Dagli Ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) alle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza(REMS) di Claudia Trani**
E’ doverosa, innanzitutto, una panoramica storica su ciò che è stato il manicomio giudiziario in Italia e sulle tante discussioni e opinioni diverse che queste istituzioni hanno comportato sia a livello politico ma soprattutto in ambito sociale, psicologico e psichiatrico.
L’ospedale psichiatrico giudiziario trova la sua radice già nell’800, noto come Manicomi Criminali, con la prima struttura aperta nel 1876 ad Aversa. Si trattava di un convento di Frati Cappuccini del ‘500, adibito in seguito a casa penale dove, con un atto amministrativo del direttore generale delle carceri del Regno d’Italia, si istituiva, in una prima fase sperimentale, una sezione per maniaci.
Nel 1891 viene chiusa la fase sperimentale introducendo nell’allora sistema carcerario il manicomio giudiziario, di cui l’ex convento di Aversa viene per primo a farne parte.
Già allora, si era sentito forte il bisogno di diversificare la pena ordinaria quale punizione di chi, consapevolmente, si era reso colpevole di delitti da coloro che invece erano diventati rei in presenza di malattia psichica.
Queste strutture nascono proprio per poter accogliere e soprattutto curare i detenuti con accertata patologia psichiatrica e che sarebbero stati di difficile gestione nei penitenziari.
Per questi delinquenti patologici, il codice penale c.d. Zanardelli (1889) non prevedeva alcuna pena se non il ricovero in un manicomio giudiziario che, nonostante le premesse, era una struttura del mondo penitenziario e quindi organizzato come un carcere rivolto soprattutto alla difesa sociale.
Nel 1904 viene approvata la legge n. 36,c.d. legge Giolitti, dal nome dell’allora Ministro dell’Interno, che è stata la prima legge organica in materia di psichiatria. I manicomi dovevano avere un ruolo repressivo ed emarginante per il legame attribuito tra la malattia mentale e la pericolosità sociale, legame che porta ad un aumento smodale dei ricoveri e ad un conseguente incremento del numero di padiglioni destinati ai c.d. folli.
Ma la legge Giolitti peccava della supremazia riconosciuta al Direttore del Manicomio in ordine alle entrate ed uscite delle persone, attribuendogli la salute e il loro destino.
Il profondo coinvolgimento che così veniva operato sulle libertà dei cittadini fu motivo di un’aspra critica dei giuristi avverso questa legge la quale, tuttavia, restò in vigore fino al 1978, anno in cui viene abrogata e sostituita dalla legge n. 180, la c.d. legge Basaglia.
Cronologicamente si arriva nel 1930 quando entra in vigore in codice Rocco che istituisce il doppio binario, lasciando in vita i manicomi giudiziari quale luogo dove scontare le misure di sicurezza detentive per i non imputabili socialmente pericolosi.
Il “doppio binario” è quel meccanismo che differenzia la conseguenza del fatto-reato a seconda di chi lo compie: se imputabile la pena sarà una sanzione ordinaria, se invece risulterà socialmente pericoloso gli verrà irrogata una misura di sicurezza.
Nel 1974 l’opinione pubblica si sensibilizza sul tema della malattia mentale a seguito di un grave fatto di cronaca avvenuto nella struttura di Napoli, dove l’ospite Antonia Bernardini brucia viva perché coercita da tempo nel letto di contenzione allora di uso comune.
L’anno successivo, con la legge 354/1975, viene introdotto il nuovo Ordinamento Penitenziario e i manicomi giudiziari vengono trasformati in Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Nella realtà si assiste solo ad una variazione di dicitura ma nulla cambia nel contenuto.
La svolta epocale nella psichiatria italiana arriva da Franco Basaglia che, dopo un’ardua battaglia, riesce a far chiudere i manicomi con la promulgazione della legge n. 180 del 1978.
Si punta tutto sul reinserimento sociale delle persone con disturbi mentali e sull’assistenza dei Servizi di salute mentale, appena creati in ambito regionale, principi cardine anche per la chiusura degli OPG.
La legge 180 ha contribuito ad importanti innovazioni non solo nella realtà procedurale di assistenza e trattamento psichiatrico, ma anche in campo giuridico, tant’è che l’art. 5 recita che “chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, e chiunque vi abbia interesse, può proporre al tribunale competente per territorio ricorso contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare”.
