IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

“Cuore”, Il Libro di Edmondo De Amicis. Lettura e commento di Giovanni Teresi per la “XX Settimana della Lingua Italiana nel mondo”

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Copertina del libro "Cuore" di Edmondo De Amicis

Edmondo De Amicis illustra le caratteristiche e l’intento pedagogico del suo romanzo.
Divenuto uno dei capisaldi della letteratura per ragazzi, il libro Cuore si fa portavoce di quei valori che si stavano affermando nel periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia.
Pubblicata nel 1886, l’opera denota il proprio intento sociale sviscerando, pagina dopo pagina, tematiche e problematiche relative agli strati più bassi della popolazione.

Pensato come un diario di uno studente che racconta le sue vicende e quelle dei suoi compagni di classe all’interno di una scuola torinese, durante l’anno scolastico che va dal 17 ottobre 1881 al 10 luglio 1882, De Amicis presenta al lettore lo spaccato di un’Italia postunitaria variegata. Attraverso la penna del protagonista, l’undicenne Enrico Bottini, l’autore pone l’accento su una serie di personaggi diversi tra loro sia per estrazione sociale sia per provenienza geografica. Ognuno di essi incarna un vero e proprio prototipo sociale, dal borghese al proletario, con l’intento di non narrare solo una storia, ma di veicolare maggiori informazioni sulla situazione politica ed economica dell’Italia di fine Ottocento.

