IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Dal Poemetto “Memorie di Sicilia”. Liriche di Vincenzo Fiaschitello, parte terza

Sicilia

L’ombra di un ricordo

I vicoli e i ronchi senza uscita

che ti videro fanciullo non sanno

che l’ombra di un ricordo

s’aggira ancora là dove la sera

d’estate i vecchi narravano

la loro gioventù, finché l’esiguo

rettangolo di cielo mostrava

le stesse stelle e giungeva la pallida

luce della luna ad accendere

un poco i loro volti rugosi.

Accovacciati dinanzi alle soglie

delle case le bambine vestivano

le bambole, i fanciulli audaci

scantonavano sfidando il buio

e la paura. Alle finestre le ragazze

sognavano l’amore.

A mio padre

Tornavi esausto dal tuo lavoro,

custode di ladri e di assassini

nel carcere monastero, dove

vigilando era doveroso e umano

redimere gente che in momenti

di follia aveva tradito il loro

libero arbitrio.

Tornavi con una chiusa angoscia

che leggevamo nei tuoi occhi

e nelle strette parole che talora

sfuggivano dalla tua bocca

per narrarci di pene, di cancelli

aperti e chiusi da enormi chiavi

consumate da nodose mani.

Tornavi dopo notti insonni

a custodire col moschetto in spalla

le mura di cinta da dove a sera

un tempo s’alzavano verso il cielo

le preghiere dei Vespri e di Compieta.

Tornavi come un uccello dalle piume

logorate dopo un lungo viaggio

migrante segnato di paura e di venti

ostili d’indicibile solitudine.

Tornavi dall’Ade per dare un pane

alle nostre bocche.

Corrono i miei pensieri

Corrono i miei pensieri

sul notturno tappeto blu

del cielo, bucato dal tremito

delle stelle. Appaiono scompaiono

riappaiono nel gioco interminabile

dell’eternità. Vibrano nell’infinito

silenzio, incendiano passioni,

respirano la luce d’ogni forma

di ansia che genera il cuore,

cuciono ferite aperte, sanguinanti.

Tutte cose nell’apparente

mutamento da sempre, dove

il sempre non ha nemmeno

l’odore del tempo.

Aspettando l’ora che verrà

Aspettando l’ora che verrà

mescoli gioia e dolore,

le essenze della vita quasi

consumata. Ti resta di unirti

all’altra riva che sempre più

vicina si fa. E là, altro da te

sarai, non più essere ma nulla,

ombra d’ombra e dunque

qualcosa in cerca d’altre ombre,

inquiete, cariche d’affanno,

sempre in movimento.

Come fiamme? Oh, no!

Come vedove di nero vestite

che sanno quel che hanno perduto

e girano il capo di qua e di là

senza mai fermarsi, immerse

in desolata ansia irreparabile.

Fanciulla del mio tempo

L’ombra che il mio sguardo perfora

senza trafiggerla, vive nel suo nulla,

resistente oltre ogni trasparenza

e tuttavia fragile romitamente

sperduta nella profondità remota

di un tempo vorace di fervida esistenza.

Dalla traforata roccia di una bifora

finestra mostravi il tuo viso d’oliva

e cantavi con soave voce, fanciulla

del mio tempo, la canzone che aveva

parole d’indicibile dolcezza diffuse

nell’aria quieta della sera, come

profumo d’arabo gelsomino. Esiguo

il tempo che alle spalle ti dormiva,

ma non sapevi quanto ancor più

stretto ti stava in petto quello

che ti correva innanzi. Ambigua

notte s’addensa e schianta la luce

di memoria dei luoghi, che videro

spezzare chiuse barriere per sfuggire

a spazi ristretti e impenetrabili

ai sogni e all’amore.

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