IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

“Confessioni” di un Avvocato, Antonino Guaiana, tra social, nuovi confini dell’intimità e il ruolo della professione legale nel terzo millennio.

Avv. Antonio Guaina con il figlio

Avv. Antonio Guaina con il figlio

di Enrico Conte

Avvocato Guaiana, come prima cosa devo ringraziare Facebook perchè ho avuto modo di conoscerla leggendo i suoi Post che sono delle piccole-grandi parabole, dove mescola esperienza, saggezza antica, creatività mediterrane.

A beneficio di chi ci leggerà mi limito a riportare uno degli ultimi suoi Post…”A volte gli telefono, e lui(il figlio,ndr) ride. Perchè sa che non ho niente da dire, ma voglio solo ascoltare la sua voce…Il solito attacco di nostalgia, papà?.E ci abbracciamo da lontano rassicurandoci a vicenda che è una storia vera”. Accompagna lo scritto una foto dei due.

La lettura periodica dei suoi pensieri sulle pagine del social ha fatto si che, un giorno, quando l’ho incrociata casualmente per strada,  Le ho sorriso avvicinandomi come fosse un vecchio conoscente e le ho detto…noi siamo amici di FB, e lei  quasi mi ha abbracciato sorridendo….

Caro Enrico, Le sono grato di questa bella introduzione, ma La devo correggere. Io e Lei amici lo eravamo già prima che i nostri pensieri si incrociassero sui social. Entrambi proveniamo, con il nostro pensiero mediterraneo, da professioni legate al mondo delle regole e delle loro applicazioni.

Abbiamo solo consolidato quindi un’amicizia, perché, io penso, amici si nasce e amici ci si ritrova, anche a distanza di molto tempo.

I Social, purtroppo, stimolano un pensiero omologante anche perchè fondati sulla filosofia del mi piace….eppure danno anche spazio a riflessioni, alla possibilità di promuovere un pensiero interrogante, a condividere un modo di stare al mondo che non si esaurisca in una mera conferma di punti di vista.

Mi sono avvicinato al mondo dei social alcuni anni fa, per pura scommessa. Provenivo da un’impostazione professionale in cui era ben distinto il ruolo del professionista e quello di cliente. Il professionista tradizionalmente entrava nel mondo del diritto guidando il proprio assistito in un terreno non condiviso, ma appartenente solo al tecnico: nel mio caso, all’avvocato.  La scommessa è consistita nel dismettere i panni curiali e il linguaggio della vecchia professione per condividere le parole e le istanze dei propri assistiti.

Il diritto infatti non piove dall’alto, ma fonda le proprie radici nella storia, nell’identità della coscienza collettiva, verificando gli strati più profondi della società e dei suoi valori.

In questo senso, i social hanno liberato delle energie e dei punti di vista che l’avvocato (ma chiunque svolga una professione intellettuale) deve sfruttare per illuminare la visione dei diversi momenti dell’esistenza umana e quindi giuridica.

E’ cambiato negli ultimi anni il senso della nostra intimità, basta fare attenzione, oltre che ai contenuti di ciò che viene postato sui social, alla pubblicità che ha sdoganato i tradizionali spazi ad essa riservati.

Dal mio punto di vista di avvocato e di uomo del nostro tempo, mi rendo conto di quanto deboli siano le difese del cittadino utente di fronte all’invasività di una proposta commerciale che registra e ormai anticipa i nostri gusti e i nostri desideri. Nella cassetta degli attrezzi dell’avvocato i rimedi previsti nel Codice del consumo del 2005 risultano spesso privi di una reale efficacia. Devo aggiungere che all’epoca dell’emanazione del Codice, la parabola del cittadino che per legge diveniva “consumatore” mi lasciò già all’epoca perplesso.

Le attuali problematiche legate alla globalizzazione, alla smaterializzazione delle sedi fisiche delle grandi imprese ci fanno vedere quanto debole sia il consumatore rispetto a questa gigantesca offerta di beni e servizi non più riconducibile ai vecchi rimedi contrattuali. 

Serge Tisseron, psichiatra francese, chiama Extimité, terminologia usata anche da Zygmunt  Bauman, la tendenza a mescolare informazioni della vita intima con quella pubblica. Avvocato Guaiana come si riflette tutto questo sulla tutela legale di chi volesse cambiare idea dopo aver consegnato ad un mondo di estranei immagini e pensieri intimi?

