IL PENSIERO MEDITERRANEO

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“Briciole di gioia” di Irma Kurti. Recensione di Lorenzo Spurio

Seguo ormai da diversi anni l’attività letteraria della poetessa albanese Irma Kurti, residente a Bergamo, con grande piacere e interesse. La sua produzione, particolarmente vasta, concerne sia la poesia che la narrativa. L’autrice, risultata vincitrice di numerosi premi letterari in tutta la Penisola, ha pubblicato volumi sia nella sua lingua madre, l’albanese, che in italiano e anche in lingua inglese. Proprio in questa lingua ha recentemente vinto con una sua poesia, “The weeping willow”, il primo premio assoluto per la sezione poesia in lingua straniera al X Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” la cui cerimonia di premiazione si è tenuta presso l’Auditorium San Rocco di Senigallia lo scorso 15 maggio.

Ho l’occasione di sfogliare e leggere ora il nuovo volume di poesie, Briciole di gioia, che si apre con una colorata copertina sulla quale campeggia, dietro un efficace effetto di gocce d’acqua sospese degli schizzi di una fontana, in lontananza (sembrerebbe) la reggia di Schönbrunn a Vienna (o, comunque, un qualsiasi altro edificio molto austero ed elegante, segno di un passaggio importante di un Casato). Ad aprire il volume è una meticolosa e avvincente prefazione della nota poetessa serba Vesna Andrejević che, con perizia e grande abilità, va rintracciando i motivi trainanti della nuova silloge, valorizzando ampiamente i contenuti ma anche gli aspetti prettamente emotivi e sensoriali che immancabilmente trasbordano dai versi di Irma Kurti.

Come ampiamente avvenuto in passato – ricordo in particolare i volumi Le pantofole della solitudine (2018) e Il sole ha emigrato (2019) – le poesie di Irma Kurti sono volte a riallacciare il presente della consuetudine con la ricchezza di un passato, ormai percepito distante e non recuperabile in maniera fisica, rappresentato dalla vita in presenza dei suoi amati genitori.

Il libro si snoda in due micro-sillogi interne (“Nell’universo dell’amore” e “Anime perse” per l’esattezza), che sono come dei piccoli percorsi dove, tra l’uno e l’altro, la poetessa ci invita a sederci su un’ipotetica panchina in legno per riflettere, meditare e metabolizzare le immagini, le sue considerazioni, gli approfondimenti.

La poesia della Nostra è intimistica e passionale, ricca di dettagli e nutrita dal ricordo fulgido e amoroso del padre e della madre, presenze rassicuranti e colme di affetto la cui essenza permane e si propaga nei giorni del presente.

Parlare di chi non c’è più – soprattutto nei casi in cui il legame con coloro che se ne sono andati era profondamente autentico e rappresentava il collante dei giorni – immancabilmente comporta una certa desolazione e ripiegamento che deriva da quella malinconia profonda e da quel senso di solitudine che l’io sperimenta.
Se è vero che non mancano liriche più colorate e ariose, nelle quali la Nostra dà ampio risalto alla natura o alla spensieratezza di una vita di coppia, è pur vero che il pensiero fondante e trainante dell’intero percorso rimane quello reminiscenziale – e con sé commemorativo – volto a un recupero, ponendola in un dialogo continuo con età diverse. Riecheggiano così briciole di ricordi, sprazzi d’immagini ben saldate nella mente, momenti d’incontro, contatto e di confronto con i suoi cari, situazioni di vera crescita e di amore indissolubile che, via via, si dispiegano per le pagine di questo libro.

Raccontami, papà, la storia della tua vita / di cui hai parlato poco e hai taciuto tanto, / …/ Raccontami, papà, adesso, tutta la tua storia” leggiamo nell’affascinante “Raccontami” una delle poesie che esordiscono nel libro, interamente permeata da quell’esigenza di un feedback comunicativo da parte del genitore paterno, ché possa testimoniargli ancora – seppur in forme altre – la sua presenza fissa e convinta, imperitura e costante, nelle stanze della sua casa, attorno a lei.

