È accaduto tempo fa, osservando un uomo dal volto scavato e dalla barba incolta, seduto sugli scalini della chiesa

Giorgio Mantovano

È accaduto tempo fa, osservando un uomo dal volto scavato e dalla barba incolta, seduto sugli scalini della chiesa di Sant’Angelo, nel centro della Lecce vecchia, con accanto una bottiglia mezza vuota ed un dolcissimo  cane a fargli compagnia. 

Ero lì, sedotto dal fascino di quella facciata antica in cui compare la divina mano di Giuseppe Zimbalo (1620-1710), l’architetto a cui  il potente Vescovo di Lecce, il campano Luigi Pappacoda, affidò i principali cantieri ecclesiastici in una città che, in quel magico Seicento,  diveniva sempre più una Ville Église.

Nella consueta quiete di quella piazzetta,  in cui avverti il profumo del tempo andato ed ogni particolare, anche il più banale, prende ad un tratto un rilievo inatteso,  il mio sguardo si è imbattuto casualmente nella sua austera e pur elegante figura.

Con fare fiero ed assorto, ai piedi di quel “1663” di zimbalesca memoria, ben visibile in foto, annotava  velocemente  formule matematiche su un foglio bistrattato, come la camicia consunta. 

Appariva incurante di quanto lo circondasse. Pur non conoscendolo,  era evidente, anche ad un profano, la straordinaria dimistichezza con quelle equazioni complesse. 

Mi è venuto facile  ricordare ciò che un giorno avevo letto su Renato Caccioppoli  uno dei più geniali  matematici italiani della prima metà del Novecento.

Nato a Napoli nel 1904, ricoprì, a soli 27 anni, la cattedra in Analisi algebrica all’Università di Padova. Cattedratico anticonformista, per la sua stravaganza, spesso al limite della follia, fu tra i matematici più famosi e romanzati. 

Raffinato conoscitore della letteratura, del cinema e del teatro e profondamente antifascista, gli accadde  anche di sperimentare la vita dei barboni e fu arrestato per accattonaggio. 

Fini’ anche in manicomio, per aver osato, nel maggio del 1938, in occasione della visita di Adolf Hitler e Benito Mussolini a Napoli, far suonare ” La Marsigliese” all’orchestrina di un ristorante e per avere improvvisato un discorso antifascista, di fronte agli agenti della polizia politica. 

In manicomio accettò con serenità la convivenza con i presunti “matti”, che considerò un’importante esperienza di vita. 

La sua attività di scienziato irriverente fu straordinaria e particolarmente influente sulle future generazioni. 

La tormentata esistenza e la prematura scomparsa, avvenuta per suicidio  l’8 maggio del 1959,  sono state narrate nel bel  film di Mario Martone “Morte di un matematico napoletano”, interpretato magistralmente, nel 1992, da Carlo Cecchi, nel ruolo del Professore, e da un grande Toni Servillo, nei panni del suo pupillo Pietro. 

Il lungometraggio è un affresco della Napoli della fine degli anni cinquanta e Renato è ad un punto morto della folgorante carriera universitaria. Gli accade anche di addormentarsi durante una litigiosa seduta del Senato Accademico. 

È divorziato da Anna, il grande amore della sua vita, con cui divide il ricordo di un doloroso aborto. Ed è vittima oramai di  una subdola e feroce depressione, quando decide di farla finita. 

Quell’uomo sugli scalini, all’ingresso della chiesa, ai piedi del sontuoso portone disegnato nel 1750 dal genio di Emanuele Manieri, somigliava molto, nelle fattezze del volto e nella figura, a Renato Caccioppoli. 

Avrei voluto parlarci, saperne di più, provare a conversare, ma ho lasciato perdere. Non aveva senso distrarlo. 

Sarebbe stato inopportuno, difficile ed imbarazzante, spiegargli il perché. 

Tuttavia, quella singolare coincidenza, sicuramente insignificante e banale, con sullo sfondo la mano divina dello Zimbalo ed un dolcissimo cane, mi ha fatto a lungo compagnia.