IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Filosofia: il Socialismo Utopistico di Francesco Abate

Dipinto "Il quarto stato" di Pelizza da Volpedo.

Dipinto "Il quarto stato" di Pelizza da Volpedo.

Dipinto "Il quarto stato" di Pelizza da Volpedo.
Dipinto “Il quarto stato” di Pelizza da Volpedo.

Lenin definì il Marxismo come successore legittimo delle cose migliori create dall’umanità nel XIX secolo: la filosofia tedesca, l’economia politica inglese e il socialismo francese. Il socialismo francese è quello che, a torto o a ragione, fu definito “Socialismo utopistico”.

CLAUDE-HENRI DE SAINT-SIMON (1760-1825)

La storia è retta da una legge di progresso. Tale progresso non è però lineare, ma è un’alternarsi di periodi organici e periodi critici. I periodi organici (o epoche organiche) sono quelli che si fondano su principi solidi (idee, valori, tecnica, ecc.) che si formano e operano al loro interno. Quando però lo sviluppo della società invalida i principi che reggono un periodo organico, si entra in un periodo critico (o epoca critica). Così come il monoteismo mise in crisi l’età del politeismo, così la Rivoluzione francese e il progresso della scienza hanno segnato la fine del Medioevo.

Il progresso scientifico ha quindi distrutto le teorie teologiche e le idee metafisiche che stavano a fondamento del Medioevo, il mondo ora potrà essere riorganizzato solo sulla base della scienza positiva. In questa nuova epoca il potere spirituale sarà nelle mani degli uomini di scienza <<i quali possono predire il più gran numero di cose>>, mentre il potere temporale apparterrà agli industriali che occuperanno il più gran numero di individui. Tutto ciò implica che l’affermazione dell’industrialismo rende impossibile il potere teocratico-feudale del Medioevo, dove gli ecclesiastici avevano il potere spirituale e gli uomini di guerra quello temporale. Scienza e tecnologia sono oggi in grado di risolvere i problemi umani e sociali.

Gli uomini possono essere felici solo soddisfacendo i loro bisogno fisici e spirituali, a ciò servono le scienze, le belle arti e i mestieri, mentre fuori di questo ci sono solo i parassiti e i dominatori.

Per illustrare la necessità che il potere politico passi nelle mani dei tecnici e degli scienziati, Saint-Simon racconta una “parabola”: se la Francia perdesse i tremila individui che ricoprono cariche politiche, religiose e amministrative più importanti, lo Stato non subirebbe alcun danno e tali persone sarebbero facilmente rimpiazzabili; ma se la Francia perdesse i suoi tremila migliori scienziati, artigiani e artisti, cadrebbe subito in uno stato di inferiorità rispetto alle nazioni di cui è ora rivale e continuerebbe a restare subalterna nei loro confronti finché non avrà riparato la perdita. Il pensiero positivo, principio ordinatore della nuova società, eliminerà i tre principali inconvenienti del sistema politico vigente: arbitrio, incapacità e intrigo.

Il progresso verso la nuova età organica dominata dalla filosofia positiva è inevitabile. L’avvento della futura società sarà come un ritorno al Cristianesimo primitivo, in cui la scienza permetterà il raggiungimento della fratellanza universale che Dio ha dato agli uomini come regola di condotta.

Il Sansimonismo ebbe un notevole impatto in Francia e non solo. I canali di Suez e Panama furono idee dei Sansimonisti, così come le programmazioni economiche e agrarie. Per Saint-Simon il criterio con cui avrebbe dovuto operare lo Stato era il seguente: da ciascuno secondo le sue capacità (regola della produzione), a ciascuno secondo le sue opere (regola della ripartizione).

CHARLES FOURIER (1772-1837)

Nella storia esiste un grosso piano della Provvidenza da cui non possono essere esclusi l’uomo, il suo lavoro e la maniera in cui costituisce la società. La Provvidenza ha messo in tutta l’umanità le stesse passioni che non sono altre dei sistemi di attrazione. La legge di Newton può essere estesa anche all’uomo, le passioni attraggono tra loro gli uomini così come la forza gravitazionale i pianeti. Per tali ragioni le passioni devono essere soddisfatte, non represse. L’organizzazione sociale, per rispettare il piano di Dio, deve rendere il lavoro attraente, assecondare la naturale tendenza al piacere al fine di ottenere il massimo rendimento.

