Creatività e nuovi orizzonti urbani
di Enrico Conte
“Vasto programma”, verrebbe da dire, pensando al titolo di un recente incontro pubblico a Trieste dedicato a “Creatività e nuovi orizzonti urbani”.Una prospettiva antropologica più che un argomento, se la finalità di disporre di nuovi orizzonti urbani viene assunta come obiettivo di una società nel suo insieme, qualcosa di composito che è la risultante di una serie di ingredienti, molti dei quali, guardandosi intorno, mancano o sono insufficienti, in un presente di incalzante realismo e di esemplificazioni manichee.
E’ difficile, se non impossibile, sfuggire ad una riflessione che parta da una dimensione globale quella che, infiltrandosi in ciascuno di noi, magari senza averne piena consapevolezza, influenza il modo di porsi del singolo e delle comunità. Sono tante le crisi che agiscono su questo piano come forze distopiche che incidono nel profondo del sentire di ciascuno: il crollo delle Torri Gemelle, che apre il nuovo millennio, le crisi economiche e finanziarie degli anni 2008 e 2011, il terrorismo islamista (per tutte la strage del Bataclan del 2015), la pandemia con i lockdown su scala planetaria e, ancora, i conflitti geopolitici con la guerra in Ucraina che ha sdoganato, dopo 70 anni, la minaccia nucleare, la crisi energetica,le pressioni demografiche e i cambiamenti climatici, con gli avvertimenti, sempre più ripetuti e conclamati da parte del mondo scientifico e di organismi internazionali, che invitano, per lo più inascolati, a cambiare approccio nell’uso delle risorse e ad essere più lungimiranti.
Eppure, se la finalità – nuovi orizzonti urbani – viene traslata dal globale al locale le cose, forse, appaiono più alla portata,non tanto perchè più semplici posto che restano intrecciate e connesse, quanto per la possibilità, avvertita dai singoli e dalle collettività, di provare a modificare sguardi e comportamenti, partendo da una distanza abbordabile con la realtà fisica, da una vicinanza con una rete di persone, da un territorio urbano che può essere migliorato.
Pensa con il mondo, ma agisci nel locale – ci ricorda Zygmunt Bauman – tenendo conto delle dinamiche planetarie e di interrelazione dei fenomeni, ma muoviti con orizzonti di contesto senza trascurare le particolarità del momento storico che stai vivendo.
Fatta questa premessa è opportuna una prima e fondamentale distinzione, quella tra creatività e immaginazione. La prima, del gesto, di un’idea che sia frutto di un’originale mescolanza, di una pratica che mette insieme più progetti.
La seconda, come quella certa attitudine del soggetto, singolo o collettivo, a sognare ad occhi aperti un futuro diverso, a pensarsi, e a desiderare, una condizione migliore, a immaginare, appunto, un paesaggio individuale e urbano che si proietta e si pone con un orizzonte più ampio, spostato in avanti rispetto ad uno stato di partenza. Per realizzare una trasformazione, ci ricorda lo storico israeliano Yuval Noah Harari, occorre prima averla immaginata. Una prospettiva profondamente umanistica questa, perché parte dalla dimensione del singolo per farsi aspirazione collettiva e plurale.
Tra gli ipotetici fattori a disposizione di una comunità territoriale che voglia darsi nuovi orizzonti, un ruolo fondamentale è rivestito dall’educazione dei suoi cittadini e dalla formazione degli adulti.
La prima per lo più rivolta all’infanzia e alle future generazioni, la formazione da intendersi come un processo continuo volto ad accumulare conoscenze e competenze, ma anche a coltivare una visione e una sensibilità complessiva sulle cose del mondo, grazie ad un supporto di idee che possa nutrire ogni disciplina e che faccia di ogni adulto, ancor prima che un professionista, un cittadino, non solo uno specialista di una materia, o di una procedura, ma una figura attiva in grado di interpretare le necessità e i bisogni, e di individuare, con creatività, le soluzioni più idonee ed efficaci.
Un’educazione che includa pratiche di istruzione, senza esaurirsi nelle stesse, e che serva per sviluppare un pensiero critico, una formazione per gli adulti che sappia fornire gli strumenti metodologici per rispondere alla fluidità del mondo, per orientarsi nel mare delle informazioni individuando le priorità, che aiuti a distinguere – ed è tema di grandissima attualità – ciò che è vero da ciò che è falso partendo da una analisi concreta degli elementi di fatto, e che consenta di orientarsi usando mappe di significato, che possano dare il giusto peso alla prospettazione scientifica.
Un’educazione e una formazione che si completino a vicenda anche per contenere, per quanto possibile, tendenze dei nostri tempi, quella di pensare per settori di scienza e di attività, di non tenere adeguatamente conto della realtà storica, di pensare per automatismi, quelli che governano gli algoritmi dell’intelligenza artificiale o che ci spingono a preferire certe opzioni sui canali social. In un assunto si potrebbe così sintetizzare: occorre costruire una visione culturale d’insieme che dia consistenza a qualsiasi progetto che, altrimenti, resta privo di costrutto generativo e della capacità di produrre nuove idee e progettualità.
Ingredienti, questi, che servono per collocare quello che si fa in un contesto storico, per attribuire un perchè alle cose, per non restare schiacciati su di un sapere statico e superficiale, per sottrarsi al presentismo, nel quale sembra precipitare il mondo.
