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Autonomia differenziata: saranno il PNRR, e i vincoli esterni, a contenere le spinte disgregatrici?

Foto di Koudelka

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di Enrico Conte

Autonomia differenziata. Nè alla messa né al mulino non aspettare il tuo vicino. Un groviglio di criticità, in uno sforzo di sintesi, perché se è vero che è una possibilità prevista dall’art 116, comma terzo, della Cost. dopo la riforma del 2001, è un pò meno evidente che il modo con cui è stata chiesta, e si vorrebbe concedere con la legge Calderoli, è assai più problematico per una molteplicità di ragioni, con un dibattito pubblico polarizzato tra tecnicismi e fautori e non del regionalismo.

Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti alcune materie di competenza dello Stato, possono essere richieste dalle regioni ordinarie, tuttavia, questo il primo interrogativo, chiedere 23 materie e 500 funzioni (cfr Quotidianosanità.it) come hanno fatto la Lombardia e il Veneto (inizialmente, pur con qualche distinguo, l’Emilia), non è forse ribaltare il senso della previsione costituzionale e rendere ciò che è eccezione una regola?

Una richiesta che, se totalmente accolta, trasformerebbe uno Stato regionalista in un’altra cosa, cercando di copiare le forme concesse a 5 Regioni speciali nel secondo dopoguerra, ma per ragioni storiche, separatismo e plurilinguismo.

E senza una motivazione adeguata sul perché si vogliano esercitare quelle competenze, ora “esclusive” ora “concorrenti” dello Stato nel disegno del 2001, che non sia quella di poter disporre del presunto “residuo fiscale” prodotto sul territorio: il gettito che – nella retorica dei richiedenti viene incassato dallo Stato per tasse pagate sul territorio regionale, ma in eccesso rispetto a quello che lo Stato spende su quei territori – verrebbe attribuito alle Regioni differenziate.

Si aggiunga che le competenze richieste possono essere si attribuite, ma nel rispetto dei principi del 119 Cost che contempla l’autonomia finanziaria di regioni ed enti locali, e in relazione alla quale era stato avviato, con la legge sul federalismo fiscale (42 del 2009), un percorso valido per “tutte” le regioni ordinarie, responsabilizzando i centri di spesa nel quadro di un disegno unitario, sia sul versante della spesa che su quello delle entrate.

Percorso interrotto dalla legge Calderoli.

Viene piuttosto avviato un processo a “spezzatino” di regionalismo asimmetrico, in assenza di una cornice complessiva in grado di garantire le risorse per una tutela uniforme, e non parziale, dei diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale. L’art 116, così Marco Cammelli, “è stato trasformato da strumento di rifinitura e di messa a punto di quote di funzioni aggiuntive, in una strada subdola per aggirare l’art 138 sulla revisione costituzionale”. Percorso agevolato dal fatto che la possibilità di chiedere autonomia differenziata non sia stata accompagnata da una legge costituzionale che, come aveva avvertito a suo tempo Leopoldo Elia (cfr per tutti F. Pallante “Spezzare l’Italia”) disciplinasse, condizionandola, la procedura, prevedesse i criteri per l’attribuzione delle materie, riempisse i vuoti ora rimessi a puri rapporti di forza tra centro (Governo) e periferia (Giunte regionali).

E ancora estromettendo il Parlamento, per il ruolo formale che gli si vorrebbe affidare nel procedimento attuativo, nonostante abbia competenza esclusiva su una serie di materie, tra le quali la “determinazione dei LEP concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (117, lett m). Quando, piuttosto e con priorità, andrebbero date gambe all’autonomia impositiva delle regioni e degli enti locali, alla perequazione finanziaria interregionale per i territori con minori capacità fiscali, e finanziate le funzioni trasferite con il superamento della spesa storica e l’individuazione dei fabbisogni standard (Franco Gallo).

Le conseguenze rischiose di questo processo asistemico sono state messe in evidenza dalla Banca d’Italia, dalla Corte dei Conti, dall’ufficio parlamentare di Bilancio, dall’Anci, da Confindustria, da Svimez, dall’Agenzia della coesione territoriale, dalla Commissione UE e, con riguardo alla sanità, da Fondazione Gimbe e dall’ Ordine nazionale dei medici.

Nel frattempo è stata avviata un’iniziativa referendaria, entro la fine dell’anno sono attesi i risultati della Commissione Cassese sui LEP (solo sui nidi sono già disponibili) e in autunno partiranno i negoziati del Governo con le Regioni Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte che hanno chiesto di anticipare le trattative per le materie prive di LEP (es giustizia di pace, protezione civile, promozione del turismo), quando sarebbe necessario, piuttosto, disporre di una valutazione complessiva sulle ricadute, nel lungo periodo, sul bilancio statale.

Ultimo interrogativo. Il PNRR, tra le riforme abilitanti, prevede che, entro giugno 2026, venga definito il quadro fiscale subnazionale attraverso il completamento del federalismo fiscale della legge 42, con l’obiettivo di migliorare la trasparenza delle relazioni fiscali tra i diversi livelli di governo, e assegnare le risorse alle amministrazioni sub nazionali sulla base di criteri oggettivi.

Sarà il rispetto dei “vincoli esterni” a contenere le spinte disgregatrici del Paese?

Enrico Conte

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