IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Desiderio umano e intersoggettività

Mutamento

 di Vincenzo Fiaschitello

Il pensiero di Nietzsche costituisce una vera e propria dichiarazione di guerra contro l’etica. Mai in passato si era visto un attacco così distruttivo, così radicale, nei confronti di un sistema di idee, di regole di condotta, di norme relazionali della vita dell’uomo, da sempre condivise da una comunità, sin dalla nascita del pensiero filosofico e anche prima.

E’ noto che Nietzsche attribuisce la colpa dell’origine di un’etica, oltre che alla naturale paura dei deboli di essere sopraffatti dai più forti, anche e soprattutto a quella visione del mondo diffusa dal pensiero di Socrate, di Platone, di Aristotele, che conferiscono il primato al Bene, alla ricerca della Verità, intesa come saggezza.

Callicle nel Gorgia è il personaggio creato da Platone che più appassiona Nietzsche con la sua tesi nettamente orientata al disprezzo per gli uomini deboli destinati a servire, a soccombere dinanzi alla forza e alla volontà di potenza dei pochi, ai quali tocca il piacere della superiorità, senza porsi alcun vincolo e rispetto per il dolore e la sofferenza altrui.

Dopo che Socrate, dibattendo con Polo, ha concluso che fare ingiustizia è più dannoso che subirla e che l’ingiustizia non solo è una malattia dell’anima ma è anche il male peggiore per l’uomo, interviene bruscamente Callicle, il quale rimprovera il filosofo che sostiene una tesi così assurda e precisa che le leggi sono fatte dai deboli, contro i diritti dei pochi più forti per natura: “Sostengo che vivere felicemente significa avere ogni sorta di desideri e la possibilità di soddisfarli in piena gioia!” (XLVIII – 494).

Socrate obietta che la vita felice, come Callicle sostiene, è simile al lavoro di colui che intende riempire d’acqua un vaso bucato. Poi riassume la sua tesi col dire che il bene è altro dal piacere e che la giustizia e la temperanza procurano ordine e salute all’anima.

Nietzsche fa sua la tesi di Callicle e traccia la via per la costruzione della sua idea di superuomo, per l’elevazione della razza umana attraverso la rinuncia consapevole dei cosiddetti diritti, quali: la parità, l’uguaglianza, la fraternità, la solidarietà. Questi ultimi sono da considerare, egli dice, “ritornelli dottrinali”, inventati dai deboli, dalla massa imbelle e democratica che reclama il rispetto del bene e della giustizia.

Raggiungere la felicità attraverso il soddisfacimento del desiderio è stato da sempre una convinzione e un obiettivo dell’uomo. Tuttavia è bene tener presente che non tutte le correnti di pensiero hanno ritenuto di valutare il desiderio come una forza positiva sul piano etico e spirituale. Vista la natura profondamente ambigua del desiderio non sono mancati coloro che come gli stoici propugnavano che la via migliore per l’uomo fosse quella della indifferenza, della apatia e quindi della completa estinzione di ogni passione e di qualsiasi desiderio.

Una visione simile era quella degli epicurei che sostenevano la necessità della atarassia , cioè della imperturbabilità e consideravano pertanto tutti i desideri come passioni da respingere come una malattia, perché non offrivano la tranquillità interiore.

Questa teoria della necessità di estirpare il desiderio evidentemente sorse e si consolidò in opposizione a tutti coloro che amavano vivere senza regole e assecondare esclusivamente i propri desideri secondo le varie circostanze della vita. E’ quel che accade anche nel nostro tempo quando si proclama che non c’è nulla di più importante che se stessi e che occorre incrementare i desideri che ci garantiscono una piena libertà e l’aumento della volontà di potenza di esistere.

Tra le due posizioni opposte dell’annullamento da un lato e dell’incremento del desiderio dall’altro, vi è una terza via che è quella percorsa da Platone e da tutti coloro che hanno visto nel desiderio umano qualcosa di insostituibile, l’essenza stessa della esistenza, senza la quale la vita si spegnerebbe inesorabilmente. Per tutti costoro che non propongono l’apatia c’è senza dubbio la consapevolezza che il desiderio-passione, pur non arrecando sempre piacere e soddisfazione, (a volte ci costringe ad assaporare anche sofferenze e dolori costitutivi della vita stessa), è tuttavia quella fiamma che ci tiene in vita, soprattutto se riusciamo a tenerla ben custodita, alla giusta distanza da quei vortici e venti di desideri che l’etica addita come non degni e non convenienti per la nostra persona.

Tutto ciò premesso, ritengo che il tema dell’etica possa trovare una efficace modalità organizzativa attorno al concetto del desiderio umano.

E’ importante quindi specificare anzitutto che altro è il desiderio, altro è il bisogno:

quest’ultimo si riferisce alla sfera istintuale, alla mancanza di qualcosa di più marcato come il cibo, il sonno, la sessualità, ecc., mentre il primo è più legato alle emozioni, al sentimento, alla tendenza di far proprie tutte quelle cose assenti che ci sembrano utili e convenienti per la nostra sicurezza, serenità, felicità.

Ecco, il punto fondamentale dell’etica, tenendo conto dei criteri da essa sostenuti, sta proprio in questo: quando diamo la nostra risposta fenomenologica a ciò che desideriamo, occorre verificare se è effettivamente a noi conveniente o meno, se ci aiuta a renderci più “ordinati” interiormente o meno.