E poi saper distinguere l’innovazione tecnologica dal cambiamento, la prima frutto del progresso tecnologico che, con impetuosa forza ha cambiato le nostre vite, e il cambiamento sociale che richiede, per aver gambe, una visione culturale complessiva su dove si vuole andare, un approccio metodologico e una certa consapevolezza delle conseguenze delle azioni avviate.
Un insieme di fattori, quindi, di ordine sociale e culturale, individuale e collettivo, generatori di idee che consentano di modificare in meglio il mondo….”le cose in cui credi – diceva Gandhi – diventano i tuoi pensieri, i pensieri si trasformano in parole, le parole in azioni, le azioni in abitudini e quindi in valori: e alla fine della catena, i valori diventano il tuo destino”.
Sono tante le iniziative e gli strumenti che un ipotetico agente urbano può stimolare e che potrebbero servire la finalità di creare nuovi orizzonti urbani: concorsi di idee e di progettazione, avvisi di consultazione di cittadini e imprese, dibattiti pubblici, patti di collaborazione pubblico – privato che spingano i partecipanti a formulare proposte, non solo offerte economiche, a prospettare un modo di vivere la città che sia espressione di uno sguardo nuovo, di un pensiero che interrompa il monopolio della decisione pubblica, che non si limiti a riprodurre le idee di altri perchè,come diceva Keynes, “gli uomini pratici che credono di essere del tutto esenti da qualsiasi influenza intellettuale, di solito sono schiavi di qualche economista defunto”.
E ancora i dibattiti pubblici per coinvolgere nella realizzazione di opere pubbliche, ma anche come momenti di incontro per formare, attraverso il confronto di idee e punti di vista diversi, la pubblica opinione su temi che vanno approfonditi e discussi e che contribuiscano, attraverso una narrazione, a lasciare intravedere, a immaginare, nuove linee di orizzonte.
Trieste, va ricordato, ha una origine artificiale di comunità immaginata, come scriveva nel 1909 Scipio Slataper, città che non poteva vantare tradizioni di cultura, tanto che per colmare questo vuoto nel 1810 fu fondata la prima società di Minerva che iniziò a pubblicare nel 1829 l’Archeografo triestino.
E’ una città che fa dire a Claudio Magris…..”quando ritorno a Trieste, anche dopo pochi giorni…mi sembra di uscire da un tempo rettilineo, che procede diritto lasciandosi il passato alle spalle, per rientrare in un tempo discontinuo e contraddittorio, che va avanti e indietro, ritornando ogni volta su se stesso, sospendendo la successione delle cose e rendendole tutte simultanee, allineando, l’una accanto all’altra come detriti sulla spiaggia del mare, stagioni ed epoche diverse…ci si trova in un collage in cui niente si è trasferito nel passato e nessuna ferita si è rimarginata nel tempo, in cui tutto è presente, aperto e acerbo, in cui tutto coesiste ed è contiguo”.
E infine le opere di arte contemporanea che, se collocate in uno spazio pubblico (public art), possono contribuire a formare un pensiero critico in quanto, ogni opera d’arte, è intrinsecamente fuori da uno schema….perchè ( cosi Theodor Adorno) dipinge una realtà opposta e conflittuale rispetto alle miserie che sperimentiamo tutti i giorni, non è consolatrice, ma indica un’altra via del nostro stare al mondo……”Non semplici sculture da contemplare, ma installazioni in grado di confrontarsi in modo problematico con gli ambienti, di cui possono diventare parte integrante, ristrutturandone l’organizzazione e la percezione…autentici inciampi visivi. Monumenti orizzontali destinati ad essere visti e attraversati da noi. Opere senza piedistallo, capaci di disturbare l’architettura e l’urbanistica…..artisti che, con i propri segni, mirino a riestetizzare alcuni spazi della città, non come esercizio relegato dentro le pareti protettive di uno spazio o di un sito museale, ma come avventura civile, altamente democratica, che aspira alla polis perchè è nella polis la sua inclinazione naturale e la sua meta. Palestra del pensiero e delle immagini, gratuita, aperta a tutti, occasione di partecipazione diffusa, consapevole e ludica… per stimolare il pubblico a vivere lo spazio in maniera attiva, coscienza civica rinnovata, per incontrare arte pubblica lungo una strada e per fruire della quale non bisogna pagare nessun biglietto ma basta passare da un marciapiede”( Vincenzio Trione).
La meraviglia è un emozione capace di farci rallentare il passo, di far incespicare i nostri pensieri distratti per stimolarci a capire i luoghi che abitiamo. E’ il motore per costruire narrazioni comuni e forme di cura in un mondo che sta cambiando( Luca Molinari).
L’osservazione di un’opera d’arte, in linea generale, dovrebbe oltrepassare il confine di una metaforica cornice, non limitarsi a leggere ciò che è visibile, ma andare oltre per comprendere quello che sta al di fuori…di una inquadratura, valicandone il limen…per superare la soglia, fisica e mentale, che considera – l’oggetto dello sguardo – qualcosa di non finito, punto di partenza che termina con la percezione visiva ed inizia con la mente (Monica Mazzolini – l’Approfondimento n.5/2023)…e che influenza la nostra capacità di immaginare nuovi orizzonti.
Enrico Conte