“Dieci liriche dell’io fanciullo mediterraneo” di Vincenzo Fiaschitello
Prima parte
Nel suo duro mallo del nome
E inutilmente in antica conoscenza
mi accorgo della dolorosa voragine.
Astri, pianeti, celesti corpi non toccati
ancora dal piede umano, da tempo
vi abita e vi accompagna nell’infinito
spazio in perpetuo peregrinare
l’essenza umana.
Scende la vita a ognuno come goccia
che lentamente, incerta, si stacca
dalla volta rugosa della roccia
e precipita al suolo per fabbricare
la sua storia, goccia sopra goccia,
goccia entro altra goccia.
Ora si allontana, va e viene, fugge,
si nasconde : a lungo la inseguo invano,
la sua anima vedo, quasi la palpo,
ma è solo illusione, rifugiata com’è
nel suo duro mallo del nome.
Il mio io fanciullo
Il vento d’autunno increspa
i desideri della presente tarda età.
Oh mia memoria delle radici
che annotti giorno dopo giorno!
Troppa luce stasera effonde
la luna sulla nera distesa
della campagna, che come tela
invecchiata dall’uso
ha cucito chiare alterne toppe,
varianti d’ora in ora.
Si schiara anche la solitudine
della mia anima.
Senza pena lui, il mio io fanciullo,
con le ombre del passato
intende ancora fare il bullo.
Ti vedo ancora fanciullo sorridente
Ti vedo ancora fanciullo sorridente
sognare l’orizzonte marino
dalla finestra della tua stanza.
Quell’età dell’oro privata di cavalli
e di motori aveva gambe
robuste e inquiete che per ore
mordevano polvere e rena
lungo sentieri solitari,
mentre uno stuolo stridente di rondini
tagliava l’aria vorticosamente.
Quest’anno i cieli sono orfani,
neppure una si è posata sotto il tetto
a San Benedetto e nella calura
estiva dei tramonti.
Ma forse orfani dei cieli sono
le rare rondini che si arenano
nell’aria ramata di fine estate.
Pendule verdi fronde
Pendule verdi fronde
dai dorici frontoni dei templi
recideva l’inquieto operaio,
in vacillante equilibrio,
sull’alta e corrosa scala
silenziosamente mormorante.
Come inghiottito nel nulla
spariva quel verde lasciando
stampata un’ombra sulla pietra
millenaria. Sparsi qua e là,
ai piedi del tempio, restavano
flagellati panciuti capperi
che noi fanciulli facevamo
a gara per raccogliere come
i bossoli schiacciati rilasciati
dalle carabine nei giorni
del tiro a piattello.
Si imparava a conoscere la vita
nei suoi limiti, pur nella sterminata
speranza di orizzonti migliori.
Luglio 1943
Capraro della mia terra
con il tuo silente bastone
indicasti la via più agevole
per le truppe…d’invasione o di libertà?
Di libertà, dirà la storia. E sia!
Ma chi potrà dimenticare la fame,
gli stupri e le altre pene?
Non c’era pane per tutti
in quella casa dove d’un cipresso
al vento svettava la cima
e si fletteva tra i rossi coppi
del tetto e la sua sima.
Nulla fermava le selvagge marocchinate
e le malevoli schiere di Patton e Montgomery.
Fanciullo non sapevo ancora
quale sapore di amaro sale l’anima
assale di chi lotta per la libertà
se vede che colui che arreca aiuto
è un falso amico.
“Dieci liriche dell’io fanciullo mediterraneo”
di Vincenzo Fiaschitello
Seconda Parte
Nella rete della vita
Gettati su un fazzoletto di identità futura,
nasciamo attraversando
il valico del distacco d’altro corpo.
Mia anima, come uccello
caduto nella rete della vita
tra alterni balzi, hai trovato
infine una maglia segretamente
aperta dalla morte.
Lieta ti inoltri indifferente
a suoni o richiami rari che al più
possono ancora ridurre il cuore
a tenerezze d’altri tempi.
Innanzi a te si apre il prato di certezze.
Quest’oggi al municipio del piccolo
paese sul foglio del geometra
si scelse la zolla di terra
dove poserà questo volto anonimo,
giustamente dal mondo obliato.
Una traccia di malinconia
Più che gioia per la vittoria
di pallone, una traccia di malinconia
lungo la via del ritorno
non ti lasciava il cuore.
Faceva grigio il bagliore del giorno
e persino la pergola del gelsomino,
che col suo tronco contorto e rugoso
carico di bianche stelle profumate
alto saliva sul tetto oltre la cimasa,
ti abbandonava a pensieri tristi.
Impercettibilmente avanzava
il crepuscolo, moscerini a sciami
si attorniavano attorno alla lampada
della stanza chiamando a danza
l’effimera vita di un solo giorno
o poco più.
Schiere di fanciulli in corsa
Con un nome sempre più
scialbo, fisso nella memoria,
tornavo tra quei cunicoli
di vicoli. Ombre erano
schiere di fanciulli in corsa.
C’ero anch’io tra quelli
con le scarpe appese al collo
e i piedi scalzi, doloranti,
ma come gli altri scoppiavo
d’ardore e senza pianti.
L’anno snocciola
L’anno snocciola
giorni settimane mesi
senza nulla aggiungere
a quel muro calcinoso
di una vita già vissuta.
Ma forse no!
Ancora si adorna quel muro
di cocci vitrei testimoniando
come il male non abbia confini.
Pure lo sguardo corre
a una minuscola fronda che sporge
e scocca già il suo colore di rosa
a ricoprire il temibile percorso.
Un lacrimoso salice
Lincino, avevi quel nome
che come essenza umana
ancora oggi corrobora il cuore
nell’ora dei silenzi e dei ricordi.
Sui solchi tracciati da mille ruote
slittava il carro tirato dal bigio
asinello sotto la guida
della tremante mano del vecchio.
Arse oasi di fichidindia, di ulivi
e mandorli rivestivano la campagna
nell’aria modulata dalla brezza marina.
Un lacrimoso salice restava
a guardia della casa.
Innumerevoli volti, mutamenti,
trasparenze, dal vento cancellati,
sospinti come nubi a evaporare
in cieli lontani.