Il mio compagno Coretti 
13, domenica 

“Mio padre mi perdonò; ma io rimasi un poco triste, e allora mia madre mi mandò col figliuolo grande del portinaio a fare una passeggiata sul corso. A metà circa del corso, passando vicino a un carro fermo davanti a una bottega, mi sento chiamare per nome, mi volto: era Coretti, il mio compagno di scuola, con la sua maglia color cioccolata e il suo berretto di pelo di gatto tutto sudato e allegro, che aveva un gran carico di legna sulle spalle. Un uomo ritto sul carro gli porgeva una bracciata di legna per volta, egli le pigliava e le portava nella bottega di suo padre, dove in fretta e in furia le accatastava.  
– Che fai, Coretti? – gli domandai.  
– Non vedi? – rispose, tendendo le braccia per pigliare il carico, – ripasso la lezione.  
Io risi. Ma egli parlava sul serio, e presa la bracciata di legna, cominciò a dire correndo: – Chiamansi
 accidenti del verbo… le sue variazioni secondo il numero… secondo il numero e la persona… 
E poi, buttando giù la legna e accatastandola: – secondo il tempo… secondo il tempo a cui si riferisce l’azione… 
E tornando verso il carro a prendere un’altra bracciata: – secondo il modo in cui l’azione è enunciata. 
Era la nostra lezione di grammatica per il giorno dopo. – Che vuoi, – mi disse, – metto il tempo a profitto. Mio padre è andato via col garzone per una faccenda. Mia madre è malata. Tocca a me a scaricare. Intanto ripasso la grammatica. È una lezione difficile oggi. Non riesco a pestarmela nella testa. Mio padre ha detto che sarà qui alle sette per darvi i soldi, – disse poi all’uomo del carro.  
Il carro partì. – Vieni un momento in bottega, – mi disse Coretti. Entrai: era uno stanzone pieno di cataste di legna e di fascine, con una stadera da una parte. – Oggi è giorno di sgobbo, te lo accerto io, – ripigliò Coretti; – debbo fare il lavoro a pezzi e a bocconi. Stavo scrivendo le proposizioni, è venuta gente a comprare. Mi son rimesso a scrivere, eccoti il carro. Questa mattina ho già fatto due corse al mercato delle legna in piazza Venezia. Non mi sento più le gambe e ho le mani gonfie. Starei fresco se avessi il lavoro di disegno! – E intanto dava un colpo di scopa alle foglie secche e ai fuscelli che coprivano l’ammattonato.  
– Ma dove lo fai il lavoro, Coretti? – gli domandai.  
– Non qui di certo, – riprese; – vieni a vedere; – e mi condusse in uno stanzino dietro la bottega, che serve da cucina e da stanza da mangiare, con un tavolo in un canto, dove ci aveva i libri e i quaderni, e il lavoro incominciato. – Giusto appunto, disse, – ho lasciato la seconda risposta per aria:
 col cuoio si fanno le calzature, le cinghie… Ora ci aggiungo le valigie. – E presa la penna, si mise a scrivere con la sua bella calligrafia. – C’è nessuno? – s’udì gridare in quel momento dalla bottega. Era una donna che veniva a comprar fascinotti. – Eccomi, – rispose Coretti; e saltò di là, pesò i fascinotti, prese i soldi, corse in un angolo a segnar la vendita in uno scartafaccio e ritornò al suo lavoro, dicendo: – Vediamo un po’ se mi riesce di finire il periodo. – E scrisse: le borse da viaggio, gli zaini per i soldati. – Ah il mio povero caffè che scappa via! – gridò all’improvviso e corse al fornello a levare la caffettiera dal fuoco. – È il caffè per la mamma, – disse; – bisognò bene che imparassi a farlo. Aspetta un po’ che glie lo portiamo; così ti vedrà, le farà piacere. Son sette giorni che è a letto… Accidenti del verbo! Mi scotto sempre le dita con questa caffettiera. Che cosa ho da aggiungere dopo gli zaini per i soldati? Ci vuole qualche altra cosa e non la trovo. Vieni dalla mamma.  
Aperse un uscio, entrammo in un’altra camera piccola: c’era la mamma di Coretti in un letto grande, con un fazzoletto bianco intorno al capo.  
– Ecco il caffè, mamma, – disse Coretti porgendo la tazza; – questo è un mio compagno di scuola.  
– Ah! bravo il signorino, – mi disse la donna; – viene a far visita ai malati, non è vero?  
Intanto Coretti accomodava i guanciali dietro alle spalle di sua madre, raggiustava le coperte del letto, riattizzava il fuoco, cacciava il gatto dal cassettone. – Vi occorre altro, mamma? – domandò poi, ripigliando la tazza. – Li avete presi i due cucchiaini di siroppo? Quando non ce ne sarà più darò una scappata dallo speziale. Le legna sono scaricate. Alle quattro metterò la carne al fuoco, come avete detto, e quando passerà la donna del burro le darò quegli otto soldi. Tutto andrà bene, non vi date pensiero.  
– Grazie, figliuolo, – rispose la donna; – povero figliuolo, va’! Egli pensa a tutto.  
Volle che pigliassi un pezzo di zucchero, e poi Coretti mi mostrò un quadretto, il ritratto in fotografia di suo padre, vestito da soldato, con la medaglia al valore, che guadagnò nel ’66, nel quadrato del principe Umberto; lo stesso viso del figliuolo, con quegli occhi vivi e quel sorriso così allegro. Tornammo nella cucina. – Ho trovato la cosa, – disse Coretti, e aggiunse sul quaderno:
 si fanno anche i finimenti dei cavalli. – Il resto lo farò stasera, starò levato fino a più tardi. Felice te che hai tutto il tempo per studiare e puoi ancora andare a passeggio!  
E sempre gaio e lesto, rientrato in bottega, cominciò a mettere dei pezzi di legno sul cavalletto e a segarli per mezzo, e diceva: – Questa è ginnastica! Altro che la
 spinta delle braccia avanti. Voglio che mio padre trovi tutte queste legna segate quando torna a casa: sarà contento. Il male è che dopo aver segato faccio dei t e degli l, che paion serpenti, come dice il maestro. Che ci ho da fare? Gli dirò che ho dovuto menar le braccia. Quello che importa è che la mamma guarisca presto, questo sì. Oggi sta meglio, grazie al cielo. La grammatica la studierò domattina al canto del gallo. Oh! ecco la carretta coi ceppi! Al lavoro.  
Una carretta carica di ceppi si fermò davanti alla bottega. Coretti corse fuori a parlar con l’uomo poi tornò. – Ora non posso più tenerti compagnia, – mi disse; – a rivederci domani. Hai fatto bene a venirmi a trovare. Buona passeggiata! Felice te.  
E strettami la mano, corse a pigliar il primo ceppo, e ricominciò a trottare fra il carro e la bottega, col viso fresco come una rosa sotto al suo berretto di pel di gatto, e vispo che metteva allegrezza a vederlo  
Felice te! egli mi disse. Ah no, Coretti, no: sei tu il più felice, tu perché studi e lavori di più, perché sei più utile a tuo padre e a tua madre, perché sei più buono, cento volte più buono e più bravo di me, caro compagno mio.”