Approfondendo la riflessione sul desiderio umano, scopriamo che solo apparentemente troviamo una relazione necessaria tra il desiderio e l’oggetto desiderato, dal momento che il legame instaurato è “provvisorio” in quanto temporale: una volta soddisfatto, raggiunto il desiderato, ecco che una nuova relazione con altro oggetto impegna la nostra psiche. E l’appagamento tanto agognato è continuamente rinviato e mai perseguito.

E’ molto più interessante concentrare invece la nostra attenzione in questo difficile e permanente processo, su quanto accade sul piano dei rapporti interpersonali e vedere se mediante l’etica, coinvolta direttamente, sia possibile intravedere una qualche finalità trascendentale.

Finchè l’oggetto del desiderio riguarda un “contenuto” empirico, materiale, cose inanimate, che in qualche modo possiamo ritenere “incorporabili” (non solo cibo, ma una collana, un orologio, ecc.) o esperienze come un viaggio, un concerto, il raggiungimento di un obiettivo sul piano del lavoro, ecc. , il soddisfacimento può non incontrare motivi gravi che chiamino in causa l’etica, a meno che tale soddisfacimento non comporti palesemente un male, una ingiustizia, un danneggiamento nei confronti di qualcuno.

Allorché invece oggetto del desiderio è l’altro, simile al desiderante, realtà spirituale che possiede le sue stesse caratteristiche di persona libera e responsabile, come accade per esempio nell’esperienza dell’amore o comunque in tutte quelle situazioni in cui sono coinvolti soggetti, essere umani, scatta il primato dell’etica come insegna tutta la tradizione sapienziale del pensiero occidentale, ma anche la “regola d’oro” di non fare agli altri quello che tu vuoi che gli altri non facciano a te, presente nella spiritualità orientale in ogni tempo. In tale prospettiva è utile ricordare l’imperativo categorico di Kant: “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre come fine e mai semplicemente come mezzo” (Critica della ragion pratica).

Nella esperienza della intersoggettività, relativamente al fenomeno del desiderio, si possono verificare situazioni di questo tipo:

-il desiderante riconosce la soggettività dell’altro desiderato e viene ricambiato;

-il desiderante non riconosce la soggettività dell’altro e intende comunque “catturarlo” nonostante il rifiuto, ricorrendo anche alla violenza;

-Il desiderato, sebbene non riconosciuto nella sua realtà spirituale, tuttavia non si oppone e sceglie la relazione di dominio.

Da un attento esame di tali posizioni, sia pure incomplete per la loro naturale complessità, si evince il fatto che quando l’oggetto del desiderio riguarda la relazione umana e non un semplice oggetto fenomenico, l’impossibilità di raggiungere un appagamento acquista un significato del tutto particolare con conseguenze aperte verso prospettive trascendentali. La soggettività è sempre ambigua anche nel caso in cui si realizza un’intesa nel riconoscimento reciproco. Tra desiderante e desiderato persiste una “distanza”, un “vuoto”, una “terra di nessuno” dove l’uno o l’altro o entrambi si trovano a vagare con apprensione e inquietudine per la ricerca di un appagamento totale al di là del determinato, del semplice oggetto, del finito.

Tuttavia tale ipotetico processo, a mio parere, non si esaurisce in una prospettiva che lascia in uno stato che potremmo definire di mancato approdo, di incertezza teoretica, perché ciascuno dei due soggetti può trovare il fondamento nella propria coscienza. Se io come soggettività sono coscienza, se il mio desiderio è sempre “coscienza di qualcosa” a cui tendo, è più che probabile che questa mia apertura al mondo e alla relazione con altre soggettività, diventi consapevolezza non solo del determinato, ma anche di qualcosa di intero, di indeterminato, di totalità, di infinito, che è presente nella mia interiorità e che “sento” come più importante del mio ego, al di sopra di me stesso.

Da simile prospettiva si può intuire che se da un lato il processo esclude tout court il soddisfacimento del desiderio verso un oggetto fenomenico, dall’altro lato tale soddisfacimento nell’ambito dell’esperienza della intersoggettività, anche se arricchita dal riconoscimento reciproco, non raggiunge la meta completamente, ma solo parzialmente. Ma è proprio tale incompletezza, non scacco, che il soggetto attraverso la coscienza avverte la possibilità di una ulteriore energia per instaurare quella speciale relazione con l’Altro, che sola può garantire il soddisfacimento del desiderio umano e far raggiungere la felicità. E’ chiaro che su quest’ultimo passo si apre quel problema che la filosofia ha sempre lasciato aperto e che la religione ha fatto suo e risolto con il ricorso alla fede. Basti per tutti ricordare quel che scrive Kant nella Critica della ragion pura: “Ogni interesse della mia ragione si concentra nelle tre domande seguenti: Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa ho diritto di sperare?”

Per l’ultimo interrogativo, a differenza degli altri due, non c’è spazio per la ragione, ma solo per la speranza!

Bibliografia

B. Spinoza, Etica, Milano, Mondadori, 2008

F. Nietzsche, Genealogia della morale, Milano, Adelphi, 1984

R. Girard, Il risentimento. Lo scacco del desiderio nell’uomo contemporaneo,       Milano, Raffaello Cortina, 1999

J. Lacan, Scritti, Torino, Einaudi, 2002

E. Severino, Educare al pensiero, Brescia, Morcelliana, 2022

C. Vigna, Etica del desiderio come etica del riconoscimento, Napoli, Orthotes, 2015 2 voll.

V. Mancuso, Etica per giorni difficili, Milano, Garzanti, 2022

C. Ciancio, Metafisica del desiderio, Milano, Vita e Pensiero, 2003

S. Petrosino, Non siamo figli delle stelle, Milano, Vita e Pensiero, 2019


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