“Falso Movimento” un romanzo di Gianvito Pipitone – quarta puntata
A mezzogiorno la navicella spaziale di Monsieur Dutroux li imbarcò tutti, compresa Mme Nerval che, da quando aveva ritrovato i due amici di Eric, era scivolata in un silenzio pieno di sconforto. Seguendo le indicazioni di Jean, la comitiva si spinse a sud della città, nella vecchia zona industriale. E dopo quasi una decina di chilometri arrivarono sul posto, un luogo appartato al confine della foresta Combe a Moine. L’ex fabbrica di profilati in metallo era ormai uno spazio vuoto. Spoglio. Per buona parte della sua costruzione senza mura. Con pilastri in cemento calcinacci e lamiere arrugginite sparse ovunque. Due uomini, probabilmente legati all’organizzazione dell’evento, stavano caricando sul furgone gli ultimi sacchi neri di immondizia, mentre un terzo li aspettava alla guida di un furgoncino. Cedric provò ad avvicinarli ma fu respinto da un atteggiamento ostile. Monsieur Dutroux li affrontò invece con fare minaccioso, come Cedric non si sarebbe mai aspettato. Con fare deciso, bloccò con la punta del piede la coda del sacco che il tizio stava trascinando. Costringendolo a buttargli gli occhi addosso. Lì aveva tirato fuori una foto di Eric e gliel’aveva mostrata. Alla vista del bel sorriso di Eric, entrambi scrollarono le spalle facendo cenno di non conoscerlo. Mentre l’uomo rimasto sul furgoncino, innervosito al punto giusto, aveva già messo in moto pompando ad intermittenza nervosamente sull’acceleratore. Per sfuggire all’assedio di Dutroux che continuava a tempestarli di domande, i due si erano attaccati al cellulare, mentre spingevano gli ultimi pesanti sacchi di pattume dentro la bocca del pick-up. Infine chiusero i battenti e se ne partirono.
Cedric si ritrovò a respirare a fondo l’aria di campagna, cercando di schiarirsi le idee. Provò a immaginare come doveva sembrare diverso quell’ambiente con le luci psichedeliche e con il muro di casse che sputavano musica tekno su quella informe massa di giovani e meno giovani. Da ventenne gli era capitato di frequentare un paio di rave. Anche se non ricordava che allora si chiamassero proprio in quel modo. “Forse ancora negli anni Novanta il rave party poteva avere una forte valenza politica”… si ritrovò a adesso a pensare a voce alta. Quasi distrattamente, guardando ora l’uno ora l’altro ragazzo, nel tentativo di estorcere loro qualche altro dettaglio utile. “Ai miei tempi …un rave poteva rappresentare uno dei pochi spazi liberi dove i giovani sperimentavano il modo di attutire le innumerevoli sconfitte: quelle della società, quelle del loro gruppo di appartenenza, quelle infinite personali. Una sorta di oasi che restituiva un barlume di eguaglianza dal sapore quasi utopico. Ma adesso? Ad uno sputo ormai dal 2020, che senso hanno ancora i rave party in questo post post-tutto?”. Si chiese serrando le mani nel caldo delle tasche del suo impermeabile.
Nel frattempo Monsieur Dutroux ritornò nel plotone con l’aria di un cane bastonato. Quante persone ci sarebbero potute essere quel sabato sera, rimuginava a mezza voce fra sé, misurando con lo sguardo l’ampio capannone squarciato. Si rivolse a Jean, con sguardo severo.
– Mi piacerebbe sapere chi è che al giorno d’oggi frequenta i rave party? e nel dirlo girava lo sguardo inquisitore ora su Brun ora su Jean.
– E’ gente come voi? A chi appartiene? A chi appartenete voi? Che ci trovate in un raduno come questo? Si rese conto di essere stato troppo incalzante e forse offensivo nell’eloquio.
Ascoltando il loro silenzio imbarazzato, Cedric ne approfitto’ per confermare a se stesso la sua tesi: che i rave party ormai avessero perso i connotati politici di un tempo e che fossero diventati dei mixer della società, dei contenitori vuoti per un’umanità sempre più alla deriva. E che quindi non doveva suonare strano o fuoriluogo l’assunto secondo cui i rave fossero frequentati da gruppi fra loro completamente diversi: da skinheads, così come da cyberpunker, da punkabbestia e capelloni rockettari fino ai motociclisti incazzati con il mondo. Dal mazzo non avrebbe escluso nemmeno i fighetti di città o le smorfiosette di periferia con le calze a rete e tanta voglia di crescere.
– Che cosa cerca tutta questa gente bombandosi in un rave party? Evasione? Fuga? che cosa ? continuò a gridare Dutroux, ormai quasi sul punto di perdere la testa. I due ragazzi lo guardarono a metà fra imbarazzati e sgomenti. Mentre madame Nerval gli aveva confermato una volta e per tutte, con il suo gelido silenzio, che non sarebbe stata una sua alleata.
