“Complici Silenzi”
di Riccardo Rescio
Il concetto di tacita complicità rivela la sottile linea che separa il silenzio dall’assenso, un fenomeno tanto diffuso quanto complesso nelle sue innumerevoli manifestazioni.
La tacita complicità si manifesta in una ampia gamma di situazioni, dalla sfera personale a quella collettiva, rappresentando di fatto un consenso non dichiarato che si concretizza attraverso il silenzio, l’inazione o la mancanza di palese opposizione.
In questo tessuto dinamico di relazioni, la tacita complicità spesso elude la definizione esplicita, rimanendo avvolta in un velo di non detti e intese silenziose che, pur non essendo verbalizzate, svolgono un ruolo cruciale nel plasmare le dinamiche interpersonali, lavorative e sociali. Questo fenomeno non si fonda su accordi formali, piuttosto emerge dall’insieme di comportamenti sottintesi, da ciò che non viene detto o fatto, da scelte di non intervento o da silenzi ingiustificati.
In ambienti lavorativi o sociali, ad esempio, la complicità si nutre di quei momenti in cui si chiude un occhio su pratiche discutibili, o si decide di non agire di fronte a situazioni eticamente ambigue.
La sottigliezza di questa dinamica risiede proprio nella sua natura implicita, che rende la complicità tacita una forma di consenso mascherata, difficile da rilevare e da contrastare.
Al di là delle implicazioni individuali, la tacita complicità acquista una dimensione etica rilevante quando si considera il suo impatto sulla società. Essa riflette le scelte che facciamo come membri di una comunità, le nostre azioni o inazioni e come queste possano contribuire, direttamente o indirettamente, alla perpetuazione di status quo indesiderati o alla proliferazione di pratiche ingiuste.
La questione si estende ulteriormente quando si considera il contesto politico, dove la non partecipazione, con la conseguente astensione dalla manifestazione del proprio pensare attraverso il voto, non è mai una espressione di dissenso passivo, ma si configura in pratica e paradossalmente come tacito consenso attivo allo status quo, configurandosi come una responsabilità individuale che si riflette sulla collettivata.
Dunque, la tacita complicità interpella profondamente il nostro essere in società, spingendoci a riflettere sul determinate peso del silenzio, quel silenzio che troppo spesso si considera la virtù dei forti, la preziosa prerogativa, da valere addirittura ancor più dell’oro.
Quel silenzio considerato da molti come bene materiale, da tanti addirittura elevato a qualità morale e al contempo anche dote imprescindibile di inarrivabili guru e grandi saggi, spesso divenuti tali, non tanto per le cose dette, ma per quelle che non hanno saputo o voluto dire.
Il silenzio diviene qualunquismo spicciolo, mero opportunismo, egoistica deresponsabilizzazione.
Il silenzio di fronte a fatti, situazioni, considerazioni e valutazioni, è solo mera complicità.
Chi non comunica il proprio sentire, la propria scelta, le proprie sensazioni, emozioni, esigenze e paure, non è una persona saggia, è solamente una persona che opportunisticamente non si espone a possibili rischi.
È importante riconsiderare il nostro ruolo e la nostra presenza nel mondo, ponderando il valore dell’azione e della parola e l’impatto che queste possono avere nell’alterare o calmierare la realtà che ci circonda.
La tacita complicità, quindi, è molto più che una semplice mancanza di presa di posizione.
È l’incapacità o la ponderata volontà di non compiere scelte di valori e priorità che nel loro insieme definiscono il carattere di quelle interazioni sociali che contribuiscono alla costruzione di comunità più giuste, consapevoli e partecipative.