Mi è capitato di rappresentare in giudizio persone la cui immagine privata, addirittura nelle sfere più intime, fosse illecitamente diffusa negli spazi di internet. La sensibilità giuridica rispetto a tali fenomeni è cambiata. Le faccio un esempio: il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti volto a tutelare le vittime di violenza domestica e di genere, è stato introdotto nel 2019. Fino ad allora non esisteva nel nostro ordinamento una disposizione dedicata a questa ipotesi di reato che dal punto di vista penale si risolveva con l’applicazione del reato di diffamazione punito con la reclusione fino a un anno, oppure con la multa fino a 1.032 euro nella sua configurazione non aggravata. Il sentire mediatico della gravità di tali comportamenti che la cronaca ci ha riferito purtroppo essere sfociati spesso nel suicidio delle vittime, ha portato il legislatore a sanzionare gli autori di tali fatti in maniera più grave. Ma  parliamo di una legge – il cosiddetto Codice Rosso – entrata in vigore appena quattro anni fa.

“Nessun deserto sarà più deserto di una casa….scriveva Pier Paolo Pasolini nei suoi appunti per un film su San Paolo – di una piazza, di una strada dove si vive millenovencentosettantanni dopo Cristo. Qui è la solitudine…gomito a gomito col vicino, vestito nei tuoi stessi grandi magazzini, cliente dei tuoi stessi negozi,lettore dei tuoi stessi giornali, spettatore della tua stessa televisione, è il silenzio”.

Penso che Pier Paolo Pasolini avrebbe visto nella grande casa mediatica e globalizzata del web, oltre ai noti e innegabili rischi di omologazione, anche importanti ipotesi di riscatto psicologico, sociale, addirittura economico.

L’uomo di oggi ha accesso a fonti del sapere che fino a pochi anni fa erano riservate a un numero molto ristretto di persone.

Si tratta però di sviluppare una vera e propria “cittadinanza del web”, essere cioè consapevoli di quali diritti, individuali e sociali, si vogliano porre a misura della propria qualità di vita: riflettendo sulle possibilità ( e sui pericoli) che l’innovazione scientifica e tecnologica propongono.

Faccio qualche esempio che ognuno di noi conosce: le decisioni sulle cure sanitarie e sulla loro interruzione (nel caso di prognosi infauste), l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, le possibilità nascenti dalla genetica e dall’elettronica.

L’intelligenza Artificiale:  non pensa che accentuerà ancora di più la divaricazione tra i pochi che sapranno usare un pensiero critico, anche perchè nutrito da conoscenze e letture e la maggior parte che si farà  trasportare da pensieri conformati su di una media,  perchè basati su metodi statistici e  automatici?

Sull’Intelligenza Artificiale dare un giudizio prognostico è assai complicato. Personalmente ritengo che il grande archivio di informazioni conservate nella memoria dell’Intelligenza Artificiale non possa mai arrivare a sostituire ciò che chiamiamo “l’intuito umano”. Ancora una volta Le faccio un esempio. Per motivi professionali mi sono ritrovato a osservare la salute mentale – nel senso giuridico della capacità di intendere e di volere – in perizie forensi di stampo e ispirazione totalmente contrapposte.

Da un lato il comportamento umano visto con i criteri del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, che riduce le malattie mentali in categorie diagnostiche basate sulla descrizione dei sintomi; dall’altro perizie che recuperavano gli elementi di conoscenza intuitiva della psichiatria fenomenologica. Aderendo personalmente a questa seconda linea di pensiero, mi piace citare  il grande Eugenio Borgna: “attendere, sperare contro ogni speranza, sono attitudini forse decisive nel salvare un umano destino alla deriva”.

Vorrei provare a riflettere con Lei anche sul nuovo ruolo che, nel terzo millennio, dovrebbe avere un avvocato.Non pensa che 250mila iscritti siano per un verso decisamente troppi rispetto al numero degli abitanti, tanto più se rapportati a quelli della Francia(50mila) e della Germania(166mila)? E non pensa che, soprattutto, finiscano per influenzare il modo di affrontare i problemi, piccoli e grandi, troppo sbilanciato su un pensiero giuridico binario bianco/nero, piuttosto che su un approccio processuale, sistemico e integrato, come lo è per lo più quello di un consulente?

Sono entrato per la prima volta in un Palazzo di Giustizia agli inizi degli anni ’90 e ancora mi ricordo l’impressione. Mi sembrò di entrare in un luogo sacro con i suoi riti, il suo linguaggio, la sua estetica.

Sono passati molti anni e le cose sono cambiate. Negli anni ho visto la tecnica giuridica fare spesso a meno di quei canoni di cultura generale che contraddistinguevano i maestri che ho conosciuto all’inizio della mia vita professionale.

L’avvocato di domani dovrà sicuramente recuperare le conoscenze provenienti dagli altri settori del sapere. In un mondo del diritto globalizzato, alle prese con leggi e procedure diverse in ogni Stato  che viaggiano e si spostano di continuo con le persone fisiche e giuridiche, l’avvocato dovrà confrontarsi con  costanti conflitti non solo giuridici ma anche culturali. In tal senso penso comunque che le nuove generazioni sapranno sicuramente attrezzarsi per risolvere ad esempio la successione di un cittadino italiano stabilmente residente all’estero con beni ereditari regolati da diversi ordinamenti giuridici. Già oggi ce ne occupiamo distinguendo tra beni digitali a contenuto patrimoniale e non patrimoniale.

