Giovani in Italia. Aspettando i barbari
di Gennaro Tedesco
Pare che il nostro Paese possegga uno dei meno invidiabili primati : quello della quasi infinita permanenza e stagnazione tra le mura domestiche o, con più chiara espressione e definizione, il maggiore, più lungo e stabile insediamento familiare di adolescenti e giovani.
La più recente sociologia, alleata ad un’altrettanto superficiale psicologia, si è immediatamente impadronita di un così fertile campo d’indagine e si è sbizzarrita nel tentativo di ridefinire e descrivere questi nuovi territori del sociale e dell’immaginario , addirittura riproponendo tale nuova e complessa situazione giovanile come sintomo di più avanzate frontiere nei rapporti interpersonali e intergenerazionali. Gli adolescenti, ma soprattutto i giovani e in particolare quelli italiani, secondo questa prospettiva, starebbero sperimentando avanguardistiche esperienze esistenziali e costruendo ardite e possenti architetture sociali.
Malgrado le propagandistiche e retoriche affermazioni dei media nostrani sulla raggiunta e piena libertà dei nostri giovani all’interno di una moderna, dinamica e brillante famiglia italiana, che consentirebbe alla nostra dorata e privilegiata gioventù, unica al mondo, insieme agli adolescenti, di godersi una paradisiaca e felliniana dolce vita, tale condizione, al contrario, ci sembra fortemente edulcorata e corrosa da una narcotizzante e paralizzante gabbia familiare e domestica, che costituisce una specie di non dichiarato ammortizzatore sociale che stordisce, indebolisce e mortifica le latenti e vitali energie adolescenziali e giovanili.
Ma, prima di procedere nel nostro percorso esplorativo e sperimentale, è necessario porsi una domanda preliminare : in quale società questi adolescenti e questi giovani vivono , convivono e interagiscono ? Domanda non necessariamente oziosa e tanto meno esclusivamente , freddamente e asetticamente sociologica perché chi scrive si sente pienamente e totalmente coinvolto in tale micro-indagine che implicitamente, tra l’altro, assume anche una dimensione storica non sempre chiaramente e facilmente percepibile e percepita.
La società attuale non è più la società solida e compatta con chiari e distinti e duraturi ruoli sociali e produttivi che, dopo la grande depressione del ’29, si era ridefinita , ricostituita e riorganizzata su salde basi dirigistiche, statal-capitalistiche e protezionistiche. All’interno di tale contesto , non ancora globalizzato o scarsamente globalizzato, tutti i soggetti sociali ed economici e finanziari, lavoratori, industriali e banchieri agivano nella certezza del loro presente e del loro avvenire : il capitalismo di stato, il dirigismo e un notevole livello di protezionismo economico e sociale garantivano a tutti o quasi tutti o sembravano garantirla una condizione di relativa stabilità e tranquillità
Negli ultimi due decenni a cavallo del Terzo Millennio tutto ciò, soprattutto in Italia, sì è lentamente prima, rapidamente e brutalmente poi, dissolto quasi come neve al sole : una epocale catastrofe sociale e non solo sociale di cui solo negli ultimi anni riusciamo a comprenderne la portata e soprattutto l’impatto traumatizzante.
La società italiana non offre più certezze. Giovani, meno giovani ed adolescenti, quando sono fortunati, trovano un lavoro precario e mal retribuito, privo di qualsiasi stabilità e certezza.Il sistema non offre più sbocchi occupazionali, ma soprattutto non fornisce prospettive e speranze. Anche i giovani italiani sono finalmente entrati a pieno regime nella società globale dell’incertezza e del rischio. Una novità assoluta soprattutto per le nostrane nuove generazioni represse, pronte ad esplodere alla prima occasione anche se un sapiente, sofisticato ed efficiente apparato massmediologico, propagandistico, pubblicitario, educativo , politico e sociale consente di monitorare, sorvegliare e sviare eventuali ribellioni di massa giovanili ed adolescenziali. La strumentazione ideologica del potere dominante ingenera , costruisce e inculca modelli individualistici che mitizzano e ritualizzano , enfatizzandolo fino al delirio, l’accesso paradisiaco alla proprietà, al mutuo, al perbenismo e al necessario e facile divertimento a portata di mano : uno stordimento e un assopimento aggravato e continuato senza precedenti.