– Forse mille, forse più, fu la risposta di Jean, dopo qualche istante di sconcertante silenzio.
– Tutti sotto al palco? ribatté Dutroux che, probabilmente a disagio per aver alzato il tono, provava ora a cambiare accordo.
– No, ognuna con il suo spazio… Nella cultura rave non c’è il mito del palco, non ci sono musicisti ad esibirsi. C’è un DJ che passa comunque in secondo posto. Non è mai il protagonista. Quello che è importante nel rave è la cassa, la vera “religione”. E nel dirlo, sembrò mordersi il labbro, pentito già del suo slancio espressivo.
– E l’altra religione, la droga, ne vogliamo parlare? Fu Cedric a mordersi la lingua, stavolta, rendendosi conto di aver spinto troppo a fondo la sua stoccata. Fallo di frustrazione, ammise a se stesso. E subito provò a riprendersi.
– Non è un mistero che uno dei protagonisti assoluti di questi rave sono le sostanze…
– Si certo. Non dico di no. C’è chi tira di coca…ma non solo. Fu la risposta Jean, provocando lo stupore di tutti i presenti che, adesso sembravano pendere dalle sue labbra. Jean provò a raccontare la sua storia, non senza inciampare nei suoi mille tic. Disse che il suo gruppo aveva avuto affidata la gestione di un gazebo di “pronto soccorso chimico”. Una sorta di supporto informativo e aiuto pratico in questo tipo di eventi.
– Offriamo acqua, crackers, biscotti e mentine.. ma anche preservativi.
-Un kit sopravvivenza, fece Cedric incoraggiandolo a continuare.
-Si, offriamo soprattutto dei volantini informativi, come questo… Aprì la borsa e ne tirò uno porgendoglielo.
-Si tratta di note ben fatte che ti spiegano gli effetti delle varie sostanze: la ketamina, il popper, l’ero, la coca, etc.. I volantini indicano i rischi dell’assunzione, sono dei veri e propri bugiardini.
– Mi sembra un po’ una contraddizione … andare ad un rave in veste di crocerossino? Fece Cedric con le mani sprofondate nel lungo paltò colore cacchetta, ben sapendo di dire un’inesattezza, ma ben calibrando il tono. Era chiaro ormai che non avrebbe lasciato cadere la sua maschera di perbenismo e bacchettoneria che aveva indossato quella mattina davanti ai due interrogati.
– Noi non condanniamo né incoraggiamo, solo aiutiamo chi si fa prendere troppo la mano. Gestiamo una chill out zone, una zona relax, un grande tappeto per riprendersi dai ritmi incessanti del party. Un posto off, dove non è consentito assumere droghe, né fumare.
Silenzio. Da lontano Cedric scorse il flash ad intermittenza dei lampeggianti della polizia. Si accorse che nemmeno per Dutroux la cosa era passata inosservata. I due si scambiarono un impercettibile cenno di intesa: era arrivato il momento di smammare.
– Poi c’è anche una specie di laboratorio take away che analizza la purezza delle droghe sul momento. Così uno sa sempre quello che sta per assumere. A volte arriva qualche ragazzotto alle prime armi… cerchiamo di spaventarlo, dicendogli che quella dose per lui è troppa e che la deve ridurre di almeno tre quarti…
Notevole, riflettè Cedric che prima di allora non riusciva a immaginare minimamente come un rave party, un evento talmente illegale nell’immaginario collettivo, potesse essere organizzato in maniera così minuziosa e ordinata.
Pieno di freschi dettagli, il detective sfumò nella sua testa, come in una dissolvenza incrociata al cinema, la voce di Jean che rimase sullo sfondo. E provò ad immedesimarsi nella scena di quel teatro all’aperto, alle prime luci dell’alba di quel sabato sera. Immaginò un’atmosfera ormai da chill-out con la musica ridotta ad un gradevole sottofondo sordo. Mentre la presenza dei ragazzi andava diradandosi tutto intorno, dal momento che molti ormai avrebbero preferito rintanarsi al caldo delle proprie tendine. Immaginò l’atmosfera rarefatta dei tanti falò che delimitano l’enorme spazio, il piacevole odore di legna bruciata, il tepore della brace viva che covava sotto. Pensò alle parole di Jean, la fuga, l’evasione. Per un attimo si sentì cedevole alla malinconia.
Poi si scrollò di dosso la carogna e tornò al presente. Chi fugge non ha ragione… perché se la fuga diventa il modo abituale di rapportarci ai nostri problemi, quei problemi finiscono per moltiplicarsi o ingigantirsi. Non scompaiono magicamente. Ciò che scompare, o perlomeno si eclissa, è la nostra capacità di crescere, cambiare e guarire. Sì, disse fra sé e sé, affrontare i problemi è il solo modo per superarli.
Tutto giusto, rimuginò fra sè. Proprio come in un libro scritto. E allora perché … perchè non riusciva a condannare Eric e Jean e molti dei frequentatori di rave illegali?
La quinta puntata darà online il prossimo 10 dicembre