Sul numero degli avvocati i dati di Cassa forense ci indicano che è in graduale calo. Inoltre la figura dell’avvocato specialista nel “contenzioso” cederà molto il campo all’avvocato “mediatore”. Ne possiamo già osservare i prodromi nella recente riforma cosiddetta Cartabia nel campo del diritto civile. E anche nella materia penalistica la riforma Cartabia ha introdotto criteri di giustizia riparativa che ampliano l’autonomia negoziale delle parti affidando quindi all’assistenza tecnica dell’avvocato il criterio di guida e tutela dei diritti al di fuori della sanzione penale.

Lei vive da molti anni in una città del Nord-est( Trieste) ma ha origini siciliane: se in Italia ci sono troppi avvocati, non trova che nel Sud ce ne siano addirittura in una quantità  esagerata, tanto esagerata….. quanto lo è la misura dei  divari territoriali e dei diritti? E’ certo, questa, una provocazione che fa uso del parossismo……ma non sarà che l’approccio culturale sui diritti/obblighi, che lascia perlopiù inalterato il rapporto tra chi avanza una pretesa e chi si tiene stretto il proprio privilegio, piuttosto che orientare sulla comprensione delle condizioni di contesto e dei servizi necessari da creare, sia uno dei fattori che non aiutano a superare la Questione meridionale?

Vivo e lavoro a Trieste da molti anni e ho origini siciliane. Rispondo alla Sua domanda anche in questo caso in base alla mia esperienza professionale. Il nostro sistema giuridico, quello di civil law, contrassegnato da prove documentali, certificazioni, controlli, autorizzazioni, è completamente diverso dai sistemi di common law, che sono assai più snelli. Si pensi per esempio all’istituto giuridico dell’affidavit avente valore di prova in Tribunale. Certezza del diritto nel primo caso, velocità e snellezza del procedimento nell’altro. Ciò detto e senza dare preferenza all’uno o all’altro sistema, ritengo in ogni caso che il principio di onestà (intellettuale, amministrativa , giudiziaria) sia una precondizione per il buon funzionamento di ogni sistema giuridico. Per tornare alla Questione meridionale che lei mi pone, penso che il principio di trasparenza nella vita pubblica in quelle regioni sia l’antidoto più efficace ad ogni comportamento parassitario. Stiamo però parlando di temi da analizzare forse con criteri più sociologici che giuridici.

Suo Post del 14 luglio 2023….”Ho conosciuto poche persone  anticonformiste. E negli ultimi anni sempre meno. Esulto quando ho di fronte una persona che spariglia le carte, non per stupire, ma come sincera espressione di sè. Lo stupore, l’originalità, l’invenzione, sono il sale della vita, il condimento del pensiero.E’ il motivo per cui ad esempio amo gli artisti, quelli veri. L’arte di vivere è accettazione, fino in fondo della propria unicità di pensiero, anche se il pensiero costa”. Ripensando ad alcuni dei suoi Post mi tornano alla mente le parole di Romeo

Castellucci……”l’arte è un oggetto rovente che il poeta scaglia nella città perchè incendi e crei lo scompiglio,perchè ponga la comunità di fronte alla verità tragica. Un artista sta sempre dalla parte del fuoco. Non c’è alternativa. L’opera deve ardere”.

È proprio così. Aggiungo soltanto che negli anni di professione ho incontrato l’opera “che arde”, cui Lei fa cenno, nella disperazione di talune persone offese in gravi fattispecie penali. Chi spariglia le carte, chi stupisce, è spesso colui che sente di non aver più nulla da perdere, e si mette completamente in gioco. La giustizia infatti non risana mai completamente i conti, né per le vittime, né per i carnefici. Come avvocato ho conosciuto la disperazione degli uni e degli altri, traendone nonostante tutto, umanissimi insegnamenti.

Norberto Bobbio scriveva che le tre principali metafore che descrivono la condizione umana, e nella quale capita di riconoscersi, sono quella del labirinto, del pesce nella rete e della mosca nella bottiglia:Lei in quale di queste si è ritrovato più di frequente?

Come avvocato ho sempre dovuto aderire alla speranza della ragione, cercando di uscire dai meandri e dalle allucinazioni di molti labirinti.

Spesso nel processo di immedesimazione con il cliente, mi sono sentito in trappola e irrimediabilmente impigliato nella rete oppure ho sperato che con un colpo di fortuna riuscissimo a conquistare l’uscita dal collo della bottiglia. Ma questo fa parte del mio personale e più profondo sentire. In fondo, dobbiamo sfiorare la disperazione altrui per dare il meglio di noi stessi, anche professionalmente. È questa la vera “confessione” dell’avvocato. E La ringrazio dell’amicizia e di questa nostra bella conversazione.

Enrico Conte

Redazione di Trieste

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