“Darfur” è una poesia di Francesco Abate contenuta nella raccolta Inferno
In questa poesia parlo del genocidio del Darfur, iniziato nel 2003 e ancora ben lontano da una vera conclusione. Il Darfur è una regione del Sudan nella quale, venti anni fa, le popolazioni non-arabe insorsero contro il Governo, il quale non esitò a colpire indiscriminatamente civili e militari pur di venirne a capo. Da allora sono stati centinaia di migliaia i morti, numerosi villaggi sono stati rasi al suolo e non si contano i casi di abusi sessuali.
Trattandosi di una guerra civile, cioè di uno scontro armato tra gente dello stesso paese, ho immaginato lo smarrimento e il dolore del sudanese “fratello” di entrambi i gruppi in guerra, che viene da tutti e due umiliato e ferito. In questo interminabile genocidio infatti, come sempre accade in tutte le guerre, in mezzo ai due schieramenti c’è tanta gente che si dibatte in un mare di sofferenze nel disperato tentativo di sopravvivere.
Il civile che ho immaginato nella poesia non è però neutrale, viene prima sedotto dalle promesse di libertà dei ribelli (“Viene il brigante e mi chiama amico, / mi darà la libertà, la prosperità…“), poi dalla promessa di vendetta dell’esercito regolare (“Viene il soldato e mi chiama amico, / mi darà la vendetta, l’orgoglio…“). Entrambe queste promesse si riveleranno però false, e per il povero sudanese in entrambi i casi ci saranno solo violenze e umiliazioni, così da lasciarlo intrappolato nella paura:
Resto da solo, io non ho un amico;
ho paura di volere, paura di non volere,
la mia saliva sa di fucile, la pelle di pistola,
mia moglie è un tempio straziato, in macerie,
i miei figli sono anime senza tomba, senza pace.
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