GAETANO ROMANO DI CASARANO, POETA E INTELLETTUALE IMPEGNATO SUL CAMPO.
di Paolo Vincenti
Nella cultura salentina fra i due secoli Ottocento e Novecento, un posto non secondario occupa Gaetano Romano (1883-1910), poeta e giornalista di origine casaranese. Dell’intellettuale, prematuramente scomparso, si occupa Fabio D’Astore con Gaetano Romano tra letteratura e impegno civile, per Milella edizioni[1], volume pubblicato con il contributo dell’Amministrazione Comunale di Casarano. Ben pochi probabilmente si ricordavano di Romano nella sua città natale. Non a caso il volume viene pubblicato nella benemerita collana di Luigi Marrella “I Quaderni di Kèfalas e Acindino”, che negli anni scorsi ha sottratto alle nebbie dell’oblio personaggi casaranesi degni di nota come Giuseppe Pacella[2], Adele Lupo[3], Giovanni Valente[4], solo per citarne alcuni. Gaetano Romano appartiene a quella seconda generazione di poeti dialettali salentini per i quali il versificare non si pone come estemporanea quanto genuina espressione di sé manifestata in modi spiccioli e con toni naif, bensì assume una certa valenza letteraria. Il canzoniere poetico di Romano, in buona sostanza, stando ai parametri letterari codificati dalla critica specializzata e richiamati in premessa dal curatore del libro, si caratterizza come un prodotto di notevole portata, lontano dal mero spontaneismo che aveva caratterizzato la stagione poetica salentina in vernacolo precedente e coeva di Romano e che continuerà a caratterizzare buona parte di quella a lui successiva.
L’opera riproposta è Canti a vint’anni. Si tratta di una raccolta di diciannove poesie in dialetto casaranese, pubblicata, con lo pseudonimo di Roseo, nel 1902 presso la tipografia Stefanelli di Gallipoli, città dove Romano risiedeva. Non ci addentriamo nell’analisi linguistica dei testi sulla quale si sofferma con maggiore competenza il professor Antonio Romano, autore della Prefazione del libro. Quanto allo stile e ai contenuti, diciamo che essi rientrano nel clima culturale in cui sono germinati, sicché queste liriche risentono del “sentimentalismo tardo ottocentesco”, del “realismo tardo scapigliato”, del “classicismo carducciano” e del “decadentismo pascoliano”, come puntualmente annotato dal curatore. Risentono inoltre di una chiara influenza dantesca e leopardiana, tutte evidenze che dimostrano la solida cultura di base del Romano sebbene i suoi studi scolastici non fossero stati regolari. Si evidenzia altresì un’ottima padronanza della metrica da parte del poeta, che utilizza l’endecasillabo e una varietà di soluzioni formali che vanno dal sonetto alla ballata. I temi preferiti sono la fugacità della vita, le illusione e le disillusioni della giovane età, l’amore per la propria donna, l’impegno sociale, la morte, il tutto con una forte impronta autobiografica. La scelta del dialetto ha per Romano una rilevante carica civile, quasi di rivendicazione identitaria, nell’adesione accorata agli usi e costumi di quella civiltà contadina di cui egli era figlio. Non sfugge, sia pure raramente, al bozzettismo, al quadretto di genere, ma questo è un rischio calcolato, possiamo dire, quando si scrive in dialetto e si rivolge l’attenzione al municipio, alla piccola realtà locale in cui si vive. Ai toni della poesia popolare si salda l’uso di una forte ironia che a tratti diventa sarcasmo, sull’esempio di Giuseppe De Dominicis Capitano Black, punto di riferimento per Romano.
Nel libro, dopo la Prefazione di Antonio Romano, vi è una Premessa del curatore e quindi il saggio La produzione in dialetto, in cui D’Astore presenta un profilo biografico del Romano, diviso fra i versi e la prosa. Le due facce della produzione però non si sovrappongono ma hanno una precisa scansione temporale, dove finisce l’una incomincia l’altra. Dopo la pubblicazione di Canti a vint’anni, infatti, Romano si trasferisce a Taranto e a Brindisi dove intraprende una fitta attività giornalistica. Per meglio comprendere i versi in dialetto, D’Astore offre una Nota ai testi rivolta sia ai lettori che agli esperti e poi il corpus poetico vero e proprio, con la riedizione della silloge del rimatore salentino. “Questi splendidi testi”, scrive Antonio Romano, “magistralmente analizzati nella presente edizione, oltre a mostrare la straordinaria versatilità del dialetto in quello scorcio di secolo e ribadire le indubbie qualità del poeta, offrono anche materiale utile al linguista per la datazione dei fenomeni e per l’analisi dialettologica fine di un dialetto che resta ancora tutto da studiare”[5]. Di Romano si erano occupati il poeta suo contemporaneo Oberdan Leone[6] e, a distanza di molti anni, la rivista «lu Lampiune»[7], che aveva riproposto la raccolta Canti a vint’anni, poi ancora Paolo Valentino, con una ripubblicazione in ristampa anastatica dell’opera[8].