Le tre grandi epoche storiche (quella dei Selvaggi, quella dei Barbari e quella dei Civilizzati) hanno sempre ostacolato l’armonioso sviluppo delle passioni umane. Anche la civilizzazione, tanto amata dagli Illuministi, in realtà è il trionfo della menzogna (ne è dimostrazione il commercio, dove le merci aumentano di prezzo ma non di valore). La “civiltà”, dove ognuno persegue il proprio interesse infischiandosene di quelli altrui, porta l’umanità alla miseria nonostante aumenti la circolazione di beni.

Non solo l’economia è perversa, anche la morale lo è. Nello stato attuale l’uomo è in guerra con sé stesso e le sue passioni urtano tra loro. La scienza che si chiama morale pretende di reprimere tali passioni, ma in realtà il fine dovrebbe essere quello di arrivare al meccanismo spontaneo delle passioni, senza reprimerne alcuna. La morale attuale blocca le passioni e genera ipocrisia.

Le passioni dell’uomo vanno assecondate al fine di ottenere il massimo rendimento. L’organizzazione adatta per Fourier è la falange. Gruppi di 1600 persone vivono in un falansterio, non una caserma ma un albergo. Ogni persona nel falansterio può sfogare le sue inclinazioni come meglio crede, non ci sono lavori domestici e non c’è vita familiare, i bambini vengono educati dalla comunità. Uomini e donne sono equiparati e nel falansterio c’è assoluta libertà sessuale. Il lavoro non è fatica, ognuno fa quel che vuole. Per evitare la monotonia del lavoro, ogni persona deve imparare una quarantina di attività, così può cambiare durante la giornata. I lavori sporchi, come pulire la cloaca, vengono assegnati ai bambini che, per loro natura, si divertono a sguazzare nell’immondizia. Alcuni discepoli di Fourier provarono ad attuare i falansteri in Europa e in America, gli esperimenti però fallirono mostrando che si trattava di un’utopia.

PIERRE-JOSEPH PROUDHON (1809-1865)

Proudhon è simultaneamente contro la proprietà privata e contro il comunismo.

Giudica la proprietà privata un furto, perché il capitalista la ottiene non corrispondendo all’operaio il reale valore del suo lavoro. Questa condizione crea la principale contraddizione tra capitale e lavoro, contraddizione che porta il capitalista ad appropriarsi dell’intera esistenza dell’operaio e non solo del suo lavoro. Proudhon non è però contrario alla proprietà privata in quanto tale, ma solo alla proprietà che assicura un reddito senza lavoro. La proprietà può avere una giustificazione solo come condizione di libertà, ma quando essa è organizzata in modo da rendere liberi i pochi (capitalisti) a scapito della schiavitù dei molti (operai), allora è un furto. Solo il lavoro è produttivo, l’operaio può appropriarsi del frutto del proprio lavoro, questo però è possesso e non proprietà privata capitalista.

L’ordinamento socio-economico borghese va cambiato, ma Proudhon scarta l’ipotesi comunista. Il comunismo asserve la persona alla società, è una religione intollerante orientata verso la dittatura. Nel comunismo lo Stato non diventa solo proprietario dei beni materiali, ma anche dei cittadini, forma uno Stato-caserma in cui la vita degli uomini è completamente soggetta allo Sato. Egli preferisce <<far bruciare la Proprietà a fuoco lento, piuttosto che darle nuova forza facendo una notte di san Bartolomeo dei proprietari>>.

Anche l’ipotesi individualista non è adeguata, è infatti illusorio lo sviluppo senza limiti della libertà dei singoli.

Proudhon propone un nuovo ordinamento sociale fondato sulla giustizia. Per lui la giustizia non è quella dataci da un Dio, la giustizia della rivelazione, ma è quella della rivoluzione che è immanente nella coscienza e nella storia umana. Tale giustizia è il rispetto della dignità umana, in qualsiasi situazione essa sia compromessa, e a qualsiasi rischio ci esponga la sua difesa.

È necessario per riorganizzare l’economia che i lavoratori diventino proprietari dei mezzi di produzione e che abbiano la possibilità di autogestire il processo produttivo. Così il tessuto economico della società si costituisce come una pluralità di centri produttori che si equilibrano a vicenda.

Francesco Abate

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