fondato l’agenzia di fotogiornalismo Magnum Photos con gli amici Robert Capa e David Seymour, era stato inviato dalla rivista americana “Life” per riprendere gli ultimi giorni di Pechino, ormai in agonia e non più difesa convintamente dai nazionalisti. Partito per rimanere un paio di settimane, rimase poi più di 10 mesi fra le varie città cinesi, intento a seguire la marcia trionfale dell’esercito popolare e a documentare la vita semplice dei cinesi.
Dopo la pubblicazione del servizio su Life era ormai riconosciuto come maestro del fotogiornalismo e acquistò fama internazionale, perché le sue fotografie più che agli eventi erano dirette a ritrarre gli esseri umani nella loro esistenza “eroica” e intenti ad assicurarsi la sopravvivenza. Come ebbe a dire nel 1951: “Mi occupo quasi unicamente dell’uomo.” Per quanto il suo reportage rappresenti uno straordinario documento della vita negli aspetti quotidiani, un racconto per immagini, Cartier è convinto che “la vita non è fatta di storie che si possono tagliare a fette come una torta di mele… Bisogna evocare una situazione, una verità.” Raccontare la storia insomma, ma come il reporter o lo storico che vede, analizza e riporta, così il fotografo intende con i suoi scatti rappresentare l’umanità nel corso della vita fatta di stenti e di espedienti.
Pur ideologicamente e umanamente vicino alle idealità e quindi alla rivoluzione dei cinesi per liberarsi della tirannide interna, i suoi scatti migliori e più significativi, come a volte accade, sono quelli “casuali”, che riprendono situazioni carpite dalla realtà, dis/tratte, come dire, usuali, per es. dalla fila per ritirare una ciotola di riso, – molto espressivo il volto del bambino, incupito e allo stesso tempo speranzoso di un futuro “radioso”-, o dell’uomo, un coolie, che mangia all’esterno sotto un graticcio, osservato da un commerciante o dal cameriere, oppure lo scatto estremo, fuori rullino, di una folla ammassata e pigiata nella corsa all’oro a Shangai, 23 dicembre 1948.
Così anche la gloria dei soldati che partecipano alla lunga marcia si stempera su volti consumati dalla fatica, la stanchezza e la fame. Cartier parte da Pechino e poi si sposta a Shangai, Hong Kong per inoltrarsi all’interno, nelle città di Hangzhou e Nanchino.
Poi ritorna 10 anni dopo per verificare i risultati di quella rivoluzione annunciata ma, come tutte le cose, dalla partenza difficile e dai risultati controversi. Obbligato ad essere accompagnato nei luoghi scelti dal partito, le grandi fabbriche o i grandi cantieri, si sofferma a riprendere i cortei e le manifestazioni di operai e delle studentesse contro le bolle finanziarie che soffocano la nascente alba della nuova Cina comunista, mentre una giovane tamburellista annuncia vittoriosa ed entusiasta che sono stati raggiunti gli obiettivi produttivi fissati dal partito.
Prodotta da 24 Cultura del gruppo 24 Ore, promossa da Milano-Cultura e curata da Michel Frizot e Ying-Lung Su, in collaborazione con la Fondazione Cartier-Bresson, la mostra resterà aperta fino al 22 luglio al Mudec-Museo delle Culture di via Tortona 56 a Milano.
- Orari: lunedì dalle 14,30 alle 19,30; mart, merc, ven e domenica dalle 9,30 alle 19,30, giov e sab fino alle 22,30.
- Ingresso 12 €, ridotto 10 €, tutti i martedì per gli universitari ingresso a 8 €.