La seconda parte della carriera di Romano riguarda il giornalismo e lo vede battagliero articolista in riviste anche da lui fondate. Dopo la pubblicazione della raccolta, l’intellettuale casaranese abbandona il dialetto e preferisce esprimersi in lingua; matura un convinto impegno civile e si interessa di problematiche sociali e politiche. Si trasferisce per motivi di lavoro prima a Taranto e poi a Brindisi e qui fonda la rivista «La Gazzetta Brindisina». Vicino alle posizioni della sinistra socialista, si dedica con sincero slancio etico ai problemi delle classi disagiate e, da uomo di fede quale si era manifestato nei Canti a vint’anni, diviene un anticlericale, attaccando spesso le posizioni della chiesa dalle colonne dei giornali su cui scrive, come «L’unione- Organo settimanale dei partiti popolari», che esce, sempre a Brindisi, nel 1909, sulle ceneri della «Gazzetta Brindisina», chiusa dopo appena tre numeri. In continuità, la rubrica Ninnoli e cianfrusaglie, che compare su entrambe le riviste. Ritorna a scrivere versi in italiano ancora con una spiccata valenza civile. Firma gli editoriali con svariati pseudonimi e nei suoi interventi privilegia i temi del libero pensiero, della giustizia sociale, dell’istruzione pubblica, della difesa delle classi operaie e del femminismo. Sulla rivista «L’Unione», memorabile resta una sua ardente polemica con il giornale cattolico «Il Faro», vicino alla maggioranza di governo della città di Brindisi. Romano dedica a questa polemica un libriccino intitolato Facciamo la luce Al Giornale Il Faro di Brindisi, uscito per lo Stab. Tipografico Giurdignano di Lecce nel 1909, firmato con lo pseudonimo di Roseo. Dalle pagine della rivista, Romano si lancia a testa bassa nella lotta politica non risparmiando accuse dirette all’amministrazione comunale di Brindisi, ripetutamente oggetto delle sue reprimende. I temi che maggiormente gli stanno a cuore sono il disagio delle classi subalterne, il mancato rispetto del decoro pubblico (oggi diremmo la tematica ambientale) e i problemi della scuola. La sua attenzione nei confronti della pubblica istruzione, in particolare, è talmente alta che si occupa anche di edilizia scolastica non risparmiando nei suoi editoriali al veleno aspre accuse contro i presunti responsabili della mala gestione e manifestando una netta contrarietà verso le scuole private. Romano avverte tutta l’importanza dell’alta e nobile missione degli insegnanti perché a loro è affidata la crescita morale e spirituale dei giovani e di conseguenza della classe dirigente del Paese, il che fa cogliere ancor meglio la rilevanza di quello che si può definire un vero apostolato culturale. Il poeta auspica una scuola laica, sganciata dalla nefasta influenza della chiesa e da interessi politici, perché solo una scuola libera, a suo modo di intendere, può formare cittadini liberi.
Romano morì il 6 gennaio 1910, vittima di un incidente sul lavoro. La sua salma si trova nel Cimitero di Brindisi dove è posto un monumento in ricordo delle vittime dell’incidente ferroviario in cui il poeta perì. È ricordato a Casarano da una epigrafe sita in Piazza Garibaldi, riportata in foto nel libro, e da una strada. In Appendice poi D’Astore riporta alcuni articoli tratti da «La Gazzetta Brindisina». Fra denuncia sociale e intimismo, tradizione e timida innovazione, fra prosa e poesia, Gaetano Romano si segnala alla nostra attenzione come un intellettuale battagliero e impegnato sul campo.
Il libro di Fabio D’Astore è stato presentato una prima volta al pubblico il 6 ottobre 2023 a Casarano, presso il Palazzo D’Elia, grazie all’Amministrazione Comunale di Casarano e alla locale sezione della Società Dante Alighieri, presieduta dallo stesso D’Astore. Alla presentazione hanno preso parte il Prof. Luigi Marrella, curatore della collana, il Sindaco di Casarano Ottavio De Nuzzo, l’Assessore alla Cultura Emanuele Legittimo, il prof. Marco Leone, dell’Università del Salento, il prof. Antonio Romano, dell’Università di Torino, e il curatore del libro. Chiara Danese ha letto alcune poesie di Romano[9]. La presentazione è stata ripetuta il 20 marzo 2024 presso la Scuola Paritaria Internazionale San Giovanni Elemosiniere, a cura del casaranese Circolo Culturale D’Annunzio, col patrocinio del Lions club Casaranello “Arte e cultura”, dell’associazione Liceo docet e dell’Amministrazione Comunale. Coordinati da chi scrive, sono intervenuti Fabio D’Astore e Marco Leone. Le letture sono state affidate a Joselita Sanfrancesco.
[1] Fabio D’Astore, Gaetano Romano tra letteratura e impegno civile, Lecce, Milella edizioni, 2023.
[2] Giuseppe Pacella filologo leopardista, a cura di Luca Isernia, Manduria, Barbieri Editore, 1999.
[3] Luigi Marrella – Luigi Scorrano, Un inno ed un sospiro. Adele Lupo di Casarano, Manduria, Barbieri Editore, 2001 e Adele Lupo Antologia delle opere, a cura di Luigi Marrella – Luigi Scorrano, Manduria, Barbieri Editore, 2010.
[4] Luigi Scorrano, Giovanni Valente. Poesie e un inedito teatrale, Manduria, Barbieri Editore, 2012.
[5] Antonio Romano, Prefazione, in Gaetano Romano tra letteratura e impegno civile, cit., p. 12.
[6] Oberdan Leone, Un poeta dialettale dimenticato: Gaetano Romano, in «Almanacco illustrato. Terra d’Otranto compilato da Clodomiro Conte», vol. II, 1932, pp. 249-253, cit. in Fabio D’Astore, Gaetano Romano tra letteratura e impegno civile, cit., p. 16, nota 7.
[7] Gaetano Romano, Canti a vint’anni, in «lu Lampiune», a.3, n.3, 1987, pp. 144-157, cit. in Ivi, p. 17, nota 9.
[8] Gaetano Romano (poeta casaranese), Canti a vint’anni, a cura di Paolo Valentino, Casarano, Eurocart, 1998, cit. in Ibidem.
[9] Si veda Gaetano Romano tra letteratura e impegno civile, in «Il Nostro Giornale» n. 99, dicembre 2023, pp. 70-71.