In ogni caso, ammesso pure che qualche movimento politico giovanile prendesse coscienza collettiva e sociale di tale insostenibile situazione organizzandosi in movimento di contestazione di massa, esso avrebbe vita breve, per non dire brevissima ( recenti avvenimenti sembrano smentire tale ipotesi, speriamo ! ), perché le forze di controllo e di repressione dello Stato da qualche anno sono sempre più pervasive, invasive e reattive.
La società italiana in cui i nostri giovani ed adolescenti vivono è cambiata profondamente. Essa non dispone più di centri di gravità permanente, né di solidi punti di riferimento e le sue strutture portanti sembrano irrimediabilmente compromesse.
Naturalmente tutte queste trasformazioni vanno inserite e considerate nel quadro più generale del processo di globalizzazione in corso. Molti nel Bel Paese ne colgono solo i limiti e le distorsioni, limiti e distorsioni che si riflettono soprattutto sugli assetti sociali ed educativi. In modo particolare le prime vittime di tale rapida e virulenta trasformazione non solo italiana, anche se il nostro Paese si è inserito in tale processo in ritardo e quindi è costretto a subire più dirompenti disarticolazioni, ma mondiale, sono i gruppi familiari nei quali ritroviamo insieme adolescenti, giovani e genitori. Essi sono schiacciati e tramortiti da tali devastanti logiche globalizzatrici . Antichi, rassicuranti e consolidati modelli di riferimento e di comportamento familiare sembrano crollare sotto i terribili colpi del maglio globalizzatore mentre all’orizzonte non sembrano profilarsi chiari, alternativi e validi modelli sostitutivi.
E ovviamente, oltre agli adolescenti e ai giovani, i primi destinatari di tali complesse e disgreganti trasformazioni sono proprio i genitori che non riescono più a gestire il loro ruolo sociale ed educativo, messo in crisi anche da una spietata e travolgente crisi economica che mina le basi dello stesso vincolo coniugale. A loro volta gli adolescenti e i giovani riproducono e reinterpretano tale disagio coniugale e familiare amplificandolo nelle aule non solo scolastiche, accentuando il distacco tra esperienza e conoscenza, anzi erigendo una vera e propria cortina di ferro, una barriera impermeabile di netta e impenetrabile incomunicabilità tra la loro quotidiana, dilacerante e magmatica realtà e scuola e istituzioni .
Tale incomunicabilità viene aggravata da ritmi di apprendimento e immaginari collettivi del tutto avulsi da strutture scolastiche e universitarie concepite nell’Ottocento esclusivamente per un’educazione basata sulla linearità della forma-libro e quindi per nulla aperta alle forme multimediali ed elettroniche non lineari entro le quali oggi questi adolescenti e questi giovani si muovono, non solo imparando, ma soprattutto vivendo, sentendosi completamente a loro agio.
E da queste forme elettroniche essi sono sempre più irretiti, invischiati,coinvolti,implicati e in esse immersi, qualcuno, all’oscuro dei nuovi e nuovissimi mondi adolescenziali e giovanili, sbagliando, li direbbe plagiati, in un immaginario oceanico, contaminato, ibridizzato, creolizzato, poliedrico, caleidoscopico e multiverso. Insomma uno Stretto di Magellano ignoto a molti docenti e soprattutto difficile da conoscere ed esplorare e, una volta conosciuto e approfondito con anni di durissimo apprendimento e praticato con un solerte e robusto apprendistato, difficilissimo da affrontare.
La società in cui vivono i nostri adolescenti e i nostri giovani è una realtà che, al contrario del recente passato, si caratterizza per la sua pronunciata dimensione concorrenziale e globale. A tale convergente, combinata, inusitata e impetuosa pressione e sfida neocapitalistica gli adolescenti e i giovani italiani, come gran parte del nostro mondo industriale anche se in un ambito diverso e a un livello diverso, non sono in grado di opporre un’adeguata resistenza e tanto meno un adeguato contrattacco perché, a parte qualche lodevole eccezione, cresciuti ed educati a scuola come in famiglia, ma anche nella così detta comunità educante nazionale, in una prospettiva protezionistica e familistica. Le origini di tale peculiare pedagogia nazionale sono da ricercare nell’ambito della particolare e originale storia italiana.