Nel 2003 la Corte Costituzionale, con sentenza n. 253, dà il via all’applicazione di misure meno restrittive in luogo dell’internamento negli OPG e nel 2010 viene varata la riforma sanitaria che dà la competenza in materia di salute penitenziaria alle Aziende Sanitarie Locali anziché al Ministero di Giustizia.
Nel 2012, su pressione anche delle istituzioni europee, viene prevista ed istituita una Commissione d’inchiesta del Senato che, con visite a sorpresa, registra lo stato ed il trattamento degli internati negli OPG.
La stessa Commissione, sempre nel 2012, approva, in via d’urgenza e all’unanimità, l’emendamento per la chiusura degli OPG fissando il termine ultimo al 31 marzo 2013 ma di fatto, la chiusura è avvenuta parecchio tempo dopo; appena nel nel 2017 viene chiuso l’ultimo OPG di Barcellona Pozzo di Gotto (M. Miravalle “La fine di una storia e il futuro incerto” in 13° Rapporto Associazione Antigone, maggio 2017, pagg. 2,3).
Originariamente, l’applicazione di una misura di sicurezza era obbligatoria poiché la pericolosità sociale era una presunzione di legge, ma la Corte Costituzionale con sentenza 139/1982 dichiara l’illegittimità degli artt. 222c1, 204 e 205 del codice penale nella parte in cui “non subordinano il provvedimento di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario dell’imputato prosciolto per infermità psichica al previo accertamento da parte del giudice della cognizione o dell’esecuzione della persistente pericolosità sociale derivante dall’infermità medesima al tempo dell’applicazione della misura”.
Con l’abolizione della pericolosità presunta dell’infermo, si è maggiormente responsabilizzato il perito psichiatrico, a cui il giudice dà l’incarico di determinare prognosticamente la pericolosità della persona, e che funge anche da difensore in quanto, se la perizia risconterà una patologia, il periziato non sarà imputabile.
In una istituzione come quella degli OPG, la coercizione veniva praticata in particolare quando non si sapeva a cos’altro ricorrere, diventava una scusante della prevenzione o, addirittura, un’inflizione punitiva. E’ chiaro che questo modus operandi altro non rappresenta se non il fallimento della psichiatria, quasi un ritorno alle barbarie medioevali agìte sul corpo.
Si assiste, di conseguenza, a proposte abolizioniste degli OPG e alla netta suddivisione tra carcerizzazione e cura sanitaria.
Non diverso è il ragionamento di coloro che nell’abolizione degli OPG vedono la fine della misura di sicurezza afflittiva quale duplicazione della pena ordinaria e, contemporaneamente, il superamento della mancata garanzia dei diritti umani in una pena sostanzialmente sine die. Il fine comune degli abolizionisti è il pieno riconoscimento della dignità umana anche al malato di mente, a lungo etichettato come pazzo responsabilizzandolo per i propri atti attraverso un percorso terapeutico adeguato.
Viene unanimemente affermato che l’istituzione manicomiale, chiamasi pure OPG, ha isolato ed estraniato il malato di mente rendendo superflua la sua stessa esistenza, sospendendo i suoi diritti e facendolo di fatto cadere in una sorta di anomia (F. Cananzi, Basaglia e la Costituzione, 40 anni dopo la legge 180, 2018).
E’ certamente utile ricordare l’attivazione, presso il Ministero di Giustizia, di Tavoli di lavoro in ambito dell’esecuzione penale, proprio nella fase transitoria di passaggio da OPG a REMS.
Di particolare interesse è stata la discussione al Tavolo 11 del febbraio 2016 che, in generale, si è focalizzata sulla perizia psichiatrica quale unico mezzo di accertamento della malattia mentale, ed in particolare su tre argomenti specifici:
1. I soggetti imputabili;
2. I soggetti non imputabili per vizio di mente, ora qualificati “pazienti psichiatrici giudiziari;
3. La definizione di patologia psichiatrica con particolare riferimento ai c.d. disturbi della personalità.
Viene confermata la necessità di anteporre i bisogni terapeutici del paziente psichiatrico giudiziario rispetto alla pena e l’uso delle misure coercitive quale extrema ratio; nella pratica viene comprovata ed esaltata la funzione sanitaria per la quale sono sorte le REMS che, ricordo, destinate ad accogliere, in via prioritaria, persone a cui è sta comminata una misura di sicurezza definitiva, estesa ex art.3ter, comma 4 DL n. 211 del 22 dicembre 2011 (Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri), anche ai destinatari di misura di sicurezza provvisoria.