E poi ancora: “Mi piacerebbe vederti in piedi, papà / gettare via questa sedie a rotelle, / … / quando il tuo sorriso / non era malinconico, quando noi / non sapevamo ancora che la vita / non è soltanto un dono, ma di più:/ la battaglia da vincere ogni giorno”.
Anche il ricordo della malattia e dell’affaticamento della persona del padre ricorrono in queste liriche a testimoniare non solo la mancanza nel presente di momenti di gioia e compagnia con l’uomo, ma anche il travaglio di dolore sperimentato nella fase calante della sua esistenza.

Tormentato è il rapporto col tempo, con la malattia, con l’imprevedibile: “Se hai deciso di andartene, vai, / anche se l’afflizione ha iniziato / a spezzare il mio cuore e fiumi / di lacrime scorrono”.
C’è nella Poetessa una consapevolezza dolorosa dinanzi al compiersi del tempo, ma anche una concretezza che comporta un ben più ampio dolore interiore, un sacrificio quasi etico, che la conduce quasi a preferire l’abbandono certo di chi ha amato, al travaglio indecoroso dei giorni, nel dolore corporale dell’uomo che l’ha procreata.

Simili approcci si ravvisano nei confronti della madre: “la tristezza mi invade, mamma” scrive in “I battiti del cuore” a cui fa seguito l’appassionata poesia “Il fiato della mamma”. Questo percorso poetico di Irma Kurti può essere ben decodificato per mezzo del titolo di una sua poesia che parla di “In assenza d’affetto”: il segno di una ricerca continua e mai giunta alla meta, che crea fratture e ansia nella Nostra, motivata da un recupero totale di quel che ha abitato nello ieri che ormai si trova alle nostre spalle. L’affetto che manca non è sinonimo di solitudine totale, pessimismo, dolore cosmico o piagnisteo permanente. Si tratta di quel che effettivamente latita, la cui mancanza, divenuta ormai costante delle giornate, è essa stessa ragione del poetare e destinazione d’interesse privilegiata nel travagliato percorso mnemonico ed esperienziale.

In via generale, essendo stato l’interesse primario della poetessa proprio questo, risultano d’altra parte per lo più assenti in questo volume le testimonianze di una partecipazione ai fatti del mondo, vale a dire di un poetica dell’impegno (che la poetessa ha, comunque, sperimentato in precedenza e altrove) se si eccettua un breve ma significativo accenno in “Esistere” dove si legge: “Ma così / non possono ignorare in nessun modo / i lamenti del mondo”.

La poesia – e più in generale la letteratura, sia in “entrata” ovvero in lettura che in “uscita” ovvero in scrittura – è senz’altro un buon espediente lenitivo – se non addirittura terapeutico come sostiene qualcuno e, addirittura, in campo scientifico c’è chi parla di “libroterapia” – ed è per tali ragioni che Irma Kurti probabilmente fa straripare dal suo cuore i sensi del tormento e dell’incertezza, della desolazione e dell’assenza, di quella malinconia forte e pervasiva che l’attanaglia nel ricordo delle figure dei genitori che ora abitano solo gli spazi della sua mente.

Cerco di fare pace con me stessa” recita in “Tramonto rosso” ed è forse svelato in questo verso il motivo trainante di una ricerca sì attenta nelle interiorità della sua psiche e nella volontà autentica e generosa di rendere il magma interiore sulla carta, rendendoci partecipi, ma in qualche modo anche confidenti silenziosi ad accogliere l’esperienza del tempo che narra con acume e grande passione. Ed ecco svelato perché, di quella gioia richiamata nel titolo, non è possibile che ricavarne e trarne a sé delle briciole.

Briciole di gioia di Irma Kurti, CTL (Livorno), 2021

Lorenzo Spurio

Jesi, 24/06/2022

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