Il libro Cuore è pensato come il diario di un alunno che racconta vicende sue, e dei suoi compagni, avvenute durante l’anno scolastico 1881 – 1882  in una scuola di Torino. Questo diario è scritto in modo tale che ad ogni mese corrisponda un capitolo e, infatti, i titoli dei capitoli che troviamo nel testo sono quelli dei mesi che si succedono fino all’estate.    

A queste vicende si aggiungono quelli noti come i “racconti mensili”, quei racconti cioè che ogni mese il maestro legge agli studenti e che hanno per protagonisti studenti italiani provenienti da varie  regioni d’Italia.  Questi racconti sono una sede molto importante all’interno del romanzo perché il maestro cerca esemplari di ragazzi e ragazzini con cui i suoi alunni possono facilmente identificarsi, di istruire i suoi studenti secondo quelli che sono gli ideali del suo tempo.     

La voce narrante principale, quella dell’alunno che tiene questo diario, è quella del piccolo Enrico Bottini che in quell’anno scolastico stava frequentando la terza elementare. Non troviamo però solamente il racconto scritto dalla sua piccola mano, ma anche lettere e consigli che i genitori del ragazzino inseriscono per commentare, interpretare i suoi racconti, e soprattutto per fornire al piccolo importanti indicazioni e consigli per la sua crescita personale; insieme ai racconti mensili del maestro è in questi punti che meglio si sente la voce dell’autore, De Amicis si inserisce in modo astuto fra le voci di chi insegna (prima il maestro e poi i genitori) e così facendo insegna quanto può anche lui.

La scuola, vista come luogo per eccellenza di scambio culturale, assume in questo romanzo un’ulteriore connotazione: microcosmo della società dell’epoca. È dietro i banchi di scuola che nasce un primordiale sentimento di amicizia e di cooperazione, finalizzato all’accettazione e alla convivenza con l’altro, mettendo da parte i propri bisogni individuali in nome del bene comune. È tra le mura scolastiche che si sviluppa l’identità nazionale, attraverso il confronto quotidiano con ragazzi provenienti da situazioni socio-economiche differenti.

«E bada che se non conserverai queste amicizie, sarà ben difficile che tu ne acquisti altre simili in avvenire, delle amicizie, voglio dire, fuori della classe a cui appartieni: e così vivrai in una classe sola, e l’uomo che pratica una sola classe sociale, è come lo studioso che non legge altro che un libro.»

Edmondo De Amicis (Oneglia 1846-Bordighera 1908).

Uscito dal Collegio Militare di Modena con il grado di sottotenente, prese parte, nel 1866, alla battaglia di Custoza; frutto della sua esperienza nell’esercito sono i bozzetti edificanti della  Vita militare (1868), scritti con lo scopo di provare che la caserma è una vera scuola di educazione nazionale. Il successo dell’opera gli consentì di dedicarsi pienamente alle lettere e di viaggiare; a ritmo serrato uscì una serie di libri di viaggio (Spagna, 1872; Ricordi di Londra, 1874; Olanda, 1874; Marocco, 1876; Costantinopoli, 1878-79; Ricordi di Parigi, 1879), in cui risaltano le qualità migliori della prosa giornalistica deamicisiana: uno stile vivido ed elegante, un esotismo cromatico e un potere evocativo, che sono però bilanciati da un descrittivismo superficiale.

Nel 1886 apparve Cuore, in cui la concezione solidaristica dei rapporti tra le classi è presentata in chiave patetica ed enfatica, rispecchiando le virtù borghesi, i miti patriottici e i pregiudizi sociali dell’età umbertina.  L’influenza manzoniana si rivela in Sull’Oceano (1889), un libro sull’emigrazione, che è forse  l’opera deamicisiana più libera dall’artificio retorico, e costituisce la prosecuzione ideale di uno dei migliori “racconti mensili” del Cuore: Dagli Appennini alle Ande.

Seguì, nel 1890, il Romanzo di un maestro, in cui si rafforza quella tendenza filantropica che porterà D. ad aderire al socialismo, scelta in cui è radicata l’ispirazione di un altro tra i più popolari libri dello scrittore, La carrozza di tutti (1899), nonché del romanzo Primo maggio, incompiuto e rimasto inedito fino al  1980.

Teresi Giovanni

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