Chiesa di Santa Sofia e Santo Stefano – Soleto (LE)
In un piccolo borgo nel cuore della Grecìa Salentina sorge la chiesetta di Santo Stefano e Santa Sofia, piccolo scrigno dell’arte romanico bizantina, unico nel suo genere in Terra d’Otranto per il linguaggio grafico pittorico dei misteri della fede cristiana.
di Salvatore Antonio Polimeno
ΣΟΦΙΑ του Λόγου του Θεού
La Chiesa di Santo Stefano a Soleto è un centro religioso e culturale italo-greco di notevole importanza.
Il piccolo edificio fu edificato probabilmente nel 1347 per volontà di Raimondello Orsini Del Balzo, conte di Soleto e Principe di Taranto, e della consorte Maria d’Enghien, contessa di Lecce. È situato nel centro storico del paese, è orientato ad Ovest e presenta una facciata in pietra leccese in cui risaltano i caratteri romanici del portale, del rosone e del tipico campanile a vela con bifora.
La chiesa è l’unica superstite delle 46 cappelle distribuite dentro e fuori le mura di Soleto, documentate nella visita pastorale condotta dall’Arcivescovo Lucio de Morra nell’anno 1607.
Il piccolo campanile interrompe la cuspide di coronamento, contribuendo a dare slancio a tutto l’edificio. L’interno, 6,61 m sul lato più lungo da Est a Ovest e 3,90 su quello più corto da Nord a Sud, è coperto da un tetto a due falde sostenuto da tre capriate, e termina con una piccola abside a semicatino, semicircolare e cieca, che sporge all’esterno.
A pianta unica rettangolare, l’interno è scandito inoltre da diversi cicli di affreschi disposti in fasce orizzontali sovrapposte con all’altezza dell’osservatore una serie di santi a dimensione naturale. Su questi, i cicli superiori della parete settentrionale raffigurano la vita di Gesù mentre quelli della parete meridionale rappresentano i miracoli ed il martirio di Santo Stefano. Sulle pareti Est ed Ovest, invece, troneggia nell’abside, rispettivamente, una rarissima ed eccezionale figura del Cristo Sofia (Cristo Sapienza e Verbo di Dio) accerchiata da 4 dottori della Chiesa orientale e soverchiata dalla rappresentazione della Pentecoste con la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e, nella controfacciata, un importante programma figurativo del “Giudizio Universale”.
E’ una chiesa quindi dal tipico fascino romanico bizantino che mantenne, fino alla fine del XVI secolo, il rito italo – greco, di notevole importanza per il Paese e per l’intera area della Grecìa Salentina (enclave di grecità che nel medioevo comprendeva una porzione di Salento molto estesa e che oggi annovera Calimera, Castrignano dei greci, Corigliano d’Otranto, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia e Zollino. Fanno parte dell’Unione dei Comuni della Grecìa salentina anche Carpignano e Cutrofiano) salita alla ribalta nazionale ed internazionale negli ultimi vent’anni per “La Notte della Taranta”. Dal XIX sec. è monumento nazionale.
La chiesa, testimone del travaglio che in questa terra caratterizzò il passaggio tra il rito greco bizantino e quello latino, ha sempre visto una forte devozione popolare, che nel secolo scorso si è andata esplicitando soprattutto nella giornata del 26 dicembre. In questa giornata infatti, si tiene ancora oggi la Santa Messa al mattino seguita dalla fiera e dalla “cuccagna”: due uomini con le braccia legate dietro al busto si sfidano nel mangiare più pasta possibile su un palchetto in cima al palo ricoperto di grasso, mentre tutto intorno gli astanti lanciano fuochi pirotecnici, simbolica metafora del martirio di Santo Stefano da parte del Sinedrio a segnare l’influenza provenzale nella zona, riscontrabile anche nei capelli biondi che si ritrovano in abbondanza nel ciclo pittorico dell’interno della piccola Chiesa.
Per quanti scelgano di avvicinarsi a questa piccola Cappella degli Scrovegni in Terra d’Otranto, si consiglia di giungere con la mente scevra da pregiudizi e con il cuore aperto alla Storia – quindi al passato – al Presente ed ancor più al Futuro, per coglierne il potentissimo messaggio.
I devoti qui possono contemplare tutto ciò cui si può sperare o temere: non a caso di fronte, nel piccolo catino absidale, campeggia la raffigurazione rarissima del Cristo Sofia con l’iscrizione in greco che recita SOFIA IL LOGOS DI DIO – il Logos di pura ispirazione greca che permeò di se il pensiero successivo come è possibile rilevare nel libro della Sapienza (scritto direttamente in greco verso il 50 a.C.) dell’Antico Testamento che così recita (VII,22-23) “in Essa (Sofia) c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, perspicace, senza macchia,…amante dell’uomo…che penetra tutti gli spiriti intelligenti, puri, sottilissimi.” ed ancora (VII,26) “è irradiazione della luce eterna, specchio tersissimo dell’attività di Dio, e immagine della sua bontà”, divenendo Verbum/Verbo.
Altrettanto forte il messaggio trasmesso dall’affresco sul martirio di Santo Stefano, sulla parete laterale destra a Sud, che stigmatizza il sentire del tempo, fitto di un affastellamento di credo e di riti, nei confronti degli Ebrei presenti a Soleto in quel periodo, molto probabilmente provenienti dalla Spagna, rappresentati col naso adunco e identificati da una rotella rossa sugli abiti.
Nelle scene della vita quotidiana del Cristo riprese nella parete di sinistra invece, non può sfuggire, a chi osserva, il diavolo tentatore in saio francescano e con i piedi palmati, a sottolineare il travaglio dell’epoca a fronte degli ordini mendicanti, arma colonizzatrice del papato, che qui a Soleto avrebbe visto, agli inizi del Seicento, l’insediamento dei frati francescani e delle suore di Santa Chiara con l’ergersi della Chiesa Conventuale della Madonna delle Grazie con l’attiguo Convento dei Frati Minori (1601 – 1614) e la Chiesa di San Nicola con l’attiguo Monastero di Santa Chiara (1655).
Incredibili poi i cartigli con le indicazioni dei mestieri della povera gente dell’epoca nel Giudizio Universale alla sinistra di San Michele a bilanciare, quasi, gli abbienti dell’epoca tra cui, molto probabilmente il protopapa locale di rito bizantino ed il feudatario committente, presumibilmente Giovanni Antonio del Balzo Orsini.
Ed ancor più, quasi a sfidare il futuro, l’ignaro fedele in uscita da questa piccola Cappella Sistina soletana non potrà, rifuggendo il Diavolo in bassorilievo, non bearsi della benedizione dei Santi Nicola ed Antonio abate, rispettivamente alla maniera greca e latina, per affrontare con un po’ più di serenità il faticoso cammino della vita.