Dodici giorni a Natale: Le calende di Santa Lucia, la santa della luce
di Alessandra De Matteis
Le sue spoglie sono custodite all’interno del Santuario di Lucia, o Chiesa dei Santi Geremia e Lucia, a Venezia. Nonostante ciò e sebbene si ritrovino sue reliquie in tutto il mondo, il centro della sua venerazione è collocato nella Chiesa di santa Lucia al Sepolcro di Siracusa, città di cui è patrona.
Ogni cosa nella vita della santa richiama la luce, a partire dall’etimologia del suo nome, lux, ragione per la quale è tradizionalmente invocata come protettrice della vista. Inoltre, quella tra il 12 e il 13 dicembre, secondo le credenze popolari sarebbe la notte più lunga dell’anno: da questo momento in poi comincia la “rivincita” del giorno sulla notte, con le ore di luce, appunto, che iniziano ad allungarsi e il sole che comincia a risalire nella sua altezza.
Un vecchio detto gallipolino recita non a caso: “Te santa Lucia llunghisce la dia quantu l’occhiu te la caddhina mia”, ossia “Da santa Lucia il giorno si allunga tanto quanto l’occhio della mia gallina”, una misura infinitesimale ma già sufficientemente significativa, per chi attende con ansia la fine dell’inverno e le lunghe giornate primaverili.
La festa della santa della luce (anticipazione del Natale, venuta del “sole che sorge dall’alto” come Cristo è definito in Luca, 1,68-79), è particolarmente sentita in Sicilia.
Si narra che nel porto di Palermo il 13 dicembre 1646 fosse approdata una nave carica di grano, il cui arrivo segnò la fine di una grave carestia. I cittadini, per consumare subito il grano, non persero tempo a macinarlo ma lo bollirono e lo mangiarono: è questa l’origine della tradizione siciliana di non consumare in questo giorno cibi a base di farina, ma arancine, panelle e cuccìa (un dolce di grano cotto mescolato con crema di ricotta o latte, zucca candita e gocce di cioccolata, di cui si ritrovano tracce in paesi ortodossi, come la Romania o la Russia, dove uno dei dolci tipici del Natale è la Kut’ja), benché la paternità della ricetta di questo dolce sia rivendicata dalla città di Siracusa, nel cui porto è ambientata una leggenda simile a quella palermitana, datata però 1763.
Le tradizioni legate a santa Lucia travalicano i confini del Sud Italia e anche quelli nazionali: in molti paesi dell’Italia settentrionale il 13 dicembre è, al pari di san Nicola a Bari, un Natale in anticipo, tanto che i bimbi in questo giorno ricevono dei regali.
Le radici di questa usanza si ravvisano nel fatto che prima dell’adozione del calendario gregoriano e nella vigenza di quello giuliano, il solstizio d’inverno cadesse il 13 dicembre: in questa data, nelle comunità rurali, chi aveva avuto raccolti più abbondanti offriva parte di essi a chi, invece, aveva avuto un’annata più sfortunata.
Si racconta che, alcune contadine di Cremona avessero inviato in dono ai cittadini bresciani – che evidentemente avevano avuto una stagione poco felice – dei sacchi di grano su un carro trainato da alcuni asinelli, distribuendoli porta a porta proprio la notte tra il 12 e il 13 dicembre.
Il culto cristiano di Santa Lucia è poi uno dei pochi che resiste nei paesi del Nord Europa, come Danimarca, Finlandia e Norvegia, dove prevale la religione luterana.
Quando i missionari cristiani giunsero in Scandinavia, racconta Carla Barnhill in un articolo sul “Christian History Magazine”, “la storia di una fanciulla che portava luce in mezzo alle tenebre senza dubbio ha avuto un grande significato per le persone che, nel mezzo di un dicembre del Mare del Nord, desideravano il sollievo dato dal calore e dalla luce“.
