Copiare non è reato
di Riccardo Rescio
È assolutamente vero un tempo era severamente vietato copiare, soprattutto a scuola, dove, almeno ai miei tempi, si rischiava persino una o più bacchettate sulle mani.
Tempi in cui si imparava a scrivere facendo le aste con un pennino che si intingeva nel calamaio, ben fermo nel suo alloggiamento in alto a destra del banco rigorosamente nero, come l’inchiostro.
Ma anche il comune senso etico/morale additava chi copiava come uno incapace di ideare e creare, ignorando completamente il principio secondo cui in natura “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma” come affermava Antoine Laurent Lavoisier nel 1770 e prima ancora Eraclito, nel 500 a.C., con “Panta Rei”, tutto scorre.
Poi un giorno scopriamo che a oriente, da millenni avevano ritenuto la capacità di copiare una importante valenza, elevandola ad una vera e propria Arte.
Con i viaggi, l’apertura dei mercati, la sempre maggiore conoscenza fra popoli e culture, abbiamo iniziato a prendere consapevolezza di quando sia importante vedere, osservare, capire, comprendere e copiare, per poter crescere e migliorare. Attenzione a non confondere però le lucciole per lanterne, a non banalmente e tendenziosamente travisare il concetto di fondo, copiare può essere Arte, imitare per contraffare è invece un reato grave.
Ci sono state nel tempo milioni di cose copiate, come altrettante teorie, concetti, esempi da seguire.
Da tempo immemore l’altrui vissuto ha contribuito a rendere possibile ciò che solo superficialmente abbiamo ritenuto irrealizzabile per noi, ma è sempre e solo la personale determinazione il propellente che muove il tutto, ma evidentemente non per tutti. La questione incomincia a divenire comica, ridicola a volte paradossale e spesso assurda, quando invece di osservare e imparare, copiare e migliorare, dalle altrui capacità, si ritengono tali capacità non degne di nota, convincendosi di possedere, per il ruolo o la posizione rivestita, le competenze necessarie, che in realtà non hanno.
Perché i meriti, non si acquistano, non si ricevono per discendenza, tanto meno per appartenenza, i meriti si conquistano duramente giorno dopo giorno, studiando, osservando, mettendo in pratica trasformando al meglio l’acquisito.
Se solo prendessimo coscienza, che l’osservazione è il postulato inalienabile per le necessarie trasformazioni che costituiscono il presupposto su cui si basa l’evoluzione, la vita di tutti diverrebbe migliore.
L’arte, in tutte le sue variegate manifestazioni, la cultura, la produzione, la tecnologia, altro non sono che continue trasformazioni.
Se solo ci liberassimo della prosopopea che alberga nelle nostre menti nel sentirci creatori di qualcosa ed emulando i grandi ci comportassimo nel procedere come loro, prendendo ad esempio uno per tutti Michelangelo Buonarroti, che della trasformazione del pensiero e della materia ne aveva fatto postulato, faremmo un grande processo di crescita.
Michelangelo e i più grandi e famosi artisti, come tantissimi altri piccoli e sconosciuti, hanno tutti copiato e continuano a copiare, naturalmente imprimendo nelle loro opere il proprio personale sentire.
Se tutti noi ci limitassimo ad osservare con attenzione ciò che di buono e di bello c’è nella natura e nell’altrui pensato, detto o fatto, acquisendolo, facendolo nostro, adattandolo, eventualmente migliorandolo, al fine di poter gestire al meglio il contingente ordinario, quello straordinario e quello ancora prevedibile a venire, di tale fare ne potremmo godere tutti in modo più appagante.
Solo chi è provvisto di capacità di osservazione, di visione prospettica, di conoscenza, di consapevolezza degli strumenti e dei mezzi che il progresso mette a disposizione, unita alla capacità di usarli al meglio, darà un vero e profondo senso alla propria vita.
Tutti gli atri che rifiuteranno questo elementare processo stagneranno nel limbo della perenne immobilità, rallentando il processo evolutivo, che comunque, ignorandoli per la loro inconsistenza, continuerà nel suo percorso.
Riccardo Rescio – Firenze 11 giugno 2022
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