Curiosità storiche: il Risorgimento italiano raccontato da una canzone “La bella Gigogin”
di Pompeo Maritati
Probabilmente più di qualcuno di voi non conoscerà questa canzone, che per certi aspetti sembra una canzoncina per bambini visto il suo ritmo. A me la fece conoscere mia madre, che peraltro non era nemmeno italiana, ma a quanto pare la sua ritmica aveva varcato le nostre frontiere, probabilmente ad esportarla saranno stati i nostri soldati nel corso della seconda guerra mondiale.
Fu composta nel 1858 su parole di autore ignoto, dal Paolo Giorza, milanese. Si pensa trovò ispirazione da alcuni canti piemontesi.
Il testo della composizione può essere letto come un invito a Vittorio Emanuele II ad entrare in guerra contro l’Austria, e fu così che La bella Gigogin diventò da subito una canzone patriottica.
La bella Gigogin ebbe immediatamente un successo strepitoso. Le bande militari austriache avevano imparato a suonarla e quando, proprio a Magenta il 4 giugno del 1859 si trovarono di fronte le truppe francesi, intonarono le note della canzone composta dal Giorza, in segno di attacco. Interessante fu il fatto che i francesi risposero, non senza ironia, col ritornello Daghela avanti un passo e che quindi i due eserciti si affrontarono al suono della stessa canzone. Da rammentare che la canzone La bella Gigogin era conosciuta anche con il titolo Daghela avanti un passo.
La canzone fu eseguita per la prima volta in pubblico il 31 dicembre del 1858 nel Teatro Carcano di Milano in occasione di un concerto offerto dalla Banda Civica diretta dal maestro Gustavo Rossari. Fu subito accolta con entusiasmo strabiliante al punto tale che dopo il primo bis, fu eseguita per ben altre otto volte consecutive.
IL TESTO DELLA CANZONE
” Rataplan! Tambur io sento;
Che mi chiama la bandiera;
Oh che gioia! Oh che contento:
Io vado a guerreggiar.
Rataplan! Non ho paura
Delle bombe dei cannoni;
Io vado alla ventura:
Sarà poi quel che sarà.”
E la bella Gigogin. Col tremille-lerillellera
La va a spass col sò spingin
Col tremille-lerillerà
“Di quindici anni facevo all’amore:
Daghela avanti un passo, delizia del mio cuore.
A sedici anni ho preso marito:
Daghela avanti un passo, delizia del mio cuor.
A diecisette mi son spartita:
Daghela avanti un passo, delizia del mio cuor.”
La vén, la vén, la vén a la finestra,
L’è tutta, l’è tutta, l’è tutta inzipriada;
La dìs, la dìs, la dìs che l’è malada:
” Per non, per non, per non mangiar polenta
Bisogna, bisogna, bisogna aver pazienza.”
Lassàla, lassàla, lassàla maridà.
Le baciai, le baciai il bel visetto, cium, cium cium,
La mi disse, la mi disse: ” Oh che diletto!”, cium, cium, cium,
Là più in basso, là più in basso in quel boschetto, cium, cium, cium
Noi anderemo, noi anderemo a riposà.
Taratatatà!