Nell’ottica della primaria necessità terapeutica, le istituzioni del Friuli Venezia Giulia,con un progetto “pilota” hanno optato per una REMS “diffusa” con un sistema che lavora in rete con tutti i servizi e prestazioni dedicati, evitando di creare una struttura carceraria o comunque di detenzione, permettendo anche agli operatori di lavorare a porta aperta.
Nel 2017 interviene la legge n. 103, c.d. legge Orlando, che nel voler attenersi alle linee guida emerse dal Tavolo 11 dà precedenza al trattamento sanitario della persona-rea,fondamento per il passaggio dagli OPG e dalle Case di Cura e Custodia alle REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza).
Questo passaggio non è stato semplice, soprattutto per il meccanismo d’ingresso che ha dato precedenza non alla gravità/tipologia del reato, bensì all’ordine cronologico di richiesta della misura di sicurezza disposta dal giudice, in uno scenario complessivo che riscontra l’inadeguatezza dei posti disponibili nelle nuove strutture.
A distanza di 10 anni dalla chiusura degli OPG, la situazione si presenta critica e non sono state ancora trovate soluzioni adeguate per gli autori di reati riconosciuti “non imputabili e socialmente pericolosi”.
Tutto ciò comporta lunghe liste di attesa in ingresso nelle REMS e l’esclusione di chi ne avrebbe realmente necessità (Il sole24ore – 21.6.2024).
La Società Italiana di Psichiatria e Psicopatologia forense (Sippf), nel suo primo congresso del giugno 2024, ha lanciato una sfida, quella di “liberare” la REMS in favore di soluzioni socio riabilitative in quanto queste strutture sono prettamente sanitarie. Inoltre, dovrebbero rappresentare una fase temporanea di un processo di riabilitazione iniziato con la presa in carico dei servizi socio-sanitari che hanno il compito di stendere il Piano terapeutico-riabilitativo personalizzato (PTRI).
Un segnale forte verso la comprensione dell’animo e della mente di questi detenuti sfortunati, dovrebbe superare lo stigma della malattia mentale che la “psichiatriz zazione” del comportamento violento provoca in favore di un atteso confronto ed una collaborazione più proficui tra la magistratura, le FF.OO. e la sanità anche prevedendo incontri istituzionalizzati per la gestione dei pazienti folli-rei o rei-folli.
Del problema sulla scarsa disponibilità dei posti nelle REMS, se ne è occupata anche la Corte EDU che, il 20 marzo 2024, ha emesso un provvedimento cautelare ex art. 39 del Regolamento in favore di una paziente psichiatrica ristretta a Rebibbia, ordinando il nostro Governo a “trasferire la ricorrente senza alcun ulteriore ritardo in una REMS o altra struttura atta alla somministrazione di un trattamento terapeutico adeguato alla sua condizione psicopatologica”.
Nel caso specifico, a settembre 2023, il giudice competente aveva predisposto la misura di sicurezza ex art. 222 cp ma il provvedimento è rimasto inevaso proprio per l’indisponibilità di posti nelle REMS.
Di conseguenza,la ricorrente è rimasta illegittimamente ristretta in carcere e privata del trattamento medico sanitario più appropriato per la sua necessità.
Sull’inadeguatezza della capienza di queste strutture, la Corte EDU si è espressa già precedentemente in più occasioni (es. caso Sy c/ Italia) per violazione degli articoli previsti dalla CEDU ed in particolare l’art. 3 che proibisce la tortura e il trattamento o pena disumano o degradante e l’art. 5 che garantisce ad ogni persona il diritto alla libertà e alla sicurezza .
Anche la nostra Corte Costituzionale, coinvolta sulla consistenza delle liste di attesa nelle misure di sicurezza psichiatriche, ha ribadito che l’accoglimento in REMS non è mai una misura automatica ma residuale all’interno di una presa in carico da parte delle strutture territoriali (www.garantenazionaleprivatiliberta.it).