In Svezia, invece, al mattino del Luciadagen è usanza che la figlia maggiore vesta una tunica bianca con una cintura rossa in vita, impersonificando la santa, e porti la colazione, di solito brioches allo zafferano, ai genitori. Subito dopo esce in strada a donare cibo ai poveri con una corona di sette candele in testa, richiamando la leggenda secondo la quale santa Lucia portava “cibo e aiuti ai cristiani che si nascondevano nelle catacombe di Siracusa” usando una corona di candele per “illuminare la sua strada e lasciare le sue mani libere per portare più cibo possibile“.
Nel 1927 fu indetto per la prima volta il concorso, ancor oggi esistente, attraverso il quale si elegge la “Lucia” più bella: possono parteciparvi bambine, ragazze, ma anche bambini, purché sappiano cantare, in quanto dovranno poi esibirsi in luoghi pubblici e privati. Le foto dei concorrenti vengono pubblicate su giornali e passate in tv, in modo tale che gli spettatori possano votare chi impersonificherà Lucia, mentre gli altri aspiranti le faranno da paggetti.
È sorprendente vedere come il culto, la tradizione, e il nome di questa santa abbiano letteralmente attraversato, da Siracusa alla Svezia, l’intera Europa, arrivando anche negli Stati Uniti e in Canada: il suo significato simbolico, oltre alla sua tenacia nel difendere la fede, hanno sconfinato dal suo luogo di nascita e culto, radicandosi nelle culture apparentemente più lontane dalla nostra.
Non stupisce, quindi, che in una città estremamente cattolica e tradizionalista come Gallipoli, la devozione per questa santa sia particolarmente consolidata.
Eccu già s’ha ‘mbicinatu
chianu chianu lu Natale
ogni notte disciatati
te la vecchia pasturale.
Imu vistu santu Ndrea,
la Matonna Mmaculata,
beddha mia santa Lucia,
iddha puru è già passata (…)
E’ il 1925 quando Agostino Cataldi junior, autore gallipolino, scrive la poesia “Natale Caddhipulinu”, semplici versi in cui elenca le ultime tre feste che nella cittadina jonica, dalla fine di novembre alla metà di dicembre, scandiscono il tempo verso il Natale. Versi che rendono pienamente il senso di attesa, che poi è quello dell’Avvento, ma in questo caso percepito sia dal punto di vista popolare, presente nel riferimento alla Pastorale Gallipolina, che religioso.
Quella di Santa Lucia è l’ultima delle feste considerate prodromiche alla solennità del 25 dicembre; si può forse intravedere un senso di familiarità e affetto nei confronti di questa giovane martire nelle parole del poeta che la definisce “beddha mia”, appellativo che ancor oggi si usa dare, in città, a persone verso le quali si nutrono amore e tenerezza.
E prova che sia una delle sante più amate è data, oltre che dalla grande diffusione del suo nome, dal fatto di essere una delle poche che viene celebrata sia nella città nuova che nel centro storico, benché per ovvie ragioni è qui che è nata e si è sviluppata la tradizione più antica.
A curare le celebrazioni nella città vecchia è, da tempo immemorabile, la Confraternita della Beata Vergine del Monte Carmelo e della Misericordia, con un triduo di preghiere che comincia il 9 dicembre e si conclude l’11, culminando poi nella processione del pomeriggio del 12 e negli uffici religiosi propri del giorno della festa.
Racconta Antonio De Donno nel suo libro “Raccolta di Natale. Origini – simboli – usanze dai pagani ai cristiani e nella tradizione gallipolina” di aver reperito, durante le sue ricerche d’archivio per la realizzazione del volume, tracce di una processione che si teneva in notturna.
Tali tracce si perdono dopo il 1956, ma nei verbali della Confraternita del dicembre 1952 si legge che essa percorresse “tutte le strade della città” prima di uscire “al Borgo”.
