Da Poemetto: Liriche “Memorie di Sicilia” – Parte quarta
di Vincenzo Fiaschitello
Perduta, non trovo più traccia
Perduta, non trovo più traccia
di te, solo pallida memoria
delle tue orme lasciate per il tempo
di un sospiro sulla battigia
del mare di Marzamemi,
che vide salpare età e sogni
come bianchi aironi dispersi
all’orizzonte nella fioca
luce del mattino.
Il solicello di marzo
Che pena inesplicata sotto
il solicello di marzo che
mi vede errare per queste vie.
Quanti fiori recisi nel campo
dove solennemente troneggia
il marmoreo eroe deturpato
da cumuli di disfatte verze.
Questo tardo e uggioso inverno
tramonta e già si spera nel gioioso
tempo di fiorita primavera
che si fa strada tra giorni freddi
e bui, come l’acqua che i monti
rilasciano tra le aspre rocce
e correndo s’apre varchi verso
campi e ombrosi parchi.
Fuggevole immagine di madre
colpì la mia vista e repentinamente
fuggì, lasciandomi la pena
di non poter carezzare il suo volto
né di sapere neppure se angoscia
l’opprimeva al pari di me.
Geme il vento della sera
Geme il vento della sera,
sulla gronda scorre l’acqua
di un giorno di burrasca,
un passero dorme tra l’umida
frasca della cima di un cipresso.
Là dove restiamo, ciascuno
nel suo luogo di destino,
illesi e tristemente illusi
che la ruota si fermi senza
ulteriore rovina né lacrime
a un angolo di strada.
Ma tu vita che te ne fuggi
silenziosamente come
in un sogno di anarchica ragione,
ricordi ancora il tempo
della fioritura dell’amore?
Un vento attivo e gelido
Un vento attivo e gelido
sbuca tra i vicoli, s’alza furente
tra le cime degli alberi,
scende sulle strade danzando
tra lacerate carte e macerate foglie,
lascia nel cuore vaga nostalgia,
dilegua nell’ombra di sere
inesorabilmente mute e scure.
Non resta spazio alla coscienza
se non per qualche indizio vicino
a parole che richiamano pietà e perdono.
Ora l’anima, spoglia ormai
d’ogni illusione, fatta lieve, libera
da vanità, percorre vie assolate
lontane dall’ombra cupa della selva.
Sulla marina sabbia affondavano
Sulla marina sabbia affondavano
i tralci carichi di grappoli d’uva,
con aspri gridi stridevano i gabbiani
volteggianti nel cielo gravido di fuoco,
piccoli passeri becchettavano briciole
attorno alla fonte canterina della piazza.
Finché la brocca d’acqua si empiva
un sorriso alla tua bocca rubavo
poi fuggivo, rosso in viso, tra i platani
del viale. Avvizziti ricordi sepolti
nelle ceneri del tempo trascorso!
Come in sogno raduno suoni e immagini
nel fosso dell’oblio dove non c’è più
posto per lacrime e sospiri.