Dal Poemetto: “Memorie di Sicilia” Lirichedi Vincenzo Fiaschitello – Parte settima
E’ bella la mia terra
E’ bella la mia terra
visitata fuori stagione,
stecchita nelle sue grigie
zolle lavorate dal gelo,
terribile nel suo mare,
scossa da un moto ondoso
dall’odore d’oriente,
che sfibra l’impossibile
desiderio del desiderio
di felicità. Illusione, mito
senza consistenza né limite,
inghiottito dal gorgo e già
annegato. Resta questa breve
gioia mista a dolore, legata
all’istante che ti invita
a ricucire gli strappi della rete
del senso della vita
L’incontro
Dismemore d’altri luoghi, tra adolescenza
e giovinezza, galleggiavano i miei passi.
Il sole scacciava le nubi della notte
e zittiva i venti che dall’oscurità
cerchiavano la città.
Laggiù imparai l’arte della vita
quando sorridere, quando soffrire;
il tuo ricordo, una incrinatura
che attraversa il vetro della mia
non cristallina vita. Come due fiori
le nostre anime si toccavano,
sospinte dal vento dell’amore,
ma ciascuno legato alla sua radice
nella terra non poteva oltrepassare
il confine, penetrare la porta
dell’unità e annientarsi in un uguale
desiderio d’infinito.
L’ultima barca dei pescatori
L’ultima barca dei pescatori
rigava la massa piatta e livida
del mare sotto il mattutino sole
d’ottobre. Sul molo una moltitudine
faceva ressa per accaparrarsi il meglio
del pescato, scelto tra dorate triglie
dagli occhi sbarrati e stupiti
per la fresca morte, cefali corazzieri
e dentici imbronciati agonizzanti.
Tra grida e canti un crocchio
di vive anime sceglieva, pesava
e incartava tenere carni, schiume
di colori, odori d’acqua marina.
Dai vicini giardini di aranci e limoni
s’alzavano effluvi che il vento recava
oltre il fronte del tempo e ancora oggi
mi solleticano le narici per dirmi che gli anni
si sono consumati come giorni e ore,
brevi sospiri, tra dubbi e vanità.
Il faro di Capo Passero
La morte è come il vento
quando soffia non puoi fermarla
con la mano, non puoi sperare sconto
di tempo. Scende in fretta dal veliero
che ha approdato al porto della tua vita
e ti viene incontro affrettando
il passo. Non è acqua il dolore
né si snerva la pena di quel
che lo spettacolo del mondo rotola
sotto il tuo occhio incredulo.
La luce unta di sogni e di malfermi
pensieri indugiava inquietamente
calma di grigiore incerto.
Saettavano le rondini sfiorando
pericolosamente agavi spinose
su arida terra che da tempo
immemorabile nessuno arava.
Tra le rocce la torre del faro
di Capo Passero, insidiata
dai fichidindia, guardava le acque
dei due mari; dietro a sé
in lontananza un castello senza
tempo, né gente, coglieva
il rauco suono dei gabbiani.
Sei fuggito troppo presto
Un paese irriconoscibile, irriverente
alla memoria così strettamente serbata
immutata dal lontano tempo in cui lo vivesti.
A risvegliare le spoglie lasciate là dopo
una più che lunga assenza, mi si affiancò
sul corso un volto che pareva sorridermi.
“E’ mia la colpa, non tua, se non mi riconosci.
Come vedi l’età, il male mi hanno tanto cambiato
d’aspetto che non puoi ravvisare il ragazzo
che colpì la tua testa anziché il pallone”.
Quello bastò per ricordarmi le stelle in pieno
giorno e la lunga scia di sangue che sgorgava
rosso tra i capelli e la maglietta.
Una teoria di fatti, neppure tanto crudeli
ma vili forse sì, cominciò a crescere
sempre più intensamente fino a farci dire
della impossibilità di restare e del bisogno
irrinunciabile di fuggire luoghi consunti,
come le pietre sacre del barocco sgretolate
dal vento di scirocco.
Eppure un cielo di stelle specchiava il nostro
mare, fioriva l’odorosa zagara e gli ulivi
saraceni coprivano di verde le colline.
“Sei fuggito troppo presto, non hai potuto
gustare la festa che sognavamo per i nostri
principeschi palazzi, le splendide chiese
e i silenziosi monasteri. Giungono da ogni parte
del mondo stranieri estasiati ammiratori dell’arte”.
“E’ vero, ma ora lo straniero sono io”.
E vedendo il mio smarrimento, mi accompagna
per luoghi dell’adolescenza a noi ben noti.
Ovunque trattorie, pub, rifugi per il divertimento
di gente notturna, dove un tempo lavoravano
operosi artigiani. Con uno sguardo ammirato
e compiacente aggiunge:” Sai, si è dovuto fare
pulizia di certi inutili residui!”
“Vuoi dire reperti archeologici, correggo io”,
vedendo l’urna funeraria di Santa Chiara vuota
e mutata in ripiano per pregiate bottiglie di spumante.
“Ma di che ti meravigli? Anche allora, per opposto
sentire, non mancavano soprusi. Ricorderai
che, entro questo ampio cortile del monastero
delle clarisse, si aprì il primo e unico cinema
all’aperto, tempestivamente chiuso quando
qualcuno della curia diocesana giudicò
offensivo proiettare le belle gambe
di Marisa Allasio sulla parete, al di là
della quale si ergeva l’altare dell’Addolorata”.
* * *
Vincenzo Fiaschitello
Nato a Scicli il 18/10/1940. Laurea in Materie Letterarie presso l’Università di Roma (1966) e Abilitazione all’insegnamento di Filosofia e Storia (Esami di Stato D.M.10/8/1966). Docente di ruolo di Filosofia e Storia nei licei statali (Vincitore Concorso nazionale a 119 cattedre, indetto con D.M. 30/6/1969) e Incaricato alle esercitazioni presso la cattedra di Storia della Scuola –Facoltà di Magistero Università di Roma dall’anno accademico 1965/66 al 1973/74. Direttore didattico dal 1974 (Vincitore Concorso nazionale D.M. 25/9/1970), preside e dirigente scolastico fino al 2006. Docente nei Corsi Biennali post-universitari. Membro di commissioni in concorsi indetti dal Ministero della P.I. Autore di vari saggi sulla scuola, di opere di narrativa e di poesia.
Onorificenza su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri: Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana (Decreto Pres. Rep. 2/6/1997).