Come si realizza l’aspettativa
di Maurizio Mazzotta
Necessario partire da ciò che si conosce per approfondire
L’aspettativa che si autorealizza è forza cieca della fede, bisogno di credere, potenza generatrice del desiderio o qualcosa di molto più semplice anche se autentico, di più concreto pure se delicato, di più osservabile pure se appena percettibile?
Vari autori riportano questo caso.
Un uomo è in ospedale, corpo che si disfa e mente vigile, tanto da cogliere frasi e parole nuove. Si parla di un farmaco miracoloso. Anche i medici e tutti in ospedale non nascondono l’entusiasmo.
Il malato vuole curarsi, lo curano con la nuova medicina e dopo un mese, miracolo! Sorride: può tornare a casa!
A casa i massmedia informano: il Krebiozen, il nome del nuovo farmaco, pare sia una montatura. E il malato cade in depressione, e dopo poco torna in ospedale.
In ospedale medici e infermieri sanno ovviamente dell’inefficacia, ma considerano pure le reazioni del malato e tutti d’accordo tornano convinti e convincenti a curarlo col Krebiozen, così gli dicono, in realtà le iniezioni sono dei placebo.
Per la seconda volta l’uomo viene dimesso, torna a casa sentendosi guarito.
Ma a casa i massmedia….. si nega al Krebiozen qualunque valore. E il malato perde ogni speranza; di nuovo ricoverato, questa volta definitivamente. Poco tempo dopo muore.
Chi è il responsabile di questa assurda serie di eventi, tracciati da medici e massmedia, da industrie e ufficialità accademiche, che coinvolgono a tal punto la sorte di un uomo? Tutto l’accaduto è forse riconducibile alla voglia di vivere che crea l’aspettativa, al desiderio che trasforma la speranza nell’oggetto sperato?
Tuttavia ciò che colpisce nella storia dei placebo è che la loro efficacia risulta più evidente se all’oscuro dell’esperimento non è soltanto il malato ma anche il medico che fa da Pigmalione; e ciò è forse collegato alla constatazione che molti farmaci nuovi sono dapprima efficaci poi a poco a poco perdono… di credibilità? Alcuni autori spiegano tale andamento agganciandolo alle letture che fa via via il medico sulle sperimentazioni del farmaco. Tali sperimentazioni sono sempre più rigorose e perciò appunto vanno sempre più limitando le virtù del farmaco stesso. Il medico perde fiducia, si aspetta risultati sempre meno positivi e comunica ai pazienti aspettative sempre meno entusiastiche.
Il caso di Pedro, che segue, ci riporta nel settore dell’apprendimento e della scuola.
Pedro, un bambino di scuola materna, era aggressivo e imprevedibile e il direttore pensò che doveva fare qualcosa se voleva evitare che venisse emarginato e parlò alla maestra del bambino enfatizzando alcuni aspetti della personalità di Pedro.
«Non è meraviglioso un bambino spontaneo, autentico, libero? Che ne sarebbe di lui se gli capitasse un insegnante che spegnesse la sua stupenda voglia di vivere?»
Il direttore creò nella maestra una precisa immagine di Pedro, le dette fiducia col suo discorso e la mise in condizione di stabilire una relazione altamente costruttiva.
Si può immaginare che sin dal primo giorno la maestra accettò il bambino e quello che faceva. Fu particolarmente tollerante con lui e non perdeva occasione per comunicargli tutta la sua simpatia.
Il bambino forse dapprima si meravigliò, poi cominciò a risponderle e la maestra, gratificata per il suo atteggiamento, aumentò l’interesse verso di lui.
Ben presto si stabilì un sottile legame, fatto di sguardi e di sorrisi, di suggerimenti, di compiacimenti, anche di complicità. Il legame divenne sempre più robusto ed evidente, e a scuola, dopo poco, tutti dicevano che Pedro era l’alunno prediletto della maestra. La maestra negava, cominciò a dire che trattava il bambino come tutti gli altri, intanto lo sollecitava in modo sempre più preciso e trovava nelle sue risposte motivi di approvazione.
Dalla fase di accettazione era passata a quella di costruzione vera e propria, senza averne precisa consapevolezza. Plasmava il bambino e si plasmava nel rapporto con lui.
Pedro divenne il più bravo tra gli alunni al punto che fu iscritto alla sezione rapida delle elementari. (Negli USA le sezioni si formavano, di sicuro negli anni Sessanta, col criterio dei prerequisiti di partenza).
Gli interventi sul caso singolo, immaginari o reali, documentati o non, improvvisati o sperimentali, sembrano sottolineare che i Pigmalione erano all’oscuro della realtà che affrontavano, anzi sembra si debba concludere che condizione necessaria per creare l’aspettativa sia il coinvolgimento totale in una situazione gestita da altri, che siano il caso o il direttore della scuola di Pedro. Ci sono tuttavia alcune importanti eccezioni: si ritorni con la memoria alla vicenda del malato, quando i medici, che avevano capito, gli ridettero la fiducia.
Ma torniamo a Pedro e consideriamo il comportamento della maestra, sia pure suggerito dal direttore, e confrontiamolo con alcuni adulti, insegnanti e genitori.
Gli insegnanti pessimisti sono dei pessimi insegnanti: «Parlo, parlo e non capite», «E’ inutile che io mi impegni», «Ci siete riusciti perché era facile», «Non ci voleva poi tanto», «Lo saprebbe fare un bambino», «Sono stanco di stare con voi», «Sto meglio nell’altra classe», «Non imparerete mai a vivere insieme», «Non vi interessate di nulla», «Non avrai mai fiducia in te», «Sei troppo timido», «Non ce la farai mai».
Frasi antipigmalione, frasi come queste che vengono dette in un momento di sfiducia, di stanchezza, alla fine di una sequenza di insuccessi, ma che sono pronunciate anche da un particolare tipo di insegnante, quello che vede gli angoli bui delle cose, che ha imparato a relazionare con oggetti ed eventi impossibili. Qui viene meno la funzione dell’insegnamento, perché insegnare, educare, istruire non hanno senso se ci si rivolge a un terreno secco e senza humus come è il discente frustrato, a cui nessuno crede e che ha imparato a non credere nemmeno a se stesso.