Che la REMS sia da considerare quale misura residuale, viene ribadito anche nella bozza di Accordo Stato-Regione FVG del novembre 2022 dove, tra i vari punti previsti, riemerge la necessità di considerare tali strutture una soluzione residuale, ma viene anche puntualmente precisata la definizione della funzione terapeutica della nuova istituzione (R. Mezzina, La pena e la cura. Le risposte attuali dei servizi di salute mentale – 2018).
Molto interessante è la sentenza n.22/2022 della Corte stessa per i punti ed i passaggi significativi evidenziati in argomento e di cui cito quello relativo alla natura delle REMS che definisce “luoghi di cura, dove si attivi un percorso positivo di ritorno nella società (senza che questi luoghi si trasformino in cronicari in stile manicomiale) e dove si persegua anche la sicurezza per la collettività.
La Corte fa un’ulteriore importante affermazione quando riferisce della necessità di un programma atto a diminuire la differenza tra i posti disponibili e i provvedimenti di assegnazione da parte dei giudici in contrasto con il filone che vorrebbe unicamente vedere il problema sotto il punto di vista numerico.
La Corte, come anche il Garante nazionale, conferma l’importanza della “valorizza zione e potenziamento delle alternative terapeutiche per la salute mentale esistenti sul territorio ….” In modo da non ricorrere necessariamente alle REMS che risultano comunque essere strutture positive.
Dal Rapporto Antigone dell’aprile 2024, si legge della presenza di un diffuso disagio psichico nelle carceri italiane: il 12% dei detenuti (ca. 6000 in quel momento) presenta una patologia psichiatrica grave (maggiormente nelle donne) con un aumento di ca. il 2% rispetto al 2023.
Gli operatori penitenziari lamentano un continuo aumento di tali patologie a fronte di strumenti ridotti e insufficienti.
La triste ed inumana conseguenza sono i suicidi e l’utilizzazione massiva di psicofarmaci all’interno del carcere con lo scopo non solo terapeutico ma anche di “sedazione collettiva”: il 20% dei detenuti assumono stabilizzanti dell’umore , antipsicotici e antidepressivi.
Interessante è anche la rilevazione degli istituti in cui vengono maggiormente usate tali sostanze che, a differenza di quanto si immagina, ai primi posti non troviamo i grandi istituti carcerari bensì quelli a numeri più contenuti: il 79,9% presso la Casa circondariale di Biella, il 70% di stabilizzanti dell’umore e il 79,1% di sedativi/ipnotici presso la casa circondariale di Trento mentre nella casa circondariale del Nuovo Complesso di Rebibbia si fa uso per il 43% di stabilizzanti e per il 6,7% di sedativi/ipnotici.
Questi dati confermano che le carceri continuano a psichiatrizzare i ristretti e mancano della possibilità di risocializzazione, e che le REMS così strutturate, non riescono e non riusciranno a raggiungere gli obiettivi per cui sono state pensate.
Aggiungo tuttavia, la fiducia a che i P.U.R. (Punti Unici Regionali) attuati grazie all’Accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano (Rep. n. 188/CU del 30 novembre 2022), con le competenze ad essi attribuite dalle Regioni, riescano ad attenuare la frizione della detenzione e malattia psichiatrica.
Nello specifico, il citato Accordo prevede che i PUR agiscano d’intesa e in costante accordo con i Dipartimenti di Salute Mentale e con le Aziende sanitarie, cui compete l’erogazione delle prestazioni sanitarie, assicurando specifiche attività in relazione alla Magistratura e all’Amministrazione Penitenziaria, compresa l’indicazione della REMS cui assegnare le persone destinatarie di misure di sicurezza detentive e la gestione della lista di attesa REMS regionale, nell’ambito della generale e prioritaria ricerca e facilitazione di soluzioni assistenziali in contesti non detentivi (in Allegato alla Delibera n. 389 del 15 marzo 2024 della Regione Friuli Venezia Giulia).
Settembre 2024
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** Laureata in giurisprudenza presso
l’Università di Trieste; perfezionata inViolenza di genere presso la stessa
Università; master di 2° liv. In Psicopatologia forense e criminologia
presso l’Università di Firenze;
esperta ex art. 80 O.P Corte d’Appello di TS, formatrice….