Nascita e formazione di un tardo, ristretto, fragile e rachitico capitalismo nazionale, per sua voluta e intrinseca natura non concorrenziale, consociativo e protezionistico, timoroso e ostile a tutte quelle spinte di apertura concorrenziale provenienti dal basso e capaci potenzialmente di infrangere il blocco agrario-industriale formatosi e consolidatosi grazie a una chiusura reazionaria nei confronti dei ceti emergenti e grazie a una conseguente spartizione anche dei residui spazi amministrativi, che, a causa delle sue primordiali e limitate basi di accumulazione primaria, divenivano ambitissimi da parte dei rampolli della giovane e protetta borghesia nazionale.
Così penetrava , consolidandosi, nella nostra neonata borghesia nazionale una mentalità parassitaria, assistenzialistica e burocratizzata che finiva col permeare direttamente e indirettamente tutta la società, compresa la Scuola e l’Università, che ne divenivano contemporaneamente la cinghia di trasmissione, la cassa di risonanza e il primo laboratorio di sperimentazione protezionistica e assistenzialistica.
A ciò si aggiunga, coerentemente e conseguentemente alla base di potere più agro-manifatturiera che industriale nel pieno senso del termine almeno agli inizi prima dello sviluppo monopolistico del capitalismo nazionale e per un lungo tempo della nostra espansione capitalistica, un largo strato popolare e contadino , che abbandonato a se stesso e non educato a valori nazional-popolari, facilmente cadde vittima e strumento di un’ideologia piccolo-borghese e post-feudale, consapevolmente e fortemente veicolata dal ceto borghese al potere, intrisa di richiami paternalistici e nostalgici di origine corporativistica e familistica provenienti da mondo rurale e cattolico, concepita e basata ancora in modo prevalente sul rapporto ambiguo e subordinante del patrono-cliente che escludeva dalla propria prospettiva sociale, economica e politica ogni eventuale velleità di alternatività , imprenditorialità, concorrenzialità e indipendenzialità. Tutto ciò si aggrava nei successivi anni del boom economico. Il capitalismo di Stato assume non in base al curriculum professionale, ma in base ai patron partitici, sindacali o ecclesiastici. L’amministrazione centrale e periferica dello Stato, Regioni , Province e Comuni, Scuole e Università non sono da meno, anzi espandono, ritualizzano e mitizzano tale sistema , tale approccio e tale mentalità. Tant’è che possiamo senz’altro affermare, con poche possibilità di smentite, che uno dei principali fattori, ma ovviamente non l’unico, dell’attuale incapacità di capire e prevenire situazioni drammatiche e dell’inadeguatezza degli stimoli reattivi al processo di globalizzazione concorrenziale in corso per il mondo , deriva dalla su detta persistente e demagogica ideologia pedagogica ed educativa.
I modelli capitalistici nord-americani, basati sul consumismo, su uno sviluppo senza limiti e senza freni e su alti salari per chi si trova nei segmenti privilegiati della società, sono presi a modello da gran parte di giovani e meno giovani italiani, ma non i risvolti competitivi, concorrenziali e prepotentemente individualistici. Naturalmente, a scanso di equivoci, qui no si vuol celebrare l’apoteosi del capitalismo, ma semplicemente e conseguentemente, evidenziarne le sue logiche interne. Una volta accettata e introiettata la su strutturazione specifica e storicamente determinata, se ne devono cogliere , digerire e metabolizzare tutti i suoi aspetti , le sue incoerenze e incongruenze altrettanto strutturali e soprattutto le sue conseguenze economiche e sociali.
Ma il nostro attardato e rachitico capitalismo nazionale produce , ovviamente, sue proprie specifiche , straordinarie e autodistruttive ideologie, pur rimanendo, malgrado ciò, nell’alveo del capitalismo mondiale. Si è fatto credere ad adolescenti e giovani che un progresso illimitato del capitalismo avrebbe consentito a tutti, senza processi competitivi e senza rotture traumatiche sia collettive che individuali, di inserirsi a pieno titolo e senza eccessivi sforzi ai vertici della gerarchia sociale. Una ideologia questa che sta dando tutti i suoi frutti più amari a intere generazioni avvelenate e drogate da mitologie e simbologie del facile , rapido e soprattutto felice riposizionamento verticale all’interno di una società capitalistica pacificata , accogliente e globalizzata.