E riporta come anche lo storico Ettore Vernole, in un articolo pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 13 dicembre 1951 e intitolato “Tornano a Gallipoli i suggestivi riti natalizi”, raccontasse di questa processione, scrivendo che “nella notte del 13, due ore dopo la mezzanotte, la confraternita che l’ha per Protettrice inizia la processione con coppia di confratelli di bianco vestiti e con le torce accese, con la statua di Santa Lucia circondata di lumi elettrici, con i sacerdoti recanti Reliquie della Santa, con una folta orchestra d’archi e bassi per la pastorale con coro femminile, con una coda di popolo”.
Non è assolutamente di poco conto il reperimento di questo atto negli archivi del sodalizio della Beata Vergine del Monte Carmelo e della Misericordia, in quanto conferma documentalmente quanto sostenuto dal Maestro Luigi Solidoro nel suo “La Pastorale gallipolina, saggio breve con pubblicazione di una inedita partitura per due Mandolini, Mandola e Chitarra”, del dicembre 2019: in tale scritto, l’autore ha abbinato la musica della Pastorale al testo in vernacolo da lui ritrovato, secondo le testimonianze di persone anziane che ancora ne avevano memoria, affermando per primo che parte della nenia – in particolare, quella in tonalità “minore” – fosse in passato accompagnata da un canto.
Come detto, si perdono le tracce della processione di notte a partire dal 1956, ma questa tradizione è stata ripresa dalla parrocchia di S. Lazzaro che, per molti anni, ne organizzava una che partiva alle 4.30, prima dell’alba, dalla chiesa collocata nella città nuova. Poiché in questa chiesa non ha sede alcuna confraternita, ad accompagnare la statua della santa si sono alternati negli anni dapprima il sodalizio del Ss.mo Crocifisso, e successivamente quello del Ss.mo Sacramento, l’unico che non sia costituito nel centro storico. Si trattava di una processione particolarmente suggestiva, in quanto il silenzio della notte amplificava le note della pastorale, che per questa ragione si sentiva nelle strade anche a grande distanza.
Purtroppo, oggi la processione non ha più luogo, per decreto vescovile, ma la pastorale viene ancora eseguita da alcuni musicanti di buona volontà.
Emozionante e particolarmente sentita anche la celebrazione eucaristica che si tiene alle 6.30, quando la pastorale fa ritorno in chiesa.
Nell’articolo di Ettore Vernole riportato da Antonio De Donno si fa poi cenno ad un’altra tradizione, ossia la fiera di “pupi” in argilla raffiguranti i personaggi del presepe che si teneva nella città vecchia dal giorno dell’Immacolata a quello, appunto, di Santa Lucia. Le statuette venivano esposte in “cento bancarelle e chioschetti e vetrine”, e particolarmente apprezzate erano quelle di Giuseppe Bianco, detto Peppe Seccia, un vecchio portuale gallipolino che le modellava secondo i costumi e i mestieri della tradizione della città: scriveva il sacerdote Don Sebastiano Verona, in “Gallipoli Tradizioni Consuetudini Credenze Folklore”, come anche la Sacra Famiglia venisse rappresentata con gli abiti propri degli usi locali.
L’idea della fiera è stata ripresa nel mercatino che si tiene annualmente nella stessa parrocchia che, nel “Borgo”, organizza la processione notturna, e dove è possibile acquistare dolci tipici del periodo e piccoli manufatti.
Con santa Lucia, in un certo senso, si chiude un ciclo, ma se ne sta per aprire un altro: quello della novena di Natale.
Dopo l’attesa nel tempo scandito dal susseguirsi delle tappe e delle ricorrenze al sapore di baccalà al forno con patate, rape stufate con olive nere e pittule, il momento della nascita del Salvatore è ormai imminente.
E a questo incontro ci accompagnerà l’immancabile e irrinunciabile pastorale, colonna sonora di questo periodo sentito e vissuto con particolare trasporto da tutti i gallipolini, il cui cuore e il cui animo sono, proprio da questa ninna nanna, cullati e scaldati: come scriveva Walfredo De Matteis nella poesia a questa nenia dedicata … “ste notti de dicembre, ciujeddhi sente friddu!”.