Da Poemetto: Liriche “Memorie di Sicilia” -Parte seconda-
di Vincenzo Fiaschitello
A un ragazzo morto in giovane età
A Ilaria, in memoria di Gian Paul Ale,
del Liceo scientifico “E.Maiorana” di Roma
Sebbene giunta per me sia l’età
non più propizia al pianto,
mi resta tuttavia il rimpianto
per non averti avuto come amico.
Altri mi parlavano della gioia
del tuo vivere e io stesso furtivamente
ammiravo la destrezza dei tuoi gesti.
Quando il mio passo precedesti,
soffiando il vento dove vuole,
allora soltanto di te, ragazzo,
appresi come amaramente possano
spezzarsi i sogni del futuro.
Quella fiamma che ti ardeva in petto,
oggi nel ricordo mi rigenera e ancora
mi è compagna di vita sotto il mio tetto,
libera di tremare nell’affollato
vivere quotidiano che senza tempo
inconsapevolmente scorre.
Ti incontrai
Ti incontrai tra il respiro
degli alberi seduta su una panchina
del viale, accanto una bambina
che lietamente correva, già svezzata
alla vita. Acciambellato nel grembo,
portavi un minuscolo essere in divenire.
Tu sola decifravi il silenzio
che ti dormiva dentro e il balbettio
del suo mutamento che tanta
tenerezza e sgomento ti dava.
Sull’uscio dove non appari più
Sull’uscio dove non appari più,
un bicchiere di rosso vino
da mature assolate uve
della tua serrata contrada mi offrivi,
a me ragazzo dal destino
arditamente atteso. Da te, magra
madrina di nero vestita, incontro
mi veniva un saluto gioioso
mentre salivo Via Trezza appena
disceso dal treno. Ora mi pesa
il ricordo della tua assenza, figura
di vita umile, rugosamente appesa
al sottile filo di quel crepuscolo
simile a questo del giorno che vado
ancora calpestando.
Dal rondinoso azzurro cielo
Dal rondinoso azzurro cielo
scendeva quasi a sfiorare
le tegole con ritmo regolare
il lieto brusio che carezzava
il declinante giorno.
Giorno colmo di amaritudine
per l’adolescente inconsapevole
della vita futura e già
venata da offuscati sogni.
Trascolora il passato tempo
in alone, segno di perfida ruggine,
che inesorabilmente copre
il mistero della fine.
Memoria, dardo di luce,
che la mia corazza d’indifferenza fori!
Madre, quel sepolto tuo cuore
Madre, quel sepolto tuo cuore,
incorrotto nella luce dell’Eterno,
mi nutrì nel tempo della guerra
e poi della pace inquieta d’ogni giorno.
Non ho bisogno di scaldare
il mio occhio sul tuo ritratto,
la visione di te riflessa nel mondo
di vita delle stagioni che sempre
più rapide scorrono, toccando il fondo
dell’anima, riaccende lucidamente
attese e speranze frammiste a paure
e a fremiti di generosità.
Sei oltre il sogno, oltre l’amore terreno,
di là dove il suono dell’universo
si diffonde nel silenzio dell’infinito
e qui non s’ode poiché il duro
orecchio fragorosamente lo rimuove.