Da: Nuove Poesie, silloge inedita di Vincenzo Fiaschitello
Le liriche qui presentate con il titolo di “Nuove Poesie”, fanno parte di una silloge in preparazione che raccoglie il frutto di un rinnovamento in proprio di questo ultimo anno.
La raccolta è caratterizzata dalla presenza di un interlocutore, a volte con un nome preciso (spesso il personaggio è Adamo), altre volte con un
“tu” indistinto, ma comunque sempre vicino all’autore con interrogativi, rimostranze, memorie di un passato, inviti a colmare quello spazio vuoto che dimora nella interiorità e che tuttavia non è da intendersi come il “nulla”, sì da far pensare alla dimensione spirituale tipica del nichilismo.
Quanto allo stile e al materiale linguistico usato, lascio, com’è ovvio, giudicare il lettore, il quale potrà tener conto che in qualche modo sono rispettoso della tradizione, ma senza sentirmi ingabbiato in “scuole”, in forme metriche o nel rigore delle rima.
Non poche liriche nascono dalla osservazione della realtà, spesso drammatica, del nostro tempo.
Vladimir Putin
Non so che goccia di pregiato rosso
e quale cena di luculliana memoria
in quella fastosa villa sotto il cielo sardo,
il nostro autorevole statista, né gerarca
né esarca desideroso di proscinesi,
ti offrì nella sua taverna, condito il tutto
di allegri cori e risa e pacche sulle spalle
di franca ed eterna amicizia.
Si sa che in momenti di allegria, fuori
dall’algida diplomazia, anche i grandi
della terra usano parole che scorrono
a fiumi come bollicine da bottiglie
appena sverginate. Ma ora che il freddo
siberiano ricopre tanti morti,
per la martoriata Ucraina, come ogni
giorno insiste il romano pontefice,
c’è speranza di una pace giusta?
Facciamo in modo che il coraggio non sia
fondato sulla paura, sulla diffidenza
e crudezza delle lacrime, ma solo
sulla volontà di pace: così poco tempo
resta per salvare l’Umanità!
Vita, ogni giorno che passa
Vita, ogni giorno che passa
mi convinco che non ti servo più.
Ma sono stato mai tuo servo?
Cosa ho fatto per te?
Nulla! Anzi ti ho rubato l’aria
che ho respirato, l’acqua
delle tue sorgenti, il cibo dei tuoi
campi, il profumo dei tuoi fiori:
nel grembo delle tue valli
ho trovato armonia di voci e di silenzi.
E dunque se ora mi apri l’orizzonte
dell’Acheronte, come faccio io,
bestiola inutile e saccente,
a dirmi ingiustamente dolente?
Un tuffo nell’abisso è ciò che
mi spetta, sarò felice tuttavia
se potrò farlo con l’occhio fisso
al tuo cielo dell’eterno essere.
Caterina
Rana, rena, rina,
sì, Caterina, ti ho chiamata
nel sonno di ogni notte,
eri aria, eri cuore vagante,
sogno mattutino.
Se tentavo di abbracciarti,
meno che vento coglievano
le mie braccia e nulla più.
Mai, ch’io ricordi, ebbi
familiarità con chi quel nome
portava. Perché allora sempre
corre lungo una sinapsi
del mio sonno?
Rana, rena, rina,
sì, Caterina, declamo il nome tuo,
ombra misteriosa che scende
tra i crinali dei miei sogni
a rammentarmi il tempo del distacco.
Erano trenta
Trenta scalmanati in una scuola
del sud -sacra per l’educazione
che impartisce, come dice il ministro-
hanno giurato esemplare vendetta
contro la prof. che ha osato ignorare
i loro avvertimenti sui social.
Pugni calci e sputi possono più
che le parole. E la preside che fa?
Grida spinge implora, chiede infine
la forza legittima per frenare
quel torrente impazzito.
Ha un bel dire Umberto Galimberti
nei suoi saggi e in certi interventi
convincenti su YouTube che finché
i genitori intendono sostituirsi
ai docenti e sentirsi quasi gruppo
sindacale in difesa di presunti diritti
negati ai loro pupilli, è meglio
che rimangano fuori dalla scuola.
Ma qualcosa non va… Una generazione
di genitori protettivi oltre misura?
Quale iattura se non si comprende
che padri e madri non possono essere
solo amici e amiche dei figli,
ma educatori fermi anche nel negare,
all’occorrenza, in nome della verità
della vita, impasto di dolcezza
e amarezza, di gioia e sofferenza.
Le mani di Dio
a Antonio Galati
Sciolta nell’aria talvolta respiro
una melodia che supera ogni rumore
del mondo. E’ forse il rotolio del Tutto
che scende dalle mani di Dio?
Sto alla ricerca di parole calde e gentili,
disposte ad ospitare i miei pensieri
e sentimenti. Se chiuse sono le loro
porte e finestre, mi impongono
il gran silenzio che con gioia accolgo
quale rifugio sicuro per tenermi lontano
da perturbanti inquietudini.
E tuttavia non è possibile ignorarle:
quel che dal cielo scende è proprio tutto,
la gioia e il dolore, la vita e la morte,
coniugate insieme in nome di una armonia
prestabilita, così che anche su terra
incolta il sole splende.
Angelo custode
Ecco che la tua vita se ne va
sono lontano i dirupi
lontano le voci. C’è forse
ancora un angelo custode
che ti segue e ascolta tutto?
Attento, diceva il parroco
al fanciullo dal cuore ingenuo,
se a capofitto nel male cadi
può a lungo piangere per te.
-Ma ora è la mia vita tutta
che cade. Piangerà per me più?-
Forse no! Sceglierà altro luogo
meno vulnerabile di te, il cuore
di una bimba dagli occhi blu.
Muterai, frantumerai le residue
pene e sarai pronto a dare indietro
quel talento, povero e meschino,
che sempre serbasti in tasca
senza frutto. Dirai che poco spazio
dell’esserci ti offrirono nel mondo,
scarse vane scuse inaccettabili,
poiché vivere non sapesti senza
scorie d’orgoglio e di viltà,
illuso e chiuso nel sonno di una
malinconica contentezza, scisso
dal tuo tempo. Quel che è male
veramente per te, fare da specchio
ai giovani virtuosi, aspiranti vecchi,
che ora onorano la vita tra amore e gioia.