IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Cronache dal confine nord-orientale.

esempio di archeologia industriale

Dalla crisi industriale di Trieste spunti per un  approccio ai temi della città: un percorso di beni di archeologia industriale, con al centro  il Gazometro del Broletto.

di Enrico Conte

Domanda: si può costruire una relazione tra la crisi industriale in atto a Trieste, da ultimo con la paventata chiusura di una parte importante dello stabilimento della Wartsila che produce Grandi Motori e il Gazometro del Broletto?

Proviamo a dare una risposta soffermandoci sul fatto che il Gazometro di Trieste non è solo un manufatto di un periodo industriale ormai chiuso,un affascinante reperto di archeologia industriale, come altre infrastrutture sparse in città: la Centrale Idrodinamica e la Sottostazione elettrica in Porto Vecchio, ìl Magazzino 26, nel quale verrà realizzato il nuovo Museo del Mare con il progetto di Guillermo Vàzquez Consuegra, la serie dei Magazzini liberty sempre in Porto Vecchio, il Museo della guerra e della pace Diego de Henriquez, il Museo ferroviario a Campo Marzio, il pontone galleggiante del 1914, a tutti gli effetti simbolo di un’epoca, e di un passato, da trattare non tanto come mera memoria statica, bensì come precedente che rinnova la sua forza.

Dietro le facciate delle architetture del Porto Vecchio, ci ricorda tra l’altro Antonella Caroli,  si nascondono le sfide tecnologiche intraprese dai progettisti e dalle ditte costruttrici austriache e italiane. Le fabbriche di quello che fu il Neuen Hafen triestino “un libro aperto di storia dello sviluppo del calcestruzzo armato”, con i suoi brevetti( il sistema Monier), il prodotto di una fase decisiva della storia della Tecnica delle Costruzioni in calcestruzzo armato nel settore edilizio in ambito internazionale.

Manufatti, questi elencati, che possono essere pensati per la carica di innovazione tecnologica che li sottende, non isolatamente, bensì in quanto inseriti in un sistema museale unitario e diffuso, a cielo aperto, riconducibile al filone “archeologia industriale” e da collocare in un percorso che metta in relazione e dialogo alcuni dei più significativi cespiti tutelati dal Codice dei Beni Culturali e del paesaggio.

Non può tacersi, peraltro,  la possibile valorizzazione, in questa chiave, dei  recuperatori di calore Cowper, che hanno resistito alla furia devastatrice abbattutasi sulla Ferriera di Servola, dopo la chiusura dell’Altoforno del 9 aprile 2020, e che metterebbe Trieste in relazione con il cuore dell’Europa, nel Saarland, in Germania, con il Comune di Vòlklingen, dove aveva sede un importante impianto siderurgico che, nel 1994, è stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità Unesco, un ambiente industriale sviluppatosi nel corso del XIX e XX secolo, con caratteristiche simili a quelle di Servola.

Ma per riprendere la domanda iniziale (ci può essere una relazione tra la crisi industriale in atto e il Gazometro) può aiutarci un racconto di Keplero, nel quale si narra di un uomo che, sognando, sale sulla luna e finalmente vede la terra da altra prospettiva.

Ecco allora, alla luce di quel racconto, la possibilità di inserire i citati beni di archeologia industriale, in un percorso che serva, per un verso per raccontare l’identità industriale ed economica della città, mescolando fruizione al pubblico con l’offerta di servizi per il curioso e il turista, per un altro per trasformare il Gazometro in un sito-simbolo da usare per molteplici iniziative (si pensi al recente utilizzo del Gazometro di Ostiense e all’installazione Luna Somnium prodotta da Eni), che conservino il significato storico di un manufatto-bene culturale, che si valorizza in ragione del suo inserimento in un percorso unitario, ma che diventi anche luogo che esprima la sintesi tra ricerca, sviluppo, innovazione e  arte – ecco una possibile risposta all’iniziale interrogativo – una struttura alimentata da quella rete di istituzioni scientifiche che connota Trieste e che già  prova a portare la ricerca applicata e il trasferimento tecnologico all’Urban Center Imprese di Corso Cavour a Trieste, realizzato con i fondi Por-Fesr.

Se è vero che il PNRR con le sue Missioni, tra le quali rivestono un ruolo centrale quelle sulla transizione ecologica e sull’innovazione, rappresenta un’opportunità per i territori occorre, allora, che la stessa venga colta nella sua interezza metodologica, per innescare quella necessaria discontinuità,economica e culturale, che postula un approccio non più tradizionale, come quello per lo più utilizzato per confezionare bandi e progetti nei quali prevale  la frammentazione delle responsabilità delle stazioni appaltanti.

Circostanza questa che, da una prima pur sommaria valutazione di impatto prodotto sul territorio dopo un anno abbondante di PNRR,  non sembra garantire né la necessaria concentrazione e addizionalità delle risorse, nello spazio e nel tempo dato, né il rispetto sui tempi per attrarre  investimenti privati, che servano  per alimentare un  contesto socio-economico dove investire sul green, sulle energie rinnovabili richieste dal cambiamento climatico, sull’innovazione e per far convergere capitali privati, magari legati con i “futuri investimenti sullo sviluppo della tecnologia per combustibili sostenibili”, dei quali parla Hakan Agnevall, il Ceo  del gruppo finlandese Wartsila, che ha peraltro richiesto 34 milioni sul PNRR,  tutti da integrare e condizionare nella logica di un qualsiasi finanziamento pubblico (Mariana Mazzucato).

Trieste 25 luglio 2022

Enrico Conte

già Direttore Dipartimento Lavori Pubblici e Project financing | Comune di Trieste

Collabora al Corso su PNRR, Next Generation PA, con Università degli studi di Trieste,Dipartimento Scienze giuridiche

erriconte@libero.it | cell 348.0064127

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