IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

“Falso movimento” un romanzo di Gianvito Pipitone – terza puntata

Falso-movimento-di-Gianvito-Pipitone

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All’interno dell’abitacolo l’aria era irrespirabile, a dir poco pestilenziale. Cedric sedeva rannicchiato in posizione di navigatore accanto al pilota Dutroux, a disagio su quella poltrona troppo grande per contenere anche un uomo dalle rispettabile altezza di 190 centimetri. L’architetto sfoggiava una camicia bianca con colletto alla coreana e un pulloverino di lana pettinata, di colore blu notte, rigorosamente Lacoste, adagiato sulle spalle, perfettamente posato fra capo e collo come fosse stato appuntato da spilli posticci. Quella mattina l’uomo non aveva sbagliato l’acqua di colonia. Era stato un incontrollato rivolo di Hugo Boss a sfuggirgli dal flacone impregnandone a fondo l’epidermide. Di fatto impestando l’aria della cabina di pilotaggio, peraltro già di suo parecchio effervescente. Sul sedile posteriore sedeva la sua ex moglie, madame Nerval, come ci teneva ad essere appellata nonostante il divorzio non fosse ancora esecutivo, sempre costantemente sul pezzo. Alle prese cioè con l’arte che da sempre aveva costituito il leitmotiv del loro rapporto: tenere in continua tensione i nervi ormai allentati, quasi infraciditi, del marito.

Cedric era stato prelevato sotto casa molto presto quel martedì mattina. Erano quasi le cinque quando il Suv aveva cominciato a sgabbiarsi dagli stretti vicoli del Marais e risalendo da Rue de Turenne, aveva finalmente direzionato la prua in direzione sud est del paese, località Dijon. A quell’ora il quartiere del Marais conosceva forse il suo parziale più tranquillo. Troppo tardi persino per le gozzoviglie dei più accaniti fra i suoi scapestrati. Troppo presto ancora per i regolari dirigenti della classe alto-borghese che avrebbero inaugurato la giornata con una sessione di jogging sull’Arsenal trasbordando poi sul Lungosenna.

Sarà stata la tangenziale sud libera oppure l’effetto distruttivo dell’ instancabile nenia dell’ ex moglie, fatto sta che Dutroux non si stava affatto risparmiando alla guida. Tanto che all’ennesima curva pericolosa, con la morte negli occhi, Cedric si trovò a puntare mani e piedi nel riflesso incondizionato di spingere un freno virtuale che pareva non voler funzionare mai. Per dignità, machismo o chissà per quale altro diavolo di motivo non avrebbe mai lasciato trapelare al provetto pilota la sua fottuta paura della strada e dei suoi imperscrutabili inganni. A suo tempo, era stata una vera e propria fobia della strada a fargli definitivamente prendere la decisione di lasciare marcire sul bordo della strada la sua vecchia Renault 4 color verde regime. Erano ormai passati dieci anni. Da allora aveva datato un lento e lungo lavoro di studio e conoscenza della complicata rete dei trasporti parigina, dell’Ile de France, del Centro-Nord e in definitiva di tutta la Francia. In sostanza, Cedric Bovin dipendeva in tutto e per tutto dai mezzi pubblici e privati, persino per i suoi frequenti lunghi e tumultuosi traslochi. E non c’era tassista del centro che non ne conoscesse i trascorsi.

Il jingle di radio Antenne 2 sullo sfondo lo informò che erano le 5 e trenta quando il Panzer imboccò la E 6 nei pressi di Chevilly. Sul parabrezza cominciarono ad affiorare delle goccioline sempre più insistenti che all’altezza di Evry si erano tramutate in grassi goccioloni. Nell’abitacolo un’unica voce monotona e stridula aveva ormai saturato lo spazio di confronto, risucchiandolo come in un vortice potente. In poco più di mezz’ora Madame Nerval aveva snocciolato in ordine sparso un lungo rosario di argomentazioni e faits divers, mettendo sù un teatrino che si gonfiava e si colorava di trascurabili figure, inutili vicende e miserevoli dettagli. La domestica anziana e il suo vizietto con la bottiglia; i giardinieri e le loro volgari abitudini la mattina di prepararsi la colazione a base di sarde salate e pane raffermo; quei pusillanimi vicini di casa e i loro interminabili lavori in giardino con quella gru piazzata sulla strada a due passi dal cancello di casa; gli amici del bridge che avevano dato un party nella stessa sera in cui a casa sua era prevista una serata a baccarat. E poi il tempo sempre più umido e gli sbalzi di temperatura; le bombe d’acqua e la tropicalizzazione del meteo in Francia. E così via. A completamento di ogni blocco arrivava infine puntuale la nota amara, di infelice autocommiserazione.

– Ma perché, perché Eric! Perché non hai lasciato acceso il cellulare? si chiedeva tormentandosi al pensiero del figlio scomparso.

