«Che ne sarà dell’arte in quest’età brutale e tempestosa?», quando «ormai anche gli angeli dovranno diventare ragionieri o contabili»?
di Roberto Pasanisi
Il romanzo moderno è una cosa e molte cose insieme: innanzi tutto, un’analisi emozionale, attraverso l’amore narrato o sognato, della modernità – in primis la baumaniana ‘liquidità’ del moderno, fatta dell’instabilità, del caos, della feroce fugacità, della paura (dalla velata e nebulosa consapevolezza?) che i barbari abbiamo già varcato i confini dell’Impero in inarrestabile décadence –; e poi la dulcedo, quasi stilnovistica, dell’amore che a volte può opporre all’effimero a tutti noi ben noto dei nostri giorni la sua categoria sovratemporale, From Here to Eternity, riprendendo il best seller di Jones (1951), dal quale fu tratto nel ’53 lo splendido famoso film omonimo di Freddie Zinnemann, con due indimenticabili star di allora e di sempre, Deborah Kerr e Donna Reed.
E poi: le fini annotazioni dei particolari, come barlumi da una realtà corrente e contingente ad una sempiterna, più alta e veritiera; l’avventura come metafora della vita nella ‘giungla d’asfalto’, per riandare ancóra al cinema, la Asphalt Jungle disperatamente disegnata nel ’50 (sempre quegli anni…) dal cineasta per eccellenza Huston e da uno Sterling Hayden al culmine del glamour e del carisma filmico; la bellezza, che per l’artista moderno è sempre una luce che illumina le nostre vite oscure, affinché il mondo torni «bello daccapo alla misura del cuore», ricordando i versi meravigliosi di Odìsseo Elitis in Sole, il primo (1943 – e torniamo qualche anno addietro…): «Gli uccelli verdi fendono i miei sogni / Parto con un’occhiata / Occhiata larga dove il mondo si rifà / Bello da capo a misura del cuore».
Come per l’appunto dice Saul Bellow in un libro definitivo, un fantasmagorico romanzo-saggio sulla modernità – brillante di invenzioni stupefacenti e rutilanti dritte al cuore e alla mente come nel Мастер и Маргарита (Il Maestro e Margherita, 1966)bulgakoviano –, More Die of Heartbreak (Ne muoiono più di crepacuore, 1987), riprendendo un epocale passaggio di Matthew Arnold, «ciascuno di noi è consapevole di avere un piccolo ghiacciaio nel cuore»: per questo, dice il protagonista del libro, «credo che muoia più gente di crepacuore che di radiazioni, e nessuno fa le dimostrazioni contro il crepacuore», in una società «dove l’egoismo è il cuore dell’etica capitalista» e la sua «Mano Invisibile» governa il mondo e «ormai anche gli angeli […] dovranno diventare ragionieri o contabili».
«Solo se si fa della nostra vita una svolta decisiva si ha ragione di esistere», ci ricorda l’autore, là dove «mai si è vista una bellezza priva di cuore così meravigliosa» come nella modernità – mentre «la bellezza è solo per i coraggiosi». Allora è così che noi ci aggiriamo nei meandri oscuri – il dark side – della metropoli e della sua Asphalt Jungle cercando di decifrare «gli invisibili significati umani che pullulano nell’oceano d’aria urbano» dove regna «l’egemonia del sesso» e sull’amore è calato ineluttabile il rimbaudiano temps des assassins. «Voleva l’impossibile, come tutti noi»; come la poesia, l’arte, il desiderio, la bellezza, l’amore – il cuore dell’humanitas di terenziana memoria. Ma, citando Hoffmann, «Che ne sarà dell’arte in quest’età brutale e tempestosa?».
Roberto Pasanisi
Istituto Universitario Per Stranieri “Francesco De Sanctis”