Cedric non poteva scorgerla ma sentiva che finalmente, e solo in quel momento di straziante silenzio, madame Nerval riusciva ad uscire dalla macchietta insopportabile del suo personaggio per vestire i panni di un essere umano in carne ed ossa. E quel pensiero lo intristì. Trovava ingiusto che per alcune persone solo la sofferenza e il dolore fossero l’unico mezzo per poter raggiungere una dimensione di ragionevole umanità.

Nei pressi di Troyes cominciò ad albeggiare. Ma lo strato di nuvole all’orizzonte doveva essere troppo fitto se dopo mezz’ora la tendina del cielo non osava ancora levarsi del tutto. E la ribalta era tutta per la pioggia che imperterrita continuava a picchiare inondando i campi dell’Aube. Poco prima di giungere all’ agglomerato di Dijon era calato un silenzio nell’abitacolo che nemmeno lo schiocco di dita ritmato di Cedric era riuscito a spezzare. Poi una boccata d’aria fresca dal finestrino insieme al trambusto del traffico all’ingresso della città lo rinvennero.

La strategia investigativa di Cedric prevedeva una prima raccolta di dati attraverso diversi incontri e interrogatori con le persone che per ultime avevano visto Eric. Sempre separatamente in modo che si potessero trovare conferme incrociandone i dati. O nel caso di discordanze importanti, aprire nuove piste per  nuovi approfondimenti. I primi ad essere interrogati furono i due amici di Eric, Brun e Jean, pregati da Dutroux di rimanere ancora un giorno a Dijon. Almeno fino al loro arrivo.

L’incontro avvenne a due passi dal centro, in una taverna di fronte alla cattedrale di Saint-Benigne. Il gestore, un pingue uomo dall’occhio bovino, pareva aver assunto un atteggiamento guardingo dopo aver fiutato in Cedric l’aria, un certo suo modo di fare, da sbirro. L’atmosfera del pub era quella scarica di ogni indomani mattina, con un tappeto di musica soft sullo sfondo, appena percettibile. Dai magazzini e dalle retrovie delle cucine filtrava ad ondate l’acre puzza del fumo di sigaretta, insieme a confuse voci in lingua araba inframmezzate al rumore tintinnante dei fusti di birra alla spina che qualcuno sembrava impilare uno sull’altro. Alla luce del giorno il pub assumeva un aspetto prosaico: tanfo di alcool, fetore di vomito, pungente olezzo di polvere sulla moquette umida. E l’immancabile puzzo  di uova marce e di rigovernatura di stoviglie. Mentre le luci bianche al neon sembravano restituire impietosamente il volto triste del locale. Bisognava non visitare mai questi posti in orari diurni, ecco la verità.

Jean e Brun, dopo un veloce abbraccio a Monsieur Dutroux e Madame Nerval, furono prelevati, quasi sequestrati, da Cedric che aveva nel frattempo allestito nell’angolo cieco del pub, una sorta di banco d’interrogatorio, intimo e lontano da occhi indiscreti. Si vedeva lontano un miglio che i due ragazzi erano ancora sotto shock. Frastornati, si muovevano a scatti, con gli occhi spalancati, incapaci di restare fermi un secondo. Cedric non capiva se per via delle droghe sintetiche che avevano di certo assunto nelle ultime 48 ore, o per lo stress e il nervosismo di quella situazione. Jean sembrava quello più sveglio, ma il suo contributo stentava ad assumere un certo rilievo, dal momento che continuava a ripetere, sottovoce a mo’ di mantra, quasi fosse in trance, che era stata una disgrazia.

– Cosa te lo fa pensare? Hai visto Eric in compagnia di qualcuno di pericoloso?

– Per quello che ne so è stato sempre in compagnia di Yvonne. Cincischò il ragazzo, facendo riferimento alla figlia di un illustre avvocato penalista di Dijon, Gerard Pirenne, famoso in tutta la nazione per avere assurto spesso alle cronache mediatiche, dopo aver preso le difese di diversi personaggi famosi.

– Si erano fatti in maniera pesante? Tagliò subito corto Cedric, mostrando così di conoscere i fondamenti del caso e di non temere alcuna sudditanza psicologica, nei confronti di nessuno.

– Credo che avessero fumato dell’erba, come sempre in queste occasioni. Rispose il giovanotto, rincuorato forse dalla sicurezza del detective.

– A che ora pensi di averli visti l’ultima volta?

– Verso le 2 erano sotto al palco e ho fatto caso a loro perché di solito cerco di tenere Eric sott’occhio.

– In che senso? Si bloccò Cedric, leggermente interdetto.

– Nel senso che ogni volta che si riduce così …diventa il contrario di quello che generalmente è.

– E cioè? Come diventa? Cedric si ritrovò ad arricciare involontariamente le labbra, in atteggiamento interrogativo.

– Quando è su di giri? … diventa un pò intrattabile, violento, attaccabrighe…La frase gli era come rimasta incastrata nelle lamiere dell’apparecchietto dentale.

– E quindi? fammi capire… voi, i suoi amici più cari, sapendo che lui è a rischio quando beve o fuma, lo avete lasciato andare da solo? C’era una leggera ironia nelle parole di Cedric, nella speranza forse che il suo rimprovero, nemmeno troppo velato, potesse sortire il giusto effetto. Jean si contrasse e subito dopo fu scosso da un improvviso tremito mentre i suoi occhietti scuri si riempirono di lacrime. Adesso era pronto a vuotare il sacco, pensò Cedric.

– Io sono stato occupato al Gazebo Informazioni per quasi tutto il tempo… eravamo a due passi dalla pista, vicino al bar, solo così potevo tenerlo d’occhio. Se fosse successo qualcosa di strano saremmo stati pronti ad intervenire. Si giustificò in un attacco compulsivo di pianto. 

Qualunque fosse la ragione, Jean sembrava saperne di più di quanto non facesse finta. La sua emotività poteva essere una spia della sua tenera innocenza. Il suo sguardo fuggiva di fronte al racconto del dettaglio. Il detective spesso perdeva il contatto con i suoi occhi e nonostante i suoi sforzi per ritrovarlo, era come se Jean li avesse nascosti in fondo ad un baratro. Un atteggiamento che negli adulti avrebbe sicuramente delineato un profilo di indizio. Ma Jean era ancora troppo verde. Era quello che si dice il classico nerd: un ragazzetto ancora pieno di brufoli, un po’ cicciottello, pieno di tic e di insicurezze. Con un mostruoso apparecchio per denti. Tutti questi punti avrebbero fornito un alibi all’insicurezza o all’apparente reticenza del suo racconto. Chiunque alla sua età e nei suoi panni, con tre chili di pus sulle guance e una fila di denti buttati a casaccio in quella bocca ferrata sarebbe risultato un po’ ritroso. Chiunque.

Fu poi il turno di Brun, storico compagno d’infanzia e miglior amico di Eric che durante l’interrogatorio di Jean se ne era stato in silenzio a capo chino dall’altra parte del pub. Anche lui sembrava non avere il dono della loquacità. Ma quello che in Jean era almeno sforzo e ricerca di un’espressione, pur nell’incertezza dovuta alla paura di quella situazione, in Brun si traduceva in un algido atteggiamento di chiusura.

-Hai paura? Gli aveva chiesto Cedric a bruciapelo.

-E di che? Aveva risposto lui da sotto il cappuccio della felpa.

Alla fine del colloquio, Cedric non era riuscito a stanarlo dal bunker dentro al quale Brun sembrava seppellire ogni suo pensiero. Continuava a starsene lì, schermato dal suo cappuccio, con quella sua espressione neutra, come se nulla potesse interessarlo o riguardarlo, stupendosi che a qualcuno potesse saltare in mente di rivolgergli la parola. Tuttavia, a ben guardarlo non sembrava passare per il prototipo dell’ escluso, uno sfigato, un underdog, come solevano dire i giovani. Almeno esteticamente. Chiunque gli avesse lanciato uno sguardo si poteva rendere conto che era un bel ragazzo: alto e slanciato, con i lineamenti ben scolpiti, la mascella volitiva e lo sguardo trasognato tipico dei bellocci tenebrosi che amano trincerarsi dietro ad uno studiato silenzio. La classica bella statuina, senza traccia di anima, sospirò Cedric scuotendo impercettibilmente il capo.

Che cosa aveva capito Cedric da questi due colloqui? Aveva capito intanto che tracciare un rave party è quasi impossibile se non si è del giro. Persino su Internet, come gli aveva accennato Jean. Nemmeno su Facebook se ne fa mai menzione. Tutto sembra seppellito dietro una fitta coltre di ovattata reticenza. Ed ecco, la posta che apre tardi, l’affanno per trovare un passaggio per la conferenza, la reunione che viene spostata. Solo per citare alcuni dei sinonimi più inflazionati per indicare il rave-party. E aveva capito anche che chi provava a scucire qualche informazione sarebbe stato ricoperto d’insulti ed additato come flic, cop o sbirro. La fuga di informazioni infatti faceva incazzare molto gli organizzatori, aveva detto Brun, svegliandosi dal suo torpore. Un sistema di omertà quasi degno delle più quotate associazioni mafiose, osò Cedric. Una segretezza confermata anche dalla procedura d’invio delle informazioni: gli adepti sanno il nome della città in cui si svolgerà l’evento solo tramite sms la mattina stessa dell’evento. Poi nel primo pomeriggio, una volta sul posto, ecco il diffondersi di voci sull’ esatta location della riunione. Una precarietà studiata e montata ad arte, probabilmente per confondere le idee e allontanare il rischio di indesiderate retate della polizia. La mattina dell’evento  si ha giusto il tempo di preparare lo zaino, di raccattare la tenda o il sacco a pelo e si parte. Se si è fortunati, si riesce a rimediare un passaggio in auto last minute, o altrimenti si va in treno. 

LA PROSSIMA QUARTA PUNTATA SARA’ ONLINE IL 